
Per l’obiettivo, ruolo geografico e per le sua cultura dell’accoglienza dei migranti, l ‘Italia poteva e doveva essere un Paese guida della politica europea per il Sud Mediterraneo e invece è rimasta inerte e isolata, perché?
La politica estera di Berlusconi ha sempre avuto l’unico scopo di ricercare soluzioni personali di effetto immediato, a breve termine, da usare a favore della sua immagine in Italia e spesso anche degli interessi privati delle sue aziende. Insomma, nessun vero progetto che andasse oltre l’immediato, con l’inevitabile rischio di buttare all’aria un’antica strategia portata avanti dall’Italia nell’intera area mediterranea. La politica internazionale italiana ha avuto da sempre a cuore l’interesse per il Mar Mediterraneo, da Giolitti fino a Romano Prodi il quale, sia da presidente della Commissione Europea che da presidente del Consiglio italiano, ha molto investito sulla costruzione di una reale politica euromediterranea. Proseguendo su quella linea, l’Italia sarebbe potuta diventare il vero interprete politico ed economico del Nord Africa. Oggi, invece, l’Italia è uscita di scena nel Mediterraneo, a livello sia politico che economico. Berlusconi non ha capito che la sponda sud del Mediterraneo è fondamentale per la nostra economia e per i nostri rapporti commerciali. Non ha avuto inoltre consapevolezza che una relazione seria, meditata e continuativa fra le due sponde avrebbe potuto creare un inedito spirito costruttivo per uno spazio euro – mediterraneo.
Dopo il sit-in organizzato a Roma dal Partito Democratico sulla necessità di fornire un sostegno alle popolazioni del Nord Africa per migliorare le loro condizioni civili ed economiche, come intendete procedere? Quali altre iniziative assumerete?
La situazione in Libia in queste ore si è molto aggravata. Gheddafi mette in atto una ferocissima repressione del dissenso e il flusso migratorio verso le nostre coste non accenna a fermarsi. L’Italia ha il dovere di essere coerente con gli impegni assunti con il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e adottare ogni iniziativa necessaria ad assicurare una concreta protezione dei civili, degli innocenti. In questa situazione, l’azione del Pd, come opposizione responsabile, non può prescindere dalla risoluzione dell’Onu. Dobbiamo vigilare che il governo non ne superi i contenuti, non ne aggiri il mandato. L’Italia non deve passare dalla difesa della popolazione civile a vere e proprie azioni di guerra.
Torniamo alla politica nazionale. A che punto siamo con la modifica della legge elettorale?
Abrogare l’attuale legge elettorale è fondamentale per la qualità della nostra democrazia. Con il cosiddetto porcellum, approvato dal governo Berlusconi alla vigilia delle elezioni del 2006 per il timore di perderle, i cittadini hanno perduto la loro sovranità: non sono più liberi di scegliere chi li rappresenterà in Parlamento. È un sistema assolutamente antidemocratico e incostituzionale. Per il Pd cambiarlo è una priorità. Ma Berlusconi da questo orecchio non ci sente: con l’attuale legge elettorale può continuare a "nominare" parlamentari le sue amiche, i suoi amici e i suoi avvocati.
Ci può fare un punto sull’attuazione del Federalismo.
La Lega ha sbagliato. Il buon federalismo è possibile solo con il Pd. Con Berlusconi e con il Pdl il federalismo della Lega sta producendo più tasse per gli enti locali e per i cittadini. Il Pd lo ha detto più volte in Parlamento e sta cercando, per via parlamentare, di raddrizzare l’albero storto del federalismo fiscale. Quando la Lega dà retta al Pd, qualche risultato si vede. È molto importante la disponibilità di Calderoli ad inserire nel decreto sul fisco municipale la clausola di salvaguardia sui tagli 2011 e 2012 per i Comuni. È il risultato della battaglia del Pd per estendere anche ai Comuni quanto già previsto dal decreto sul fisco regionale, che può avere un grande significato per sollevare i Comuni dalla grave crisi finanziaria determinata dai tagli del Governo.
Politica e giustizia: che fare per svelenire il clima, senza danneggiare i cittadini?
I ripetuti appelli del presidente della Repubblica hanno valore per tutti, tranne che per Silvio Berlusconi che continua con i suoi attacchi quotidiani ai magistrati. Il presidente del Consiglio è ossessionato dalla magistratura. Detesta ogni regola e svillaneggia le istituzioni democratiche. Se la prende con i magistrati, infanga la Corte Costituzionale e non rispetta il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica. Sempre più spesso offende la libera stampa e non nasconde il suo disprezzo per il Parlamento. Il presidente del Consiglio italiano è evidentemente intollerante alla democrazia. Alza i toni per poter far credere all’opinione pubblica d’essere vittima di un sistema che congiurerebbe contro di lui. Fino a quando Berlusconi penserà di doversi sottrarre ai giudici, per l’Italia sarà impossibile affrontare serenamente i problemi della giustizia penale. Ed è un male perché all’Italia servirebbe riformare la giustizia. Stando molto attenti che non vengano scalfiti i principi fondamentali dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e dell’obbligatorietà dell’azione penale. Sono questi i presupposti imprescindibili di una riforma democratica, rispettosa della divisione dei poteri su cui si regge ogni democrazia. Silvio Berlusconi ha più volte annunciato riforme "epocali" della giustizia ma poi, nei fatti, ha fatto approvare solo le ormai famigerate leggi ad personam che gli hanno consentito, di volta in volta, una via di fuga dai suoi processi. Abbiamo calcolato che, dal 2001 ad oggi, la maggioranza che sostiene il governo Berlusconi ha approvato ben 36 leggi ad personam, moltissime tese a creare una sorta di impunità del premier, altre per preservare i suoi interessi privati per lo più legati a Mediaset e a Fininvest.

Come e con chi cercherete di battere Berlusconi?
Politicamente, Berlusconi è già finito. Alleati storici lo hanno abbandonato, pezzi di maggioranza sono insoddisfatti, lui stesso è costretto a fare shopping di deputati per tenere in vita un governo agonizzante. Quando finirà, "il ventennio berlusconiano" lascerà degli strascichi pesanti nel Paese per il ribaltamento dei valori e delle regole della democrazia che Berlusconi ha via via affievolito a colpi di decreti legge, maxiemendamenti, voti di fiducia. Quando se ne andrà, sarà necessario un lungo lavoro di ricostruzione. Bisognerà ricostruire l’unità nazionale e riacquistare prestigio internazionale, trovare una soluzione al debito pubblico, riqualificare scuola, università, ricerca scientifica. Ci serviranno politiche industriali e fiscali nuove. Dovremo ricercare le condizioni per lo sviluppo e sconfiggere la disoccupazione. Un lavoro molto lungo che solo coalizioni molto larghe e stabili potranno portare a termine. I problemi che Berlusconi si lascerà dietro, non potranno certo essere risolti da maggioranze elettorali anche del solo 35% degli italiani che un sistema elettorale iper maggioritario trasforma in maggioranza parlamentare del 55%.
A che punto è la vostra proposta di rivedere la legge sul voto degli Italiani all’estero?
C’è chi vuole sopprimere il voto degli italiani all’estero, io penso che vada difeso seriamente. Certo, la legge elettorale per gli italiani all’estero va corretta anche rivedendo la configurazione dei collegi elettorali. Ma è necessario soprattutto inserire delle garanzie per il voto per corrispondenza. L’obiettivo deve essere la sicurezza del voto in un contesto dove, per ovvie ragioni geografiche, sono di difficile gestione e controllo le operazioni che vanno dalla consegna delle schede allo spoglio dei voti.