Iran: repressione nel sangue

     In Iran, a seguito della proclamazione dei risultati elettorali delle elezioni presidenziali del 12 giugno, che hanno visto la rielezione di Ahmadinejad, per un secondo mandato, sono scoppiate numerose proteste. Secondo i dati ufficiali, Ahmadinejad è stato rieletto presidente con il 62,3% dei voti ma l’opposizione ha denunciato brogli e irregolarità.

     Dopo le imponenti manifestazioni, che hanno attraversato le vie di Teheran, il Consiglio dei Guardiani della Costituzione, il più importante organo legislativo iraniano e massima autorità sulle questioni elettorali, composto da 12 membri, sei giuristi e sei dignitari religiosi, che ha il compito di selezionare i candidati, in base alle loro credenziali ideologico-religiose, e di supervisionare il processo elettorale, ratificando o annullando i risultati del voto, ha concesso il riconteggio dei voti, ma non ha consentito l’annullamento delle elezioni.

     L’operato dei membri dell’organo iraniano è simile a quello di una Corte costituzionale: essi possono porre il veto alle leggi giudicate non conformi alla sharia, la legge islamica.
I sei religiosi membri del Consiglio sono nominati direttamente dalla Guida suprema della Repubblica islamica, l’ayatollah Ali Khamenei, punto di riferimento dei conservatori. I sei giuristi sono invece proposti dal capo del potere giudiziario (il quale è a sua volta nominato dalla Guida suprema) e approvati dal Parlamento. Ma, negli ultimi anni, il Consiglio dei guardiani ha istituito un sistema che consente la nomina dei giuristi proposti dal capo dell’autorità giudiziaria anche in caso di opposizione del Parlamento.

     La principale organizzazione di opposizione al regime teocratico di Teheran è il Consiglio nazionale della resistenza iraniana (Cnri). Pertanto, nonostante il veto del Ministero dell’Interno di scendere in strada, che tramite l’Ufficio pubblica informazione del Ministero dell’Interno aveva fatto sapere che la protesta era “illegale”, a fronte del fatto che “non era stata concessa alcuna autorizzazione per una marcia o un’adunata, e qualsiasi tipo di marcia o di adunata era interdetta”, i sostenitori di Mir Hossein Moussavi, il candidato conservatore moderato sconfitto da Mahmoud Ahmadinejad, hanno marciato verso la sede della tv di Stato nella zona nord di Teheran.

     I manifestanti, la maggior parte giovani, hanno camminato a lungo in una protesta pacifica, con cartelli in mano “Ahmadinejad non è il mio presidente” e nastri verdi (il colore di Moussavi) ai polsi. Dura è stata la repressione e numerosi sono stati i dimostranti uccisi negli scontri.

     La “battaglia” ha interessato perfino il fronte mediatico: da un lato il governo che per isolare i manifestanti, non solo ha tentato di porre il bavaglio alle testate locali e internazionali, mettendo al bando Kalameh Sabz, il giornale di Moussavi, ma poiché le testimonianze degli scontri in Iran arrivavano dalla Rete, dapprima ha oscurato YouTube, e infine la controcensura: gli hacker; inoltre, lo stesso ministero della Cultura e della Guida Suprema ha vietato a tutti i media di lavorare al di fuori dei propri uffici e di seguire le manifestazioni in corso nella capitale Teheran; dall’altro, però, alcuni sostenitori di Moussavi, hanno oscurato il sito ufficiale di Ahmadienjad, quelli dei media filo governativi e i siti web degli organi politici della Repubblica Islamica.

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