“Roma-Architettura contemporanea RM ’06′”

di | 1 Nov 2009


Recensione del libro “Roma-Architettura contemporanea RM ’06”
di Maria Rita Censi – Dante Frontero – Angelo Germani
Edizioni Kappa

     Una esclusiva carrellata di immagini degli edifici più significativi realizzati a Roma dagli anni settanta ad oggi. Con il potere della efficacia fotografica, vengono illustrate opere edificate e relativi progetti che hanno profondamente inciso sulla stessa immagine della Capitale. Possono non piacere, ma indiscutibilmente sono la prova che, nella piccola grande Roma, come ricordava Flaiano, si sono sperimentate soluzioni urbanistiche moderne e anche ardite, si pensi solo all’imponente Nuova Fiera di Roma sulla Via Portuense di Tommaso Valle al discutibile contenitore dall’Ara Pacis ideata da Meier, alle strutture del Parco della musica di Renzo Piano. Desideriamo muovere agli autori una sola critica, perché non soffermarsi ad approfondire ulteriormente le opere architettoniche, illustrandone anche la storia del territorio sul quale sono state costruite, mettendo il lettore nelle condizioni di farsi l’idea della città che si trasforma.

Abbiamo ritenuto utile pubblicare l’interessante introduzione al libro di Massimo Locci.

MODERNO E CONTEMPORANEO A ROMA. DALL’INVENZIONE DEL CONTESTO AL PROGETTO DIFFUSO

Rileggendo la struttura urbana di Roma da una fotografia aerea degli inizi degli anni ’70 emerge una realtà varia ed articolata: si passa dalla densità ed omogeneità delle aree centrali – compresi gli austeri blocchi umbertini e gli impianti dell’epoca fascista – direttamente alla frammentarietà della periferia del dopoguerra (tessuti residenziali spontanei contrapposti a quelli pianificati) che ingloba frammenti di campagna romana e memorie archeologiche. Soprattutto è facilmente leggibile il disegno delle infrastrutture viarie e dei quartieri per l’edilizia economica e popolare, pietre miliari dell’urbanistica e dell’architettura, realizzati grazie ai piani INA casa, ai programmi IACP, alla L. 167.

La stessa inquadratura al 2006 evidenzia che non è altrettanto facile riconoscere gli interventi realizzati in questo trentennio, sia perché l’edilizia residenziale pubblica con le sue strategie a grande scala è stata quasi inesistente, sia perché i nuovi interventi architettonici sono stati realizzati prevalentemente negli spazi interstiziali del tessuto o sono frutto di programmi di riconversione urbana. E’ significativo che, su 80 opere schedate, solo pochissime, quali l’Università di Tor Vergata o le residenze al Tiburtino, realizzano un nuovo riconoscibile disegno della rispettiva parte di città; i nuovi quartieri residenziali, prevalentemente di iniziativa privata, nonostante la grande estensione, sono indistinguibili, sia per la convenzionalità dei principi insediativi, sia perché materialmente non si conoscono, in quanto si è preferito non divulgare le caratteristiche tipologiche e le logiche d’intervento.

La nuova immagine della periferia si nega ad una visione unitaria, rappresenta piuttosto una stratificazione composita che non ha più quel carattere spontaneo e popolare del dopoguerra (quale risulta dai film neorealisti con i monumenti che metafisicamente campeggiano tra i lotti inedificati), ma non ha ancora acquisito un livello di organizzazione funzionale moderna. Venuta meno la visione ottimistica ed evocativa della città in crescita, che si espande per dare una casa ai nuovi immigrati, emerge oggi una realtà complessa, frutto di una strategia di compattazione urbana e di riconversione degli ambiti dismessi o sotto-utilizzati. Nella logica del progetto diffuso gli interventi migliori realizzati in questo ultimo trentennio o in via di realizzazione – che gli autori, con poche esclusioni, hanno meticolosamente censito – pur nella profonda diversità di contesti e di soluzioni formali, presentano alcuni caratteri comuni. Gli impianti hanno una struttura unitaria con morfologia aperta e flessibile, sia nell’impostazione planimetrica e nelle relazioni urbane, sia nel linguaggio, tendenzialmente moderno e con buoni livelli di sperimentalità, soprattutto quelli dell’ultimo decennio, frutto di un maggior confronto con la ricerca internazionale. Non a caso gran parte delle nuove opere esalta la iper-iconicità urbana dell’oggetto consentendo la creazione di veri e propri eventi nel tessuto edilizio, che diventano anche eventi sociali, in quanto evocativi del principio di riconoscibilità della comunità nei suoi monumenti architettonici.

E’ rilevante la capacità di determinare nuovi meccanismi di fruizione e di articolazione degli spazi; inoltre risponde alla moderna sensibilità il rifiuto della retorica monumentale, favorendo viceversa la valenza comunicativa e istituendo nuove relazioni con il contesto. In alcuni casi, però, in quanto sostituzioni edilizie o saturazioni di ambiti connotati, gli interventi sono poco incisivi sul disegno urbano, troppo rispettosi e, talvolta, perfino condizionati dai confini del lotto. Il tema della trasparenza delle facciate, favorito dall’uso delle nuove tecnologie, rafforza viceversa le relazioni con il paesaggio e il dialogo tra gli spazi, urbani e/o privati, rappresentando l’alternativa a una razionalità astratta, calata dall’alto e chiusa in forme concluse.

Tuttavia, in proiezione futura e per meglio rappresentare la contemporaneità, è necessario riequilibrare il rapporto conservazione/innovazione, puntando maggiormente sulla seconda; è sufficiente osservare come anche i progetti più significativi, il MAXXI ed il MACRO ad esempio, pur fondando il linguaggio sul gioco delle stratificazioni, risultano fortemente condizionati nelle possibilità espressive e funzionali per aver salvato pochi ed insignificanti parti di facciata. Infine Roma deve attuare con urgenza una nuova progettualità su ampia scala capace di conferire qualità alle periferie e alle infrastrutture territoriali.

Solo così le nuove architetture diverranno compiutamente frammenti di una logica complessa e policentrica, che ci consentirà di interpretarli come sistemi di luoghi in cui le differenze e le stratificazioni rappresentano l’elemento positivo.

Massimo Locci