Buone speranze per uscire presto dalla crisi. Ai grandi la responsabilità di evitare gli errori della crisi del 1929-34
L’armamentario di politica economica e monetaria è oggi di gran lunga più ricco rispetto a quello in essere al tempo della crisi del 1929-1934, allorché i governi dovettero improvvisare nuove politiche economiche per riprendere il cammino della crescita economica e sociale. Ma occorsero ben cinque anni per annullare il valore dei titoli speculativi, la cui corsa era iniziata nel 1924 negli Stati Uniti.
A quel tempo la Riserva federale non era attrezzata e per frenare la speculazione ritirava il contante dalla circolazione, non avvedendosi che la speculazione era alimentata da un vorticoso giro di assegni. Nel 1933 iniziava negli Stati Uniti l’epoca dell’amministrazione Roosevelt, con il programma economica definito “New Deal”, avversato dal partito repubblicano. In Germania all’inizio del marzo del 1933 Hitler formava il suo primo governo con la benedizione del presidente, il maresciallo Hinderburg, capo delle forze armate tedesche durante gli ultimi tempi della prima guerra mondiale.
Alla fine dello stesso mese di marzo Hitler assumeva i pieni poteri e decretava la fine della Repubblica di Weimar, che per fermare l’iperinflazione aveva abdicato ai poteri monetari in favore della banca centrale, iniziando così a scavarsi la fossa. Come è ben noto, moneta e potere pur essendo diversi si identificano, nel senso che senza moneta non esiste potere materiale. La moneta è un bene sociale e quindi deve essere amministrata dal Parlamento e dal Governo, espressione l’uno e l’altro del popolo sovrano. Una banca centrale indipendente si pone al di sopra degli organi deputati a guidare l’economia e praticamente decide autonomamente il destino dei lavoratori, delle imprese e degli stessi governi.
Come sempre era accaduto fin dai tempi dell’invenzione della moneta e qui piace ricordare che nel 610 a.C. il re Aliatte della Lidia avocò a sé il diritto di battere moneta e costituì il primo monopolio pubblico dell’emissione monetaria. Da allora e fino al 1924, ossia per ben 2.534 anni, nessun re o imperatore, nessun principe o conte, oppure vescovo o abate e neppure il papa ha rinunciato, se non costretto dalla forza, al potere di emettere moneta. Nessuna rivoluzione è avvenuta senza il possesso della moneta. Tanto per fare qualche esempio, piace ricordare che Giulio Cesare, varcato il Rubicone, non inseguì Pompeo, ma corse a Roma per togliere i poteri monetari al Senato e avocarli a sé.
Da Cesare Ottaviano Augusto e fino alla caduta dell’impero il Senato romano poté battere solo gli spiccioli, ma il bronzo era fornito dall’imperatore. I bolscevichi nel 1917 occuparono subito la banca centrale russa. Poi commisero il marchiano errore di abolire la moneta e di imporre lo scambio obbligatorio, ovvero il baratto, merce contro merce. Soltanto nel 1924 tornarono alla moneta e addirittura emisero il rublo d’oro, simile salvo che nelle effigi, al rublo d’oro dello zar Niccola II. Come tutti i dittatori, anche Hitler dovette appropriarsi dei poteri monetari. Nel mese di aprile del 1924, subito dopo il colpo di stato, Hitler convocava infatti il presidente della banca centrale, colpevole di una feroce quanto stupida deflazione, che aveva prodotto milioni e milioni di disoccupati, e gli ordinò di far funzionare a pieno regime il torchio della stampa moneta.
La moneta servì al governo per finanziare i lavori pubblici tramite le cambiali del lavoro e per far riaprire le fabbriche. Alcuni tentativi di esportare la moneta all’estero furono stroncati mandando qualche industriale di fronte al plotone di esecuzione. Ad onor del vero, occorre dire che alla fine del 1935 la disoccupazione era vinta e iniziava l’afflusso di manodopera straniera. Purtroppo la politica hitleriana sfociò negli armamenti.
Sempre nel 1933 in Italia il governo di Mussolini imperniava l’intervento pubblico nell’economia creando sia l’Istituto mobiliare italiano, l’Imi, per il credito a medio termine all’industria, sia l’Istituto per la ricostruzione industriale, il più che noto Iri. Merita ricorda che in Russia, ovvero nell’Urss, il dittatore Stalin provvedeva a sollevare l’economia dal baratro in cui era precipitata in seguito alla rivoluzione bolscevica, tramite i piani quinquennali forzati.
Proprio da questi quattro paesi, di cui tre a regime dittatoriale ed uno solo, gli Stati Uniti, a regime democratico, la politica economica si arricchì negli anni successivi di nuovi strumenti di intervento contro la crisi economica. In particolare, in Italia fu approvata la famosa legge bancaria del 1936, che mise le banche private e pubbliche al riparo da ogni tentazione di partecipare al capitale di imprese non bancarie e quindi di farsi coinvolgere nelle vicende delle imprese. Inoltre fu decisa e rigidamente applicata la netta separazione del credito a breve termine da quello a medio termine destinato all’industria e dal credito a lungo termine, destinato quest’ultimo agli investimenti in agricoltura, nell’edilizia residenziale, nella pesca, ecc.
La legge bancaria del 1936 rimase in vigore per tanti anni, fino a quando negli Anni 90 fu consentito alle banche di esercitare ogni tipo di credito, di partecipare al capitale delle industrie e, tra l’altro, di finanziare la speculazione finanziaria, ingolfandosi così, come tutte le banche del mondo, nei titoli cosiddetti “tossici”, su i quali è sceso il silenzio, nonostante costituiscano innumerevoli mine vaganti. Bisognerà ritornare al più presto a una nuova legge bancaria per affrontare senza tanti rischi la globalizzazione.
Dalla metà degli Anni 30 la ripresa economica risentì in pieno della politica degli armamenti e della politica protezionistica, che infine sfociò nella seconda guerra mondiale. Merita ricordare che nel 1934 Roosevelt dovette svalutare il dollaro del 40,9 per cento e ricostituire le riserve delle banche, distrutte dalla crisi economica. Sorvolando per brevità sulle ripercussioni nei cambi degli altri paesi, l’Italia esportava nel 1935 le contraddizioni della dittature con l’impresa etiopica. Fu dichiarata la guerra all’Abissinia, unico stato cristiano indipendente del contenente africano, retto purtroppo da un regime feudale, con il re dei re e con i ras locali, alla stregua salvo poche varianti del Sacro rimano impero.
Fu un’aggressione e alla Società delle nazioni, sostituita dopo la seconda guerra mondiale dall’Onu, il Negus Neghesti Hailé Selassiè pronunciò la famosa frase, ripresa poi da Ernest Hemingway con il romanzo del 1940 “Per chi suona la Campana”. Le sanzioni economiche non fermarono la dittatura fascista e Hitler prese coraggio per procedere a ritmo serrato nella politica degli armamenti. Nel 1936 l’Italia aveva il suo impero e nello stesso anno scoppiava la guerra civile in Spagna, che fu la prova generale della seconda guerra mondiale. Nel 1937 fu la volta dell’aggressione nipponica alla Cina, che portò tramite una guerra feroce all’occupazione di vaste province cinesi.
Nel 1938 Hitler incorporò nella sua Germania l’Austria e i Sudeti e la successiva pace di Monaco non servì ad altro che a dimostrare la miopia dei vari paesi europei, Gran Bretagna e Francia in primo luogo. Nel 1939 scoppiava infine la seconda guerra mondiale con l’aggressione di Hitler alla Polonia. Stalin ne occupò subito l’altra parte, commettendo l’errore di trovarsi a confine con la Germania. Gli zar, invece, avevano sempre evitato questo contatto tramite gli stati cuscinetto tra la frontiera russa e quella tedesca e austriaca.
Questo breve excursus storico deve ricordare ai Grandi di oggi che la ripresa economica deve avvenire sulla base di intese a livello internazionale e al riparo di tentazioni protezionistiche. In poche parole, occorre evitare le premesse di una terza guerra mondiale, Il G8 de L’Aquila, organizzato egregiamente dall’Italia, sembra essersi mosso su un’ottica di iniziative e di riforme abbastanza confortanti, non sufficienti però a garantire una ripresa economica scevra di pericoli, specie se i governi non prenderanno misure rapide contro i tentativi di nuove speculazioni finanziarie, che se non saranno impedite di procedere nel loro arrembaggio alla ricchezza dei cittadini e delle nazioni, potrebbero in breve tempo creare nuove bolle speculative e compromettere l’auspicata ripresa economica.
Come già accennato, l’armamentario di politica economica e monetaria è così ricco tanto da sperare se impiegato nello spirito della cooperazione internazionale, in una ripresa piuttosto rapida dell’economia. I dati a disposizione, tra cui quelli dell’Ocse e della Banca d’Italia, consentono di affermare che il fondo della crisi dovrebbe essere stato toccato e che sia iniziato il cammino di recupero, invero molto lento proprio a causa della profondità e della vastità della crisi.
Per tornare ai livelli di produzione, di scambi e di occupazione in essere due anni fa occorrerà attendere almeno fino alla fine della prima metà del prossimo anno, passando dovunque per una caduta ulteriore dell’occupazione, specie nell’industria, dovendo scontare la flessione dei consumi in conseguenza della riduzione dell’indebitamento delle famiglie. In particolare per l’Italia, che molto probabilmente sarà il primo paese a superare le difficoltà odierne, il Documento di programmazione economica e finanziaria predisposto dal governo prevede per l’anno in corso una caduta nella formazione del reddito nazionale del 5,3 per cento, per poi risalire a valori positivi con il prossimo anno.
Per una ripresa stabile e duratura sarà necessario tornare alla formazione del risparmio delle famiglie. L’aurea regola di fare il passo secondo la gamba, come recita un vecchio proverbio universale, dovrà di nuovo imporsi. Sta alla politica economica produrre ricchezza e prima ancora occupazione tramite il finanziamento dei lavori pubblici, il cui moltiplicatore del reddito è tra i più elevati, e trascinare così la formazione del reddito negli altri settori di attività economica e in assenza di spinte inflazionistiche.
E’ urgente creare solidi argini contro l’inflazione e a questo proposito è da augurarci che i prossimi vertici internazionali, si chiamino G7, oppure G14, oppure ancora G20, pongano le basi per un nuovo ordine monetario internazionale, fondato sul pareggio tendenziale della bilancia dei pagamenti di ogni paese, soprattutto di quelli che partecipano in misura notevole alla formazione del prodotto lordo mondiale. Senza un nuovo ordine monetario internazionale, che, tra l’altro, imponga alle banche una nuova disciplina tale da impedire loro il finanziamento della speculazione, si corre il rischio che la globalizzazione provochi l’allineamento verso il basso degli stipendi e delle pensioni nei paesi economicamente più avanzati e non, come dovrebbe essere, l’allineamento verso l’alto dei salari nei paesi economicamente e socialmente meno avanzati.
Sono i redditi dei cinesi, degli indiani, dei pachistani, tanto per limitarsi all’area asiatica, che debbono crescere e portarsi progressivamente al livello dei paesi del G7, che non deve scendere e neppure ristagnare, ma elevarsi in continuazione, insieme con gli indicatori dell’avanzamento sociale. In un mondo di paesi ricchi si dovrebbe vivere meglio che in un mondo dove la miseria, la fame e in generale il sottosviluppo attanagliano ancora molte popolazioni.
A questo proposito si impongono sostanziali riforme, del resto auspicate dal G8 de L’Aquila, dell’ONU e delle sue Agenzie, tra cui la FAO, in modo da renderle più efficienti nel risolvere specifici problemi del sottosviluppo. L’Onu, al contrario della Società delle Nazioni, deve diventare un baluardo contro i pericoli di una terza guerra mondiale. Si tratta dei pericoli insiti nelle grandi crisi economiche e finanziarie, non risolte sulla base della cooperazione economica internazionale.
Oltre ai pericoli di una terza guerra mondiale, occorre evitare quelli di disordini sociali anche nei paesi avanzati se la crisi non dovesse essere risolta in tempi ragionevolmente brevi. Come si è imposto il salvataggio delle banche, perché senza sistema bancario imperano lo strozzinaggio e l’usura, si impone altresì la difesa dei redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo, nonché la sorveglianza sulle multinazionali, responsabili al pari delle banche delle tribolazioni odierne.
La loro miopia e la loro ignoranza della storia ha condotto alla crisi odierna, che per profondità e per ampiezza non ha confronti nel passato dell’umanità. Per questo il momento odierno è tanto delicato da richiedere il massimo di cooperazione internazionale. Sta alla diplomazia, e in particolare ai ministri degli Esteri, tra cui quello italiano, esplicare il massimo della loro arte, insostituibile sia in pace che in guerra.