I processi in Italia e la loro ragionevole durata

di Gianfilippo Elti di Rodeano

     Alla fine dello scorso anno 2008 il numero dei processi pendenti dinnanzi ai Tribunali Italiani, Corti di Appello e Corte di Cassazione erano di circa 3.2 milioni per i procedimenti penali, e di circa 5,4 per i procedimenti civili. Lo Stato Italiano ha pagato nel 2008 per risarcimenti ai cittadini coinvolti nei giudizi civili e penali per la eccessiva durata dei processi e per ingiusta detenzione la bella cifra di circa 32 milioni di euro e il dato è in costante aumento.

     La durata media di un processo penale (non è conteggiato il periodo delle indagini durante il quale la persona ha la pubblica qualifica di indagato con tutte le conseguenze negative sociali e nella sua vita di relazione) è di circa sei anni: mediamente tre anni per il primo grado, due per il giudizio in Appello e non meno di uno per quello in Cassazione. Sommando ai questi sei anni 2 anni circa di indagini per il rinvio a giudizio si arriva ad otto anni: Il tempo è troppo lungo e la conseguenza è che una alta percentuale dei procedimenti – sono circa 170.000 all’anno – è posta nel nulla dalla intervenuta prescrizione del reato.

     Tutto il lavoro fatto è quindi del tutto inutile e sono stati gettati al vento i soldi dei contribuenti stimati in oltre 80 milioni di euro all’anno oltre al danno di inutile attività dell’intero sistema. Per i processi civili la situazione è ancora più disastrosa: la durata media di una controversia civile per i tre gradi di giudizio è di circa 10 anni ed oltre (ultimamente presso la corte di Appello di Roma sono frequenti udienze rinviate a tre – quattro anni): tre anni per il primo grado, oltre quattro anni per l’appello e tre anni per il giudizio di legittimità in Cassazione.

     La produttività del sistema giustizia è quindi assai bassa rispetto agli altri paesi, malgrado che la spesa destinata al sistema Italia sia pressoché uguale a quella degli altri paesi europei di 7,5 miliardi di euro,e la classifica della Banca Mondiale per la durata dei processi pone l’Italia al 156 posto su 181 paesi; ci seguono soltanto Afghanistan, Suriname, Gibuti, India, Bangladesh, ecc.

     In Europa la durata dei processi è mediamente di un terzo di quella italiana malgrado il rapporto giudici per abitanti si attesti come negli altri paesi con 11 giudici per 100.000 abitanti; completamente fuori media è invece il numero di avvocati ; il rapporto sempre per 100.000 abitanti è di 200 in Italia (con forte tendenza all’aumento), 138 in Gran Bretagna, 146 in Germania, 154 in Spagna e solo 47 in Francia, tutti senza tendenze di aumento. Tale situazione determina pesanti conseguenze in campo economico disincentivando l’investimento di capitali esteri nel nostro paese per la incertezza dei tempi di definizione di ogni controversia, oltre che per il costo di ogni controversia in termini di tempo (il tempo è danaro per le imprese e per la finanza), quindi con l’aspetto negativo di un minore PIL e di minori posti di lavoro.

     La situazione è ben presente a tutte le forze politiche, ma i problemi di riorganizzazione del sistema sono complessi e si scontrano con fortissime resistenze locali (contro l’accorpamento delle sedi giudiziarie con l’abolizione di una gran numero di tribunali e di corti di appello) della stessa magistratura che vede nella concentrazione delle sedi una perdita di carriere direttive e un maggior controllo sulla produttività dei singoli magistrati, e dell’avvocatura legata strettamente al microterritorio che consente la “familiare” gestione dell’attività. Non da ultimo la difficoltà della informatizzazione abbastanza ostacolata in quanto consente un puntuale controllo sulla stessa produttività e la qualità del lavoro di tutti, impedendo ai singoli tutti operatori di giustizia, nessuno escluso l’interessato utilizzo dei tempi morti.

     In campo civile la riforma del processo è stata in parte attuata con l’inizio della semplificazione di alcune procedure, il maggior uso della informatizzazione e la attuazione in alcuni Tribunali campione ( ad es. Torino) di una organizzazione del lavoro che consenta lo smaltimento senza residui annuali della domanda degli utenti della giustizia ; la chiave è quindi nella capacità manageriale della dirigenza che non coincide spesso con la sapienza giuridica, e nella accettazione da parte dei singoli di precise regole di comportamento nel lavoro.

     Nel campo penale la questione ha almeno per ora un aspetto del tutto diverso: come si è detto la domanda di giustizia è superiore alla offerta del sistema: come si è detto una notevole parte dei reati non viene perseguita e un’altra notevole parte viene colpita dalla prescrizione compiuta in corso di giudizio vanificando l’attività svolta. La necessità di depenalizzazione di una gran parte dei microcrimini appare dunque necessaria, ma si scontra con la cultura penale del nostro paese poco incline alla gestione del fenomeno con pene alternative, che necessitano per la loro corretta efficacia di un apparato di controllo amministrativo e di polizia tutto da organizzare e creare.

     La durata del processo penale è stata molte volte sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e ed in relazione a tali censure – di fronte alle quali il sistema giudiziario italiano non ha più alcuna giustificazione – è attualmente in esame in Senato il nuovo progetto di legge contro la durata indeterminata dei processi penali, che verrebbe fissata in complessivi due anni per ciascuno dei tre gradi più un altro anno in caso di rinvio a giudizio. Passato inutilmente tale termine l’azione penale si estingue, eccezion fatta per i reati più gravi in cui la pena prevista sia superiore ai dieci anni.

     Sono esclusi i recidivi e i delinquenti e contravventori abituali o professionali, i reati di mafia e terrorismo, di associazione per delinquere, di circolazione stradale, di sicurezza sul lavoro, di pornografia minorile, incendio, stalking, furto aggravato, traffico di rifiuti ed altre ipotesi di reato di particolare allarme sociale. Le nuove norme si applicheranno ai processi in corso in primo grado del giudizio, mentre sono esclusi quelli pendenti in Appello e Cassazione. Il termine di compimento dei periodi, il cosiddetto “orologio”, si arresta per il tempo di sospensione e rinvio legittimo del procedimento penale. L’imputato avrà la facoltà di rinunciare alla estinzione del processo.

     Le polemiche politiche sul provvedimento così come strutturato allo stato sono innumerevoli; l’opposizione afferma che si tratta di un provvedimento ad personam a favore del Presidente del Consiglio e si prevede al riguardo una strenua battaglia tra gli opposti schieramenti politici; in tale battaglia si è inserita una parte della Magistratura sia per motivi politici di sostegno alle opposizioni, sia per la perdita di potere tecnicamente conseguente ai tempi imposti ai giudizi dalla nuova proposta di legge.

     Quello che è certo e incontrovertibile è che i tempi dei processi sia civili che penali costituiscono una gravissima lesione dei diritti dei cittadini ed un grave danno specialmente economico per il Paese, a cui comunque va posto rimedio, incidendo dove necessario sugli “interessi corporativi” dei politici, dei magistrati e degli avvocati, e la questione non è più rinviabile. 

    

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