nel rivolgermi a voi desidero partire dai fondamenti comuni, dall’ articolo 9 della Costituzione che, come sapete, recita così: “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Nessuno ha mai pensato di mettere in discussione questo articolo. E’ una sorta di philosophia perennis.
Ci si può e ci si deve dividere sulle modalità con le quali dare corso a questa parte del dettato costituzionale ma la sostanza rimane un imperativo per tutti.
Concentrerò quindi il mio programma al Ministero dei beni culturali in poche parole: meno retorica, più sostanza.
E’ certo che ciò che va fatto per la cultura in Italia o lo si fa tutti insieme o non riuscirà a farlo nessuno. Ci sono altri settori dell’attività politica dove si possono fare cose egregie anche senza la sempre auspicabile partecipazione di tutti. Questo non è il caso della cultura. La cultura, infatti, non è solo ciò che si riesce a fare, è anche ciò che un Paese riesce a trasmettere come propria identità.
Non mi riferisco alla necessità di una sorta di omogeneizzazione di tutto e di tutti per parlare con una voce unica. Ma mi riferisco al dovere di lavorare allo stesso obiettivo. Facendo cose diverse. Pensandola in modo diverso. Aspirando anche in modo competitivo a perseguire obiettivi diversi. Utilizzando mezzi e strumenti diversi. Esprimendo le impostazione culturali più diverse. Ma sapendo che stiamo lavorando, nella diversità, per un obiettivo comune.
Innanzitutto è doveroso utilizzare fino in fondo le risorse a disposizione. Il quadro dei fondi comunitari per il sud Italia 2007-2013 prevede un totale di risorse pari a 34,099 miliardi di euro disponibili, divise nelle varie linee d’intervento. Di queste solo il 16% è stato programmato e solo il 9% speso: per parlare chiaro, ci sono ancora più di 31 miliardi di euro da investire. Quando si vuole fare una cosa e se ne ha la capacità, i soldi si possono trovare, un esempio su tutti Pompei. Grazie alla collaborazione del Ministro Raffaele Fitto e del commissario europeo Johannes Hahn e al valido lavoro dei tecnici della Soprintendenza di Pompei e della Direzione Generale per le Antichità, è già stato raggiunto un risultato: in soli due mesi sono state stanziate per il recupero di questo importantissimo sito archeologico risorse UE per 105 milioni di euro, è stato realizzato un piano per gli interventi e messo a punto un preciso crono programma che in un quadriennio porterà al rilancio del sito. Questo non deve rimanere un esempio isolato, ma divenire la norma per un’amministrazione affamata di risorse, e io mi adopererò per questo.
Altro importante snodo per aumentare le risorse è rilanciare l’intuizione che portò il mio predecessore Giuliano Urbani a costituire Arcus Spa. Ogni intervento infrastrutturale ha inevitabilmente delle conseguenze sul contesto paesaggistico in cui insiste, talvolta persino sul patrimonio culturale circostante. Arcus fu pensata come strumento di compensazione a tali conseguenze, ma poi il lungo protrarsi della mancanza di un regolamento, il commissariamento e l’incertezza sulle risorse ne hanno appannato la missione. Per questo proporrò che Arcus possa fare affidamento sul 3% di tutti gli stanziamenti statali destinati ai lavori relativi a infrastrutture strategiche e a insediamenti produttivi.
In questa linea di direzione intendo proporre, a breve, che gli introiti dei musei e dei siti archeologici statali rimangano al Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Mi impegnerò pertanto a eliminare una norma della legge finanziaria per il 2008 – l’ultima del governo Prodi – che vieta la riassegnazione al Ministero dei proventi della bigliettazione dei musei, dei servizi aggiuntivi, dei fondi lotto, delle stesse elargizioni liberali, una norma che ha ridotto di fatto di oltre il 50% negli ultimi anni queste importanti fonti di finanziamento del Ministero. Inoltre, voglio ribadire l’obiettivo di incrementare il coinvolgimento economico dei privati, cittadini e aziende, anche perfezionando, migliorando e semplificando il sistema degli sgravi fiscali sull’esempio di quanto già accade nel mondo, in Europa, in special modo in Francia.
Intendo anche ribadire quanto sia fondamentale puntare su progetti realizzabili insieme ai privati, del terzo settore, del no profit, delle imprese.
L’impegno manifestato da un importante gruppo italiano nei confronti del Colosseo è esemplare al proposito: a fronte dei 25 milioni di euro investiti nel restauro di uno dei monumenti archeologici più visitati al mondo – nel 2010 poco più di 5 milioni e 100 mila visitatori – verrà concesso uno sfruttamento pubblicitario equilibrato e sostenibile del sito, rigidamente controllato dalla Soprintendenza. Al contrario di quanto avviene, purtroppo, in una città a me cara, Venezia, dove non sempre gli investimenti sono paragonabili all’impatto invasivo della pubblicità. Qui forse occorrerebbe, al di là di campanilismi e contrapposizioni ideologiche, una normativa nazionale più stringente al proposito di advertising che coinvolge il patrimonio storico e artistico. Serve più equilibrio nel valorizzare l’aiuto dei privati senza svendere il patrimonio, altrimenti il rischio è di svilire ciò che abbiamo di più prezioso.
Nel mio mandato intendo adoperarmi per dare piena e compiuta attuazione al Codice per i beni culturali e il paesaggio, varato nel 2004 dal mio predecessore Giuliano Urbani. Si tratta di un corpus normativo che, con i necessari ammodernamenti e aggiornamenti, ha mantenuto intatta la struttura logica portante del sistema di tutela, frutto di un’ormai secolare tradizione giuridica, consacrata nell’articolo 9 della Costituzione, che ha fatto scuola nel mondo.
Nello svolgimento delle funzioni di tutela vorrei che il ruolo e l’azione dei Soprintendenti fossero percepiti sempre più come garanzia di qualità dello sviluppo. Il Ministero che ho l’onore di guidare non dovrà essere vissuto dal mondo delle imprese come la burocrazia che dice sempre “no”, ma come un servizio che aiuta e assiste nella ricerca delle soluzioni giuste ed equilibrate, che garantisce le condizioni di uno sviluppo che metta a frutto e accresca la nostra ricchezza culturale senza rovinare la bellezza dei nostri territori. In quest’ottica intendo mantenere e dare ulteriore impulso alla forte accelerazione già impressa dal mio predecessore, Sandro Bondi, nel completamento delle procedure di VIA e delle altre procedure di autorizzazione.
Intendo inoltre proporre in Parlamento il varo di alcune semplici norme per migliorare la capacità di spesa del Ministero e il rapido affidamento dei lavori di recupero e manutenzione. In particolare nel decreto sviluppo ho voluto una modifica al codice dei contratti pubblici per innalzare la soglia della trattativa privata riguardo i lavori sui beni culturali da 500.000 euro a 1.500.000 euro. Solo così i restauri di non grande dimensione economica, i tanti piccoli ma importanti interventi di manutenzione del patrimonio storico, artistico e archeologico potranno essere assicurati in tempi rapidi, evitando le lungaggini e gli appesantimenti inutili delle procedure di gara. So che le forze di opposizione hanno già manifestato la propria contrarietà in proposito, ma spero che in sede di dibattito parlamentare si possa giungere a un’approvazione condivisa di questa misura essenziale di semplificazione.
Un tema che dovrà trovare presto una soluzione è rappresentato poi dalla disciplina del riconoscimento della qualifica di restauratore. Condivido l’impostazione del codice, che fa del restauratore una figura professionale di eccellenza. Ma credo che il Parlamento debba trovare soluzioni equilibrate e condivise del regime transitorio: se è giusto considerare le esperienze lavorative e formative seriamente compiute, deve essere garantita la qualità della selezione.
Ho già chiesto agli Uffici di definire rapidamente le linee guida operative per l’archeologia preventiva. Come dimostra il recente ritrovamento di antiche navi romane sul cantiere del ponte della Scafa a Fiumicino, si tratta di una grande opportunità per la conoscenza del patrimonio archeologico e, al contempo, per l’accelerazione della realizzazione delle grandi opere infrastrutturali, come le metropolitane, le autostrade, le linee ferroviarie, ed evitare ritardi eccessivi nell’esecuzione dei lavori.
Riguardo il paesaggio l’art. 9 della Costituzione assegna alla Repubblica e, dunque (art. 114 Cost.), allo Stato, alle Regioni, alle Province e ai Comuni, la fondamentale funzione di tutela di questo patrimonio che in Italia è il frutto della millenaria interazione tra uomo e natura, tra città e campagna. Il paesaggio, pur essendo un bene fondamentale e primario per i cittadini, non esaurisce la sua rilevanza in ambito esclusivamente territoriale. I paesaggi italiani protetti sono patrimonio della nazione e la loro sorte non può essere decisa solo a livello locale. Quindi, la compartecipazione paritaria tra i diversi livelli di governo deve avvenire nel rispetto dei ruoli, non a caso diversificati dalla legge. Il ruolo delle Soprintendenze statali, dunque, resta, in questo quadro, indefettibile. Da questo punto di vista intendo sicuramente favorire e condividere nel Governo le giuste esigenze di semplificazione e accelerazione delle procedure di autorizzazione, ma a condizione che esse non si traducano in uno svuotamento dei controlli e non mirino a ridurre la tutela a pura finzione formale.
Un obiettivo fondamentale che perseguirò con decisione è quello di varare nuovi piani paesaggistici regionali, definiti d’intesa con lo Stato, in modo da stabilire regole certe e condivise sulle trasformazioni del territorio compatibili con la tutela del paesaggio. Abruzzo, Campania, Marche, Piemonte, Umbria e Veneto hanno già sottoscritto con il ministero i protocolli d’intesa per la redazione congiunta dei nuovi piani paesaggistici che saranno adottati successivamente, presto verrà siglato quello con la Basilicata mentre con le altre Regioni, invece, il dialogo è ancora preliminare. Bisogna superare gli ostacoli e accelerare per arrivare al più presto al risultato.
Sul versante della valorizzazione del patrimonio culturale cresce la consapevolezza del fatto che l’abbinamento cultura e turismo rappresenti di per sé un fattore in grado di aiutare nel superamento della presente crisi economica. Tuttavia non si è conseguenti nei fatti e poco si fa per superare l’arretratezza dei servizi e delle infrastrutture turistiche.
Lo spettacolo, nelle sue varie articolazioni e quale componente imprescindibile della nostra produzione culturale, ha un’importanza fondamentale nella formazione e nella conservazione della nostra identità culturale. Il teatro, la musica, il cinema fanno parte della vita di ciascuno di noi e ci aiutano a vivere meglio, sia come individui che come popolo. Oltre questo, lo spettacolo è parte integrante dell’economia della creatività, il cui ruolo è importante anche sotto il profilo strettamente economico e dal punto di vista delle potenzialità di sviluppo. Tutto lo spettacolo, con diverse sfumature, è un equilibrio delicato fra creazione culturale e produzione economica.
Il reintegro delle risorse del FUS ha costituito un primo ed importante momento di riconsiderazione della funzione socio-culturale-economica del settore. Il risultato conseguito impone ora, a maggior ragione, di realizzare una riforma legislativa organica capace di definire un nuovo assetto del sistema spettacolo, di razionalizzare l’utilizzo del Fondo Unico dello spettacolo al fine di rendere efficace ed efficiente l’uso di risorse pubbliche. Sono grato alla commissione Cultura della Camera, e in particolare alla On. Gabriella Carlucci, per il lavoro svolto al proposito. Penso che il testo elaborato, su cui so esserci unanime condivisione, possa essere un utile punto di partenza al riguardo.
La stabilizzazione delle agevolazioni fiscali per il cinema e il rifinanziamento del Fondo Unico per lo Spettacolo consentono di dare un quadro certamente più confortante rispetto a qualche mese fa, anche se le risorse disponibili non sono al momento sufficienti per finanziare le varie linee di intervento. Se è stata revocata la sospensione per i decreti tecnici relativi ai contributi per la promozione e per la produzione cinematografica, rimangono sospesi quelli per il sostegno all’esercizio cinematografico, alle percentuali sugli incassi e ai premi di qualità. Provvedimenti che comunque dovranno essere ripensati, e al proposito ho già incontrato le associazioni di categoria.
L’aspetto economico e produttivo, quindi, è importante, ma al Ministero per i beni e le attività culturali l’aspetto economico interessa quale mezzo per agevolare la produzione culturale; una struttura economica solida dei settori non è un obiettivo, dal nostro punto di vista, è molto di più: è uno strumento, un prerequisito, per assicurare al nostro Paese un adeguato livello di produzione culturale. E’ dunque questo l’obiettivo del MiBAC, la sua missione: favorire, anche attraverso l’oculata concessione di contributi finanziari, un’offerta culturale adeguata dal punto di vista quantitativo e qualitativo e coerente con la storia e la tradizione del nostro Paese.
La politica senza comunità intellettuale perde di spinta ideale. La comunità intellettuale senza la politica perde una possibilità in più di far diventare concrete le sue proposte.
Si dice che in Italia la cultura sia monopolio della sinistra. Si dice anche che questa costituisca una sorta di egemonia frutto di una riuscita attuazione della profezia gramsciana della auspicata conquista delle cosiddette casematte. Se ne potrebbe discutere sia nel merito che per quanto riguarda le origini.
Per il ministro della Cultura, in qualche modo e in una certa misura, questo che potrebbe risultare un ostacolo insormontabile deve essere in qualche modo superato. Non può essere superato auspicando trasformismi culturali impensabili. Non può essere fatto chiedendo a questa parte della intellighenzia italiana di sposare le tesi e la storia culturale di un ministro del centrodestra che proviene da una storia culturale e politica liberale. E non può essere fatto neanche chiedendo una adesione preconcetta al programma di governo del ministro.
Certamente, invece, può essere fatto chiedendo – almeno – che per difendere le proprie posizioni e le proprie idee non si arrivi ad episodi di vero e proprio autolesionismo nazionale. Non chiedo altro che un dibattito franco, aperto disponibile a salvare ciò che c’è da salvare in quanto di interesse nazionale. Poi ognuno tornerà sulle proprie posizioni e le difenderà, come è giusto che sia.
Può ipotizzarsi un momento nazionale di chiamata a raccolta di tutti coloro che vogliano o debbano occuparsi della cultura italiana, della sua conservazione e del suo sviluppo, per poter fare una rassegna che faccia il punto su tutti gli aspetti critici e definisca per la parte restante di questa legislatura una scala di alcune priorità, possibilmente condivise, ma soprattutto raggiungibili? Chiedo questo perché sono convinto che non basti il dibattito all’interno dei partiti e nelle aule parlamentari. Occorre un momento più importante, di chiamata a raccolta, nell’occasione del 150° anniversario dell’unità del nostro paese, di tutti coloro che vogliano dare un contributo, segnalare una criticità, indicare una via, proporre modalità di reperimento di risorse. Senza esagerare io credo che in Italia sia arrivato il momento in cui sia necessario una sorta di piano roosveltiano della cultura. E lo dico perché quando in un paese c’è di mezzo qualcosa di fondamentale questo non può che essere perseguito chiamando a raccolta e coinvolgendo tutti.
Ascoltando, vagliando, condividendo ove possibile, decidendo. Come si fa a far rinascere la cultura senza l’impegno degli enti locali, degli operatori del settore, di coloro che a vario titolo operano nel settore culturale, di tutti coloro che conservano il nostro patrimonio, di tutti coloro che fanno spettacolo, di tutti coloro che fanno ricerca e cultura in senso generale?
Non so se tutto questo è un sogno e basta. Rivolgo a voi deputati della Commissione Cultura lo stesso importante invito che ho lanciato in Senato: c’è bisogno di tutti noi, non posso non chiamare a raccolta tutti.
La natura ultima della missione del Ministero per i Beni e le Attività culturali consiste nel restituire l’Italia agli Italiani: nel restituire loro una conoscenza, un’esperienza viva, un’interazione intellettuale ed emotiva con il retaggio dei nostri padri. E’ per questo che sono convinto che, prima e più ancora che sui cosiddetti grandi eventi, troppo spesso spersonalizzanti e prodotti in serie come format televisivi, il Ministero debba concentrarsi sul patrimonio. Non sull’effimero, dunque, ma sul permanente. Non sulla distrazione, ma sulla concentrazione delle forze, delle risorse, del pensiero. Un grandissimo storico dell’arte italiano, Roberto Longhi, ha scritto che “ogni italiano dovrebbe imparar da bambino la storia dell’arte come una lingua viva, se vuole aver coscienza intera della propria nazione”. Ebbene, a noi spetta proprio questo alto compito: far sì che un italiano, di ogni regione e di ogni livello sociale e culturale, torni a sentire come proprio il patrimonio ereditato dai padri. Se vogliamo che gli italiani tornino ad esercitare davvero la loro piena sovranità di cittadini, dobbiamo aiutarli a riappropriarsi delle loro chiese, delle loro piazze, delle loro campagne, di un Paese la cui unicità consiste nella densità di un patrimonio artistico diffuso, inestricabile dal paesaggio urbano e naturale, in cui è andato infinitamente stratificandosi, in millenni di storia gloriosa. Il Ministro per i Beni culturali sente su di se la responsabilità di far vivere il teatro, la musica, il cinema, di tutelare e valorizzare i musei, i siti monumentali, le biblioteche e gli archivi, e ogni altro serbatoio di cultura e memoria. Ma sente soprattutto la responsabilità di far conoscere, di difendere e di far respirare un organismo vivo, un ambiente culturale in cui la natura e l’arte sono state tanto unificate dalla storia da non potersi salvare l’una senza l’altra. Quell’organismo è insieme il corpo e l’anima della patria. Quell’organismo è l’Italia.

Nel 1993 viene invitato da Silvio Berlusconi a formare assieme la squadra di Forza Italia. Organizza le elezioni politiche del 1994, studia i programmi, cura i rapporti con gli altri movimenti di area liberale, riformatrice e moderata.
Eletto in Parlamento, nel 1995 entra nel Consiglio regionale del Veneto, in seguito è scelto come Presidente della Giunta. Nel 2000, sono i cittadini a sceglierlo direttamente come Presidente del Veneto. Nella veste di Presidente della Regione ha la funzione di rappresentare sia giuridicamente che politicamente l’ente nel suo complesso.
È componente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, luogo istituzionale di raccordo delle politiche regionali. Nelle elezioni del 3-4 aprile 2005, è stato scelto direttamente dai cittadini che gli hanno rinnovato la fiducia, dopo il secondo mandato, per una terza legislatura quinquennale.