Intervista a Mons. ANTONIO MARIA VEGLIO’ Presidente del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti

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Mons. Vegliò, quali sono gli impegni del Pontificio Consiglio da lei presieduto, davanti alla scottante situazione dei profughi del Nord Africa che arrivano in Italia?

Trattandosi di un fenomeno che con maggiore impatto tocca l’Italia, incoraggiamo le prese di posizione dei Vescovi Italiani e delle varie opere della Chiesa che lavorano nel campo dei migranti e dei profughi. Naturalmente non perdiamo occasione di sottolineare che queste persone, meno fortunate, hanno bisogno della nostra solidarietà, come più volte ha sottolineato il Santo Padre, e vanno rispettate nella loro dignità di esseri umani. 


Per superare l’ancestrale avversione verso gli immigrati, cosa fare?

“Non abbiate paura”. Oggi più che mai l’invito del Beato Giovanni Paolo II è di attualità. Ad esso si aggiunge quello dell’8 maggio scorso di Papa Benedetto XVI che esorta a superare “la paura degli altri, degli estranei e dei lontani che giungono alle nostre terre”. Infatti, le situazioni nuove, che non si conoscono e non si è preparati ad affrontare, creano difficoltà, incomprensioni, e talvolta addirittura avversione, come Lei dice. Pertanto è dovere di tutti fornire una corretta e ampia informazione ai cittadini dei Paesi ad quem circa le principali cause che spingono tanti migranti e rifugiati a lasciare la propria patria, i propri affetti e le proprie sicurezze per giungere "alle nostre terre". I motivi sono tanti e molto diversi: la povertà, la disoccupazione, la crisi economica, i conflitti politici e sociali, la fame, le guerre, la violazione dei diritti umani e la criminalità organizzata. Vi si aggiungono ora i disastri naturali provocati dai cambiamenti climatici e dalla gestione scorretta del territorio.
I canali per diffondere tali informazioni sono molteplici. Primi fra tutti i mass media, che dovrebbero utilizzare la loro forza mediatica bilanciando le esigenze del profitto con la precedenza dovuta ai fatti d’attualità e un’informazione sui problemi del sociale volta a sensibilizzare le coscienze. Il tema della migrazione è attuale e sempre più lo sarà a motivo della crescente mobilità delle persone. Altro canale importante per veicolare le informazioni sono gli istituti d’istruzione. Formiamo quindi i formatori perché offrano agli studenti un insegnamento ricco di dati della storia, della tradizione e della collocazione geografica dei migranti. Ognuno di loro viene da una cultura precisa che, se conosciuta, rende più facile l’approccio, il dialogo e il superamento delle diffidenze. Quegli studenti, poi, che dopo aver ultimato un ciclo di studio tornano nei propri Paesi, possono diffondere altrove quanto hanno appreso, facendosi testimoni della conoscenza e dei benefici acquisiti. Altro ruolo di peso è quello svolto dalle religioni, che come ha sottolineato recentemente il Santo Padre, non devono "formare identità in antagonismo o in conflitto", ma al contrario, devono aiutare ad avere una "identità religiosa ben fondata e favorire la formazione di identità aperte ad altre identità".
È importante, inoltre, che i Paesi di accoglienza si dotino di leggi e disposizioni adeguate per regolarizzare i flussi e far rispettare i diritti e i doveri dei cittadini e degli immigrati e rifugiati. Solo un impegno politico basato su una legislazione giusta può consentire la convivenza pacifica fra gli abitanti.

La Chiesa si è costantemente pronunciata a favore dei migranti, anche se abbiamo osservato che questa posizione è più riscontrabile in Italia che nel resto del mondo. Perché?

È vero che la Chiesa italiana, grazie alla sua organizzazione capillare sul territorio e all’operosità generosa di suoi membri, svolge un lavoro encomiabile e non cessa di pronunciarsi a favore dei più deboli. Ma è anche vero che la Chiesa cattolica negli altri Paesi, sulla base della realtà locale e delle forze di cui dispone nei diversi contesti, dà esempio di dedizione e pure di coraggio nella sua Opera Pastorale. Per esempio, i Vescovi degli Stati Uniti, dell’Australia, della Germania e tanti altri si sono appellati ai rispettivi governi e/o alle Chiese di partenza da cui provengono i migranti e rifugiati al fine di alleviare le loro sofferenze e sostenerli nelle difficoltà. A testimonianza di ciò vi è pure l’impegno con cui viene accolto il Messaggio annuale del Santo Padre per la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. In questa occasione tutte le Chiese locali rispondono con specifiche celebrazioni.

Eccellenza, la globalizzazione può essere stato un fattore scatenante della migrazione?

L’emigrazione esiste da lunga data, ma certamente il processo di globalizzazione ha dato notevole impulso al flusso dei migranti e dei rifugiati. Ora il mondo è diventato come un villaggio globale.
In epoche precedenti, come esempio il XVII secolo, la gente già migrava verso i Paesi vicini. La marina mercantile olandese si serviva di velisti provenienti da altri Paesi. Lo stesso valeva per gli eserciti, ma anche per il lavoro stagionale che spingeva le persone a muoversi da un impiego all’altro seguendo le stagioni. Al giorno d’oggi, ci accorgiamo che gente di ogni nazionalità lascia il proprio Paese e spesso il proprio continente alla ricerca di un lavoro. Non è strano trovare Filippini che esercitano un’attività a Roma o Indiani impiegati nella Silicon Valley in California, o Congolesi a Johannesburg e Ghanesi in Corea. Questi migranti contribuiscono allo sviluppo dei Paesi che li accolgono, così come avveniva nel XVI secolo. Lo stesso vale per i rifugiati. La gente fugge da regimi repressivi e dalla violazione dei diritti umani. Solo sessant’anni fa, dopo la II Guerra Mondiale, si trattava soprattutto di un problema europeo. A poco a poco, tramite un più facile accesso ai trasporti, rifugiati provenienti da diverse parti del mondo sarebbero potuti convogliare nei Paesi europei. Ora possiamo riconoscere che la maggior parte dei profughi ancora rimane nella propria regione d’origine. Inoltre, il concetto di rifugiato è in continua espansione e nuove sfide si stanno manifestando. Per esempio, le migrazioni indotte dal clima costituiranno un enorme problema nei prossimi decenni, a motivo dei repentini cambiamenti climatici. Si dovrebbe, pertanto, mettere a punto un’organizzazione di protezione, per la quale il mondo internazionale non è ancora pronto.
La crisi finanziaria mondiale comporta molteplici conseguenze e i migranti sono tra quelli che maggiormente ne risentono. La caduta dell’economia porta disoccupazione con conseguente diminuzione delle preziose rimesse dei migranti ai Paesi d’origine. In questo momento le rimesse che i migranti mandano a casa ogni anno in tutto il mondo ammontano a oltre 300 miliardi di dollari.
Guardando la situazione in Africa settentrionale, notiamo che stanno lasciando la Libia migranti e rifugiati, il cui numero complessivo è attualmente di 842.000 persone1. Tale partenza dalla Libia si riflette anche sui loro Paesi d’origine. Infatti, in Tunisia ne sono arrivati 427.000, di questi 46.000 sono tunisini che erano emigrati in Libia per lavoro. L’Egitto ne ha accolti 296.000, fra questi 96.000 suoi connazionali, mentre in Niger sono giunti 63.000 suoi cittadini sempre di ritorno dalla Libia. Ciò significa che le economie deboli devono affrontare nuovi arrivi, pur non potendo offrire loro alcun lavoro. Allo stesso tempo, purtroppo, si interrompono le rimesse dei migranti dalla Libia, fonte di sostentamento per le loro famiglie nei Paesi d’origine. Le negative ripercussioni potrebbero portare a un’ulteriore destabilizzazione. La Libia, inoltre, era stata la patria di persone in fuga dal loro Paese per la violazione dei diritti umani. Questi rifugiati non possono tornare nella nazione d’origine, perché sarebbero perseguitati. Essi hanno bisogno di trovare accoglienza altrove, e qui vorrei fare un appello ai Paesi europei affinché comprendano la grave difficoltà della situazione e aprano le proprie frontiere a questi rifugiati. In questi giorni anche i Libici stanno cominciando a lasciare il loro Paese. Anch’essi devono essere considerati rifugiati che hanno bisogno di accoglienza, di alloggio e di protezione. Gli Stati dovrebbero assumere nuovi impegni per tutelare i diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, e per affrontare le nuove forme di mobilità.

   Lei ha più volte invitato la comunità cristiana, i responsabili della politica, dell’informazione e tutti i cittadini a guardare con occhi diversi i migranti. Suggerisce un diverso approccio culturale al fenomeno della migrazione?

I Paesi ricchi hanno bisogno dei migranti, come forza lavoro e come intelligenze e specializzazioni in mille campi. Questo a motivo soprattutto dell’invecchiamento della popolazione, che, se guardiamo i dati demografici, ci appare con evidenza. Solo per fare un esempio, numerosi sono i migranti che lavorano nell’assistenza agli anziani e nell’ambito della sanità. Chi si prenderebbe cura altrimenti della terza età? Altro esempio è dato in questi giorni dalla Germania, dove per mantenere la popolazione costante, nonostante il forte tasso di denatalità, si calcola sia necessario un influsso di 350 mila immigrati l’anno. Nel passato i migranti hanno portato un altissimo contributo ai Paesi di accoglienza ed anche oggi rappresentano una risorsa determinante nelle nostre società.
I migranti e i rifugiati sono spesso usati come capri espiatori e sono perciò accusati di essere motivo dei nostri problemi. Questa situazione non è certo diversa da quella vissuta da altri migranti nel corso della storia. Ricordiamo i comportamenti ostili verso gli Italiani o gli Irlandesi appena emigrati in alcuni Paesi. In parte, questi stereotipi sono fomentati per motivi elettorali e danno solo una visione di parte.
Il cristianesimo, già alle sue origini, è sempre stato vicino al più debole e allo straniero. La migrazione, perciò, appartiene di fatto alla tradizione cristiana e possiamo leggere nella Bibbia tante storie ad essa legate, come ad esempio le vicende di Abramo, Mosè e i genitori di Gesù scappati dal loro Paese per via delle persecuzioni in cerca di rifugio in Egitto. La diffusione del Vangelo al tempo degli apostoli e dei loro successori è stata possibile grazie all’accoglienza e all’ospitalità che questi hanno ricevuto. L’ospitalità a quel tempo significava offrire cibo, accoglienza e protezione, e riconosceva il valore e l’umanità dello straniero. Essa può essere intesa anche come segno di riconoscimento della Chiesa e come garanzia del riconoscimento dell’altro come persona. Lo straniero è accolto in luogo dignitoso, confortevole e sicuro, dove vige il rispetto e l’amicizia. Una comunità ecclesiale che offre accoglienza agli stranieri può apparire in controcorrente con i messaggi e la mentalità odierna. Ciò è specialmente visibile nelle società ostili ai migranti, ai richiedenti asilo e ai rifugiati. L’ospitalità ci pone di fronte a due grandi quesiti: riusciamo a riconoscere Cristo in loro? Diamo loro la possibilità di riconoscere Cristo in noi? Un atteggiamento accogliente è parte integrante del messaggio cristiano e i cristiani dovrebbero riconoscersi in questo.

Molte società sono oramai divenute multietniche, questo può consentire una dispersione delle identità culturali e religiose radicate storicamente sui territori?

È vero che con il loro arrivo i migranti contribuiscono a rendere le società multietniche. È una realtà di cui prendiamo atto e che è inevitabile. Sta alle singole culture avere a cuore il proprio bagaglio di sapere, le proprie tradizioni e per noi cristiani i valori della nostra fede, trovando il modo di trasmetterli alle nuove generazioni come preziosa eredità da non disperdere. Questa ricchezza va affiancata all’apporto fornito dalle altre culture perché si fondano in un sapere più ampio in continua espansione.

BIOGRAFIA

Antonio Maria Vegliò, nato a Macerata Feltria, il 3 febbraio 1938, è un arcivescovo cattolico italiano. Viene ordinato sacerdote, del clero di Pesaro, il 18 marzo 1962 dall’allora vescovo Luigi Carlo Borromeo. Il 27 luglio 1985 è nominato Pro-Nunzio apostolico in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone, essendo nel contempo elevato alla dignità arcivescovile con il titolo di Eclano; è consacrato il successivo 6 ottobre dal cardinale Agostino Casaroli (segretario di Stato), co-consacranti l’arcivescovo Achille Silvestrini (allora ufficiale della segreteria di stato) e il vescovo Gaetano Michetti (allora vescovo di Pesaro). Il 21 ottobre 1989 è nominato pro-nunzio per gli stati del Senegal, Guinea-Bissau, Capo Verde e Mali, diventandone nunzio apostolico nel dicembre del 1994. Il 2 ottobre 1997 è nominato Nunzio apostolico in Libano e Kuwait; nel 1999 si dimetterà da nunzio in Kuwait. L’11 aprile 2001 è nominato segretario della Congregazione per le Chiese Orientali. Il 28 febbraio 2009 papa Benedetto XVI lo nomina presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, succedendo al cardinale Renato Raffaele Martino, dimessosi per raggiunti limiti di età.

 

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