LA BAIA DEL DUBBIO
Intervista all’Avv. Luigi Mazzella – Giudice Costituzionale, sul suo ultimo libro “La baia del dubbio”.
Avvocato, questa sua ultima fatica – “La baia del dubbio” – è da considerarsi il seguito degli altri due libri “Un gioco malandrino di finestre e balconi” e “Il chiodo nella sabbia”, oppure è un’opera autonoma?
E’ il completamento di una trilogia. Con questa differenza: mentre i primi due libri sono stati scritti nella forma dichiarata ed effettiva del romanzo, l’ultima opera, quella a cui lei si riferisce, è autobiografica. Con un’esattezza nei termini storici spinta fino al limite… della verità! Come è giusto che sia.
Questo titolo affascinante: “La baia del dubbio”, deriva dalle due riflessioni che aprono il libro, di Manzoni e Cartesio sull’utilità umana del dubbio?
Beh certamente! Quelle due citazioni rappresentano un po’ l’aspetto programmatico del libro. Sì, effettivamente il dubbio stimola la riflessione, pone l’intelletto in una fase sempre attiva. Nessuno dovrebbe mai adagiarsi nella mancanza di dubbi Sia nella vita, sia nella politica, sia nella storia, le certezze derivano da idee assolutistiche di ogni natura. Il libro vuole essere una sorta di dichiarazione di antitesi a tutte le ideologie in qualche modo totalizzanti. Sistemi filosofici che in qualche modo pretendono di risolvere tutti i problemi dell’universo spogliano l’uomo della sua libertà di indagare, con la propria intelligenza, per giungere ad una sua conclusione personale.
In considerazione della sua alta carica di Giudice Costituzionale, il libro è racconto autobiografico che ha la forma del romanzo per non essere considerato un vero e proprio saggio storico?
Ma guardi! È un racconto autobiografico perché risponde alla necessità di raccontare i fatti salienti della mia vita. Io scrivo per il piacere di raccontare e di ricordare. E’ chiaro che, coinvolgendo il libro eventi di un lungo periodo di tempo, ci sono dei riferimenti che possono dare l’apparenza di un saggio storico. Ma è sempre un racconto. E non ha altra pretesa.
Lei è stato il raffinato ispiratore, come giurista, di innovazioni fondamentali per la nostra democrazia parlamentare in molti campi: dall’abolizione del voto segreto, alle misure per contenere la crisi energetica (vedi targhe alterne), alla nascita delle fondazioni culturali, scientifiche, giuridiche, all’ingresso sul panorama commerciale italiano dei megastore (così come sono organizzati negli USA, con aree di servizi amministrativi per il cittadino) e di altre miliari proposte, come ha reagito la politica a tale invito di trasformazione del Paese?
Il discorso è difficile quando si vive in un paese dove l’impatto mediatico è sempre traumatico. La nostra stampa non usa l’understatement britannico. Durante la grande crisi energetica degli anni ‘70, il problema di come affrontare il risparmio dei combustibili riusciva ostico agli Italiani. Molti ritenevano che fosse senza vie d’uscita. I giornali contrastarono duramente le targhe alterne. Oggi sembrano un fatto acquisito. Allora non era così! Circa l’abolizione del voto segreto, la mia attività fu solo quella di dare una consulenza a Bettino Craxi, che in effetti aveva buone ragioni per porsi questo problema. Io gli avevo suggerito di proporre un referendum abrogativo della norma e Craxi lo minacciò. Poi le cose si appianarono e tutti ne fummo ben lieti.
Nel settore della cultura ho avuto vari incarichi, come risulta dal libro. Della legge sul finanziamento allo spettacolo, in qualche modo sono stato l’ispiratore, ma la legge porta giustamente il nome di Lagorio che era il Ministro dell’epoca. È la cosiddetta “legge madre” sui finanziamenti pubblici allo spettacolo da parte dello Stato. Prima di quel marchingegno, le leggi in materia tamponavano sempre debiti pregressi degli enti teatrali e del cinema. Io invece suggerii (studiando il problema con Andrea Monorchio) di costituire un fondo di rotazione triennale. Ciascuna attività di spettacolo poteva essere programmata sulla base di calcoli precisi. All’epoca avevo messo allo studio anche tre leggi di riforma (del cinema, del teatro lirico e del teatro di prosa). Purtroppo, però queste leggi non andarono avanti. Un po’ per i soliti tempi della nostra attività legislativa; un po’ perché all’epoca, (siamo nel 1985) risultavano troppo innovative. Gli orchestrali, (che erano già in prevalenza dipendenti dello Stato ad altro titolo, perché insegnavano nei conservatori) non potevano accettare di essere assunti soltanto a contratto ed essere pagati a prestazione, in relazione alle esigenze effettive dell’organico dell’orchestra. Volevano essere dipendenti a tempo indeterminato. Io ritenevo, invece, che ciò rappresentasse un aggravio eccessivo per lo Stato. Però, ripeto, i tempi non erano maturi per una proposta così avanzata. Per il teatro e per il cinema proponevo un sistema di detassazione per gli investimenti nel settore. Negli Stati Uniti e in Inghilterra le attività di spettacolo sono sempre state altamente lucrative. E non hanno mai avuto sostegni diretti dallo Stato. Da noi lo spettacolo ha bisogno di essere ancora aiutato dal danaro pubblico. Non si capisce perché bisogna far sostenere dallo Stato un’attività che con qualche agevolazione fiscale (detassazione degli utili reinvestiti) può reggersi sui propri piedi. Il finanziamento statale del cinema fu voluto dal fascismo per motivi di propaganda. Purtroppo i governi del dopoguerra hanno sempre mantenuto in vita quel sistema. La storia dimostra che negli Stati Uniti il cinema è da decenni la prima industria del paese. Noi siamo ancorati a leggi che in effetti sono sorte in un contesto del tutto diverso ma che continuano a essere in vigore. Ritengo che solo su basi imprenditoriali e sanamente commerciali le attività dello spettacolo potranno adeguatamente riprendersi.
Nella sua grande esperienza di giurista, ha collaborato istituzionalmente con molte figure politiche eminenti (ricordiamo De Martino, Leone, Craxi). Quali sono le diversità con i politici attuali? E’ cambiata la politica o il modo di fare politica?
Non credo che sia sostanzialmente difficile trovare oggi delle “cime alte” in politica. E’ vero che “l’intellighentia” italiana non tollera le cime più alte e ama reciderle e che per un politico di alto livello in Italia è molto difficile sopravvivere a lungo agli attacchi. Non credo ci siano delle differenze sostanziali con il passato. C’è una ricorrenza nella politica italiana per questo massacro delle personalità più eminenti. Anche Giulio Cesare fu ammazzato mentre era al culmine del suo successo e si racconta che Tarquinio Prisco era talmente convinto di questa necessità di pareggiare tutto, che nel suo giardino tagliava persino i fiori che erano più alti degli altri. D’altro canto, nell’Italia del dopoguerra i governi hanno sempre avuto breve vita. La nostra intellighenzia non perdona chi eccelle.
Quale futuro vede per il nostro Paese? Come sono cambiati gli Italiani? Cosa pensa del ruolo degli Italiani nel mondo?
1) Sul futuro del nostro Paese è difficile fare delle previsioni. Al momento, non sembrano rosee.
2) Come sono cambiati gli Italiani è la seconda domanda. Beh! Gli Italiani sono cambiati come sono cambiati un po’ tutti nel mondo. È l’effetto delle grandi migrazioni mondiali. Tante mentalità diverse e tante consuetudini differenti si accavallano le une sulle altre! Il cambiamento è inevitabile!
3) Gli italiani nel mondo. Gli Italiani nel bene e nel male raggiungono sempre punte molto alte. Il fatto che le raggiungano anche nel male dipende da un’applicazione perversa della loro intelligenza e della loro capacità organizzativa. Certo da italiano mi augurerei che questa versatilità, questa intelligenza, questa capacità di imporsi avvenisse solo in positivo, nella direzione del bene e non del male.
E’ un piacere, quando si viaggia all’estero, avere prove di un riconoscimento delle qualità dell’Italia. Penso al nostro buon gusto, alla nostra intelligenza, al nostro modo di vivere. A dispetto della tendenza ad autodenigrarci, spesso gli altri popoli ci invidiano.
Il mio augurio è che l’intelligenza del bene, tra gli Italiani, prevalga su quella del male.
Grazie per la cortese disponibilità.
BIOGRAFIA
Luigi Mazzella vive a Roma. È giudice della Corte Costituzionale. In precedenza è stato Avvocato Generale dello Stato e Ministro per la Funzione Pubblica. È cavaliere di Gran Croce, accademico dell’Accademia Filarmonica Romana e giornalista pubblicista. Ha scritto numerosi libri di saggistica. Con Un gioco malandrino di finestre e balconi ha vinto il Premio Speciale saggistica 2006 alla XXIII edizione del Premio Grinzane-Cesare Pavese.