Lactalis / Parmalat? Interventi del Sen. Elio Lannutti

PER COMPRENDERE L’EVOLVERSI DELL’OFFERTA PUBBLICA DELLA MULTINAZIONALE LACTALIS SU PARMALAT, PUBBLICHIAMO GLI INTERVENTI DEL SEN. ELIO LANNUTTI  DELL’ IDV E PRESIDENTE ADUSBEF

Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-02010

Atto n. 3-02010 (in Commissione)

Pubblicato il 24 marzo 2011
Seduta n. 527

LANNUTTI – Ai Ministri dell’economia e delle finanze e dello sviluppo economico. –
Premesso che:
come si apprende dalla lettura di un articolo del "Corriere della sera" del 22 marzo 2011, nei giorni scorsi «Lactalis e i fondi esteri soci di Parmalat hanno siglato un accordo per la cessione di tutte le quote al gruppo francese ad un prezzo di 2,8 euro per azione (per un totale di circa 744 milioni di euro). Lactalis, dopo l’acquisizione di questa quota del 15,3%, ora controlla direttamente o indirettamente il 29% di Parmalat ad un passo dalla soglia del 30% che prevederebbe l’Opa obbligatoria. Lactalis – si precisa in una nota – ha raggiunto l’accordo con i fondi Zenit Asset Management, Skagen As e Mackenzie Financial Corporation per l’acquisto di tutte le azioni ordinarie in loro possesso, pari al 15,3% del capitale, ad un prezzo di 2,8 euro per azione. L’accordo – prosegue il comunicato – verrà eseguito nei più brevi tempi tecnici necessari» e l’esecuzione potrà avvenire «mediante acquisti effettuati direttamente dal gruppo Lactalis», e, in alternativa, «nell’ambito di contratti di equity swap»;
il Consiglio dei ministri in data 23 marzo 2011 ha approvato il decreto anti-scalate (decreto-legge recante disposizioni urgenti a tutela della aziende strategiche operanti in Italia), che punta a restringere il margine di manovra per le società straniere che abbiano intenzione di assumere il controllo di società italiane, inserendo, con il provvedimento, l’obbligatorietà del parere preventivo, sul modello della legge francese "anti-Opa" del 1995;
come si legge su "Il Giornale" del 23 marzo 2011, Parmalat negli ultimi sette anni, dopo il crac Tanzi, è stata gestita da un commissario, Enrico Bondi, che invece di rafforzare la società mediante fusioni o acquisizioni, ha accumulato un tesoro di circa 1,5 miliardi di euro derivanti in gran parte dalle cause fatte alle banche considerate conniventi con il "Lattaio di Collecchio";
oltre a questo, Bondi ha disegnato uno statuto societario con il quale la lista che raggiunge la maggioranza in assemblea, prende anche una straordinaria maggioranza in consiglio. Alcuni fondi avevano capito l’affare al punto che già l’anno scorso il 20 per cento della società era in mano a quattro fondi istituzionali stranieri. L’intraprendente capo della Lactalis non ha fatto altro che dare un bel pacchetto di quattrini a questi fondi e si è portato a casa "la gallina dalle uova d’oro" ad un prezzo complessivo inferiore alla stessa cassa che si troverà in dote. Al francese inoltre basterà il 29 per cento per avere il potere assoluto in Consiglio d’amministrazione: altro regalo del capitalismo italiano, evitando di lanciare una costosa offerta pubblica sul mercato per comprare il flottante, che avrebbe reso la scalata ben più costosa;
sempre dallo stesso quotidiano si apprende che è stata Patrizia Micucci, in qualità di capo dell’investment banking in Italia di SocGen, ad aver rastrellato le azioni Parmalat per conto di Lactalis. Ad organizzare la fantomatica cordata degli italiani ci sarebbe dovuta essere Intesa San Paolo, il cui capo dell’investment banking è Fabio Cané. Intesa San Paolo ha proposto per il cda di Parmalat una lista guidata da Enrico Bondi, ossia lo stesso amministratore delegato che i tre fondi stranieri con il 15 per cento di Parmalat, volevano mandare a casa. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i tre fondi stranieri si sono accordati per vendere le loro quote ai francesi di Lactalis. Con una piccola e poco evidente anomalia, rappresentata dal fatto che Cané e Micucci sono marito e moglie,
si chiede di sapere:
se risulti al Governo quali siano le ragioni che hanno indotto Enrico Bondi, a quanto risulta all’interrogante strapagato e riverito amministratore di Parmalat, ad accumulare un tesoro di 1,5 miliardi di euro cash suscitando gli appetiti di Lactalis, invece di investire per produrre alleanze o eventuali fusioni mettendola così al riparo dalla scalata dei francesi della famiglia Besnier;
se risponda al vero che ai francesi di Lactalis basterà rastrellare il 29 per cento di Parmalat per conquistare il potere assoluto nel consiglio di amministrazione invece di lanciare una costosa offerta pubblica sul mercato per comprare il flottante e remunerare i piccoli azionisti, che avrebbe reso la scalata più costosa;
se risponda al vero che sia stata Patrizia Micucci ad aver rastrellato le azioni Parmalat per conto di Lactalis, mentre ad organizzare la cordata degli italiani ci sarebbe dovuta essere Intesa San Paolo, il cui capo dell’investment banking è Fabio Cané;
se risponda al vero che Fabio Cané e Patrizia Micucci siano consorti.

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Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 2-00346

Atto n. 2-00346

Pubblicato il 19 aprile 2011
Seduta n. 543

Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell’economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti. –
Premesso che:
si apprende dalla lettura di un articolo del 21 febbraio 2011 pubblicato su "La Sera di Parma" che sarebbero «due le ipotesi in campo per la cordata italiana Parmalat: per contrastare la francese Lactalis, azionista col 28,9% del gruppo di Collecchio, sul tavolo del pool di banche, capeggiate da Intesa Sanpaolo, ci sarebbero due opzioni. Lo scrive "Il Sole- 24 ore" oggi. La prima, con la costituzione di una super-holding, vedrebbe Granarolo conferire esclusivamente i suoi asset produttivi nella newco LatCo, in cui entrerebbero anche le attività industriali di Parmalat; l’altra prevede l’erogazione a Granarolo di un prestito per acquistare direttamente la quota Lactalis. C’é al vaglio anche, ma viene considerata più defilata, la possibilità di far entrare soci esteri di minoranza. Nel primo scenario, le quote della newco verrebbero divise tra Granarolo, le banche e la Cassa depositi e prestiti, con queste ultime tre nel ruolo di partner finanziari. Il summit tra gli istituti (oltre a Intesa, anche Mediobanca, Unicredit e Bnl) che molti si attendevano decisivo, scrive inoltre il quotidiano economico, in realtà è invece servito a fare il punto della situazione e a mettere dei capisaldi per dar vita ad un progetto industriale con una forte componente italiana»;
secondo un articolo del quotidiano "la Repubblica" dell’8 aprile 2011, «Intesa Sanpaolo e Granarolo si preparano a definire gli ultimi dettagli della cordata italiana per Parmalat. Obiettivo: mettere sul tavolo entro la prossima settimana i mezzi finanziari (qualcosa più di 3 miliardi tra debito e capitale) necessari per un’Opa parziale su Collecchio e poi presentarsi da Lactalis per provare a convincere i francesi a cedere la loro quota del 29%. Quest’ultima sarebbe l’ipotesi di gran lunga preferita dai partecipanti alla cordata. A quel punto infatti basterebbero 1,5 miliardi per chiudere la partita senza offerta in borsa (e forse senza nemmeno la necessità di coinvolgere la Cassa Depositi e prestiti) mantenendo in Italia il controllo della società emiliana. I comitati tecnici stanno definendo in queste ore gli ultimi particolari dell’operazione. Da sciogliere restano due nodi: il tipo di coinvolgimento di Unicredit e Mediobanca – Cà de Sass vorrebbe convincerli a entrare nel capitale della newco che gestirà l’operazione, loro preferirebbero dare solo finanziamenti – e il ruolo di alcuni fondi di private equity (Clessidra ed Equinox in primis) che avrebbero dato la loro disponibilità a un investimento. Il Tesoro sta valutando invece il ruolo della Cdp, necessario, a dire il vero, solo se sarà indispensabile l’Opa. A fornire ai soci di Granarolo la liquidità necessaria per entrare in Parmalat sarà, alla fine, la stessa società guidata da Enrico Bondi. Anche qui si stanno limando i dettagli tecnici ma lo schema è chiaro: Collecchio – che in cassa ha 1,4 miliardi di liquidità – rileverà le attività lattiero casearie delle cooperative a un prezzo pari allo stesso multiplo cui saranno valutate le azioni Parmalat acquistate dal gruppo bolognese»;
si legge invece su "MilanoFinanza" del 15 aprile: «Parmalat ha ceduto lo 0,61% a quota 2,28 euro dopo che il consiglio d’amministrazione di Granlatte, azionista di controllo di Granarolo con il 78%, ha dato un mandato al presidente del gruppo, Gianpiero Calzolari, per proseguire le trattative con le banche volte a far nascere una cordata che acquisti Parmalat in alternativa a Lactalis, azionista con il 29%. Due le ipotesi in campo per la cordata italiana sul tavolo del pool di banche, capeggiate da Intesa Sanpaolo. La prima, con la costituzione di una super-holding, vedrebbe Granarolo conferire esclusivamente i suoi asset produttivi nella newco LatCo, in cui entrerebbero anche le attività industriali di Parmalat. L’altra prevede l’erogazione a Granarolo di un prestito per acquistare direttamente la quota in mano a Lactalis. Nel primo scenario, le quote della newco verrebbero divise tra Granarolo, le banche e la Cassa depositi e prestiti. Il summit tra gli istituti (oltre a Intesa, anche Mediobanca, Unicredit e Bnl) è servito a fare il punto della situazione e a mettere dei capisaldi: dar vita a un progetto industriale con una forte componente italiana. Conti alla mano, per lanciare l’opa sul 60% di Parmalat occorrono circa 3 miliardi di euro, equamente ripartiti tra equity e debito. Cdp potrebbe investire 500 milioni, Intesa 120 milioni, Mediobanca e Bnl sarebbero disposti a versarne 50-60 a testa e Unicredit, a questo punto, non potrebbe sottrarsi dall’affiancare gli altri istituti. L’assemblea di Parmalat è stata spostata al 25,27 e 28 giugno, e gli architetti della cordata italiana hanno così tutto il tempo per disegnare la compagine azionaria alternativa a Lactalis e trovare le risorse per sostenere le ambizioni»;
secondo "Il Sole-24 ore" di venerdì 15 aprile, ci sarebbe una super holding per la nuova Parmalat. Tra le ipotesi: prestito a Granarolo per la quota Lactalis e conferimento degli asset a una newco "aperta";
si legge infatti: «sarà con ogni probabilità una super-holding in cui saranno conferitigli asset di Granarolo a custodire il nucleo centrale del gruppo industriale che nascerà (sempre che tutto fili liscio) dall’unione tra la cooperativa bolognese e il colosso di Collecchio. Il piano attualmente sul tavolo delle banche, dove Intesa Sanpaolo è stata affiancata da UniCredit e Mediobanca, prevede che le attività industriali di Granarolo vengano conferite alla LatCo, newco in cui entreranno anche quelle di Collecchio: nel migliore degli scenari per Granarolo, questo dovrebbe essere sufficiente per evitare esborso di contanti e il peso di nuovi debiti, ma si sta anche lavorando sull’ipotesi di erogare un prestito alla cooperativa in modo da permetterle di acquistare direttamente la quota del 29% rastrellata dai francesi di Lactalis. Nel primo scenario, le quote della newco verrebbero divise tra Granarolo, le banche e la Cassa depositi e prestiti, con queste ultime tre nel ruolo di partner finanziari: nella nuova holding verrebbero poi apportate le attività di Parmalat, creando una nuova realtà industriale italiana in grado di competere coni big europei. Nella seconda ipotesi, Granarolo riceverebbe un finanziamento per comprare le quote di Lactalis che dovrebbe poi conferire nella nuova holding, che sarebbe però aperta all’ingresso di altri soci industriali, non necessariamente italiani. Secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, per eludere uno stop dell’Antitrust e minimizzare l’impatto delle sovrapposizioni industriali e geografiche derivanti dall’unione tra Parmalat e Granarolo, la cooperativa bolognese conferirebbe solo gli stabilimenti complementari a quelli del gruppo di Collecchio, conservando i restanti. Con questa formula, l’operazione avrebbe un impatto minimo sul versante occupazionale: un, vantaggio non banale, questo, alla luce dei timori già espressi dai sindacati della Parmalat e dei tentativi di Lactalis di rassicurare gli italiani proprio su questo fronte. Ma quanto costerebbe questa ipotesi? I primi calcoli, basati sul lancio di un’Opa parziale sul 6o% del capitale di Parmalat, prevedono un esborso compreso tra i 3 e i 3,5 miliardi di euro. La seconda opzione richiede meno capitali, ma è più sofisticata: le banche concederebbero un prestito a Granarolo per rilevare il 29% in mano a Lactalis e successivamente la stessa cooperativa conferirebbe gli asset più il pacchetto di controllo di Parmalat in LatCo. L’importo sarebbe pari al valore della quota del 29% in mano a Lactalis, che ha pagato circa 1,5 miliardi. Resta da vedere quale atteggiamento assumerà Lactalis. I francesi per ora aspettano: con il 29% in mano, sanno bene che la prima mossa dovranno farla gli italiani con un’offerta adeguata al prezzo pagato per comprare le azioni. Ufficialmente, Lactalis ha sempre detto di voler andare avanti e arrivare in assemblea a fine giugno per nomi- nare il proprio management, ma è chiaro che uno scontro il governo italiano non è nel loro interesse. Poi c’è il nodo dell’architettura finanziaria dell’operazione, ancora tutta in fieri. E sono appunto le due ipotesi. Sullo sfondo c’è anche l’ingresso di un partner estero, probabilmente con una quota di minoranza, per non contraddire lo spirito nazionalista della cordata. La brasiliana Lacteos (già candidatasi prima dell’arrivo di Lactalis), si sarebbe fatta avanti, seguita dall’olandese Friesland-Campina e dai messicani di Lala. Lacteos ha chiesto aiuto a Banca Leonardo per mettere sul tavolo 2-300 milioni di capitale»;
considerato che:
come descritto nell’atto di sindacato ispettivo dell’interrogante 4-03778, l’intervento di banca Intesa per difendere l’italianità (finta) di Alitalia con il salvataggio di AirOne, azienda indebitata con la banca di Corrado Passera, venne valutata ad un costo di circa 3 miliardi di euro a carico della fiscalità generale. Si leggeva, infatti, su un articolo pubblicato su "Il Sole- 24 ore" del 1° ottobre 2010, che «Il consolidato del gruppo Toto nel 2009 indicava infatti un valore della produzione di 192,5 milioni, in netto calo rispetto ai 968 del 2007, l’ultimo bilancio che comprendeva Air One. I debiti lordi a fine 2009 erano 576 milioni, rispetto ai 649 del 2008 e ai 1.142 di fine 2007. I debiti verso banche erano 191 milioni nel 2009 (682 nel 2007), quelli verso altri finanziatori 275 milioni (114 nel 2007). Il bilancio consolidato 2009 dichiara un utile netto di competenza di 1,94 milioni (2,83 milioni nel 2007). Il revisore Kpmg sottolinea che il valore della produzione, alla voce variazioni per lavori in corso, beneficia di 25,3 milioni di claims, le riserve per contenziosi negli appalti oggetto»;
nell’atto parlamentare si sottolineava che: «alla Toto costruzioni generali, la holding del costruttore originario di Chieti, fanno capo oggi sia il 100 per cento di Apfl (società di diritto irlandese), sia un pacchetto del 5,3 per cento della nuova Alitalia. Quest’ultima partecipazione è una delle contropartite ottenute in cambio del conferimento di Air One alla cordata Cai; come risulta da un articolo pubblicato su "Mondo" il 2 luglio 2010, "le altre sono state i soldi cash (circa 250 milioni di euro) e il trasferimento ad Alitalia dei 490 milioni di debiti finanziari legati agli aerei passati nella nuova società. (…) l’affare di Toto è stato garantirsi il ruolo di fornitore di nuovi apparecchi alla compagnia di cui è diventato azionista e consigliere di amministrazione. Attraverso Apfl ha, infatti, già piazzato un bel numero di aerei in affitto ad Alitalia. In particolare, da quando è partita la nuova gestione, sono entrati in servizio 13 Airbus A320"; la società irlandese veniva costituita nel dicembre 2008, mentre Toto perfezionava la cessione di Air One a Cai per 454,9 milioni, prezzo poi ridotto di 9,1 milioni»;
si legge ancora sull’interrogazione che «per Carlo Toto "Liberarsi di Airone e della montagna di debiti a essa collegata è stata una manna. A rivelarlo è l’ultima riga del bilancio della holding dell’imprenditore teatino. Se nel 2008 Toro Costruzioni Generali aveva chiuso con perdite per 450 milioni (efferto di una maxi svalutazione di 483 milioni di euro di Ap holding la scatola che conteneva Airone), l’anno seguente, dopo aver passato la mano, l’esercizio è tornalo in utile di 2,3 milioni. Molte voci del bilancio, del resto, evidenziano che Airone pesava come piombo. La situazione debitoria di Toto si è complessivamente alleggerita di 260 milioni di euro rispetto ai 509 milioni del 2008. (…) La gestione diretta dell’irlandese Apfl è stata affidata nel frattempo da Toto al figlio Riccardo e a Lino Bergonzi, ex direttore generale di Airone con un passato in Impregilo e Adr. Al loro fianco nel board figurano anche Baldur Vander, un banchiere di East Merchant capital, Adrian Wrafrer, l’ex direttore della Camera di commercio americana a Dublino e (…) il politologo ed ex consulente della Casa Bianca Edward Lurrwak"», e che «la società irlandese di Toto vanta "oltre a 17 aerei già in servizio (…) un pacchetto di opzioni per l’acquisto di altri 49 Airbus A320, 12 Airbus A330 e di 12 Airbus A350. (…) 92 aeromobili entro il 2018, che secondo i piani costituiranno il 90 per cento della nuova flotta Alitalia. (…) Unica differenza rispetto al passato è che sotto la fusoliera batterà un tricolore irlandese anziché italiano. Ma tant’è, visto che il valore economico per Toto si aggira secondo le stime in oltre i miliardo di euro di canoni incassati nell’arco di otto anni. Che il business aereo per Toto non si fosse esaurito con la cessione di Airone è d’altra parte confermato dalla scelta di proseguire l’attività di servizio aerotaxi attraverso un’altra controllata della holding di Chieti. (…) La piccola società che vende pacchetti di ore di volo a privati e aziende continua a chiamarsi Airone Executive, proprio come la compagnia finita nelle mani di Roberto Colaninno e soci"»,
si chiede di sapere:
se al Governo risulti che la vendita di Parmalat a Granarolo replicherà l’affare di Carlo Toto con la sua AirOne, azienda indebitata con Intesa SanPaolo che ha tratto vantaggi dall’ingresso della nuova Cai, continuando a fare buoni affari con Alitalia dando in leasing alla compagnia guidata da Rocco Sabelli i jet airbus nuovi di zecca che alcuni anni fa si era impegnato ad acquisire, pur senza avere sufficienti capitali, grazie al credito bancario;
quale sia l’indebitamento netto del gruppo Granarolo con il sistema bancario nel 2010, in particolare con Intesa SanPaolo, posto che nel bilancio 2009, a fronte di 871,8 milioni di ricavi dalle vendite, si trovavano appostati 146 milioni di fidejussioni e 182 milioni di debiti verso le banche;
se risponda al vero che la partecipazione di Granarolo alla controffensiva lanciata per contrastare l’avanzata della francese Lactalis non sarebbe fattibile, visto che la cooperativa Gran Latte, che controlla Granarolo, non sarebbe nella posizione di investire in Parmalat;
quali misure urgenti il Governo intenda attivare, per impedire che le banche che hanno erogato affidamenti alle imprese, come nel caso di AirOne, possano rientrare attraverso operazioni strategiche che, a giudizio dell’interpellante, per tutelare una presunta italianità, finiscono per difendere gli interessi dei banchieri e dei loro allegri affidamenti, che sarebbero stati iscritti a sofferenza, senza interventi a carico della fiscalità generale, quindi dei cittadini contribuenti.

 

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