Un paese che non riesce a crescere

di | 1 Lug 2011

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Oramai un fatto purtroppo è certo: l’economia italiana cresce, da 12 anni, di un solo punto di percentuale e così facendo non sarà mai possibile colmare il nostro pesante debito pubblico. Significa che l’occupazione resterà a livelli di guardia e che le microeconomie familiari si rapporteranno a tale inesorabile declino.

Circa i possibili rimedi, le analisi economiche divergono da quelle sociologiche. Gli economisti pensano che la crescita dipenda dall’investimento nel capitale umano, cultura e ricerca principalmente, associato assolutamente alle riforme a costo zero (liberalizzazioni e revisione della burocrazia statale). I sociologi, ed io fra loro, pensiamo che la crescita è fortemente connessa al capitale sociale e quindi al sentimento popolare della fiducia nelle istituzioni e ad una esaltazione dell’impegno civico e solidaristico. Moltissimi commentatori politici, hanno fatto propria l’idea che bastano le riforme, con quali soldi?, per affrontare l’attuale congiuntura, dimenticando che nel 2001 abbiamo subito una crisi analoga che, nonostante qualche incompleta riforma, non abbiamo ancora superato. E i politici corrono dietro allo slogan di salvare il Paese senza spendere, seppellendo invece un’idea, ritenuta superata, secondo la quale la crescita economica dipende da poche imposte basse soprattutto quelle relative a imprese e lavoratori.

Ecco, occorrerebbe un sapiente rispolvero di tale concetto per cercare di capire il superamento dell’attuale empasse economico e cercare un criteriato rimedio. Si pensi solamente che, secondo i dati della Banca mondiale, il fisco italiano sull’utile commerciale delle imprese si configura al 68,6 per cento, dato sconcertante rispetto alla Germania (il 48,2) o all’Irlanda (26,5), come è possibile in queste condizioni far decollare l’economia italiana?
E non solo i politici ma anche molti imprenditori e organizzazioni sindacali si sono attestati dietro il dogma : “crisi economica si supera con riforme”, e come gran sacerdoti sono a propiziare le obsolete ritualità di questo mistero della fede in convegni, tavole rotonde e altre passerelle, dimenticando però di commentare le crescite incredibili di paesi come Cina e India, dove le condizioni economiche erano peggiori della nostra appena 10 anni fa, ed oggi primeggiano nei mercati internazionali, grazie alla loro favorevole condizione interna.

Allora, poiché non si riesce proprio a comprendere questa osservanza conformistica del “dogma” del tutto italica da parte dei cosiddetti osservatori politici nostrani, come superare tale stallo? Con la comprensione e con il richiamo ad ognuno alle proprie competenti responsabilità e vale a dire il politico faccia il politico e l’imprenditore e il sindacalista si attengano democraticamente al loro compito istituzionale. Oggi così non è, purtroppo, e la confusione regna sovrana e i “dogmi” la fanno alla grande.

C’è bisogno di coraggio e di coralità di coraggio nel sostenere e chiedere la riduzione delle tasse, questa potrebbe essere veramente la sfida ai nostri politici per misurarsi veramente, senza rincorrersi dietro ai dogmi di moda e alle frasi fatte. Così come dovremmo sforzarci tutti a incentivare il lavoro anche come “concetto nobilitante”, per poter dare ai nostri giovani la possibilità di crederci seriamente e ovviamente per poter fare il giusto affidamento e crescere socialmente e trasmettere questa scala di valori alle generazioni successive. Diminuire le tasse e costruire il lavoro, questo dovrebbe essere seriamente l’impegno.

Non possiamo dire che un ministro è bravo solamente perché tiene stretti i cordoni della borsa, come abbiamo sentito spesso dai “menestrelli d’occasione” da Amato, a Ciampi, a Prodi, a Berlusconi negli ultimi 19 anni. Un ministro oltre a controllare, deve rendere possibile la normale crescita di un Paese. Gli Italiani sono esasperati, non c’è nulla che funzioni e si pagano tante, tante tasse. Il fenomeno dell’evasione è comunque imponente sempre a danno dei lavoratori dipendenti.

  
In Confindustria, i presidenti parlano come se fino a ieri erano in vacanza su Marte, tralasciando che molti loro associati si sono dati da fare con gli aiuti decennali dello Stato, arricchendosi e lasciando i salari sempre ancorati ai minimi, senza realizzare investimenti e questo significa pensare alla crescita del Paese? Per quanto possa essere colpa di un sistema economico planetario i nostri problemi sono gli stessi del prima e dopo l’Unità europea, non risolti!

Su come la pensa il popolo italiano basta vedere i recenti risultati del referendum: si è andati a votare, senza andare al mare e senza accogliere l’invito di molti partiti a non andare a votare, per esprimere un disaffezione alla politica e ai governanti e non per i quesiti in sé. Partiamo da un principio: assumiamoci come cittadini la responsabilità di chiedere la diminuzione delle tasse compensando il divario abbattendo i gravosi costi della politica!