IL 70% DEGLI IMMIGRATI NAVIGA SUL WEB

di | 1 Feb 2012

L’immigrazione, un fenomeno senza fine. Sfatiamo subito un mito: non è oro tutto ciò che luccica, così come non è tutto nero ciò che vogliono far apparire nero.
In una società complessa come la nostra è reale ciò che appare. Perciò la realtà dell’immigrazione, come di tutte le altre cose, è ciò che la stampa e la tv l’hanno resa. È per questo che, indipendentemente da ciò che “oggettivamente” la realtà del pianeta immigrazione è, bisogna fare i conti con ciò che la gente crede che sia, ovvero con il prodotto che è stato confezionato per l’opinione pubblica.

Negli ultimi anni, da quando l’immigrazione è diventata in Italia una realtà quotidiana, la stampa ha avuto la capacità di alimentare nella popolazione l’idea di un’invasione da parte degli stranieri, di una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico, di un allarme sociale senza rimedio. Tale processo di “demonizzazione” degli immigrati rispecchia l’attualità, ma non è affatto nuovo. Vengono riproposti sempre gli stessi luoghi comuni, terreno fertile per razzismo e intolleranza, di cui hanno sofferto gli stessi emigrati italiani in America. Facile dire che siamo stati bistrattati a suo tempo, e ancor più facile ripetere l’errore senza rendercene conto perché questa volta ci fa comodo. “Una razza di assassini”, “Bel paese, brutta gente”, “L’invasione delle pelli oliva”, solo per citarne alcuni; in questi termini si parlava dell’emigrazione italiana durante i primi anni del ‘900. Torniamo indietro di 15 anni e proviamo a leggere qualche titolo dei giornali italiani durante la guerra civile in Albania: “La mafia pugliese arruola profughi”, “L’invasione dei disperati”, “Profughi e bande di criminali”, “Allarme criminali albanesi”, e tanti altri. Insomma, forse i giornalisti dei mass media italiani, soprattutto quelli televisivi, dovrebbero fare un serio esame di coscienza e un mea culpa in quanto descrivono lo straniero perlopiù come elemento da trattare nella cronaca o da relegare al tema della sicurezza senza preoccuparsi di capire il perché del fenomeno migratorio.
 

È dunque ora di “scucire” dall’immagine dello straniero questi abiti che gli sono stati cuciti su misura. Fantasmi a metà. Lavoratori visibili, cittadini invisibili. È questo il preoccupante titoletto di un giornale che purtroppo rispecchia una dura realtà. Manodopera se non a costo zero, quasi, se si parla di lavoro e fantasmi invisibili se si parla di diritti. Eppure questi fantasmi in regola che lavorano nelle nostre fabbriche e raccolgono la nostra frutta sono ben 5 milioni, rappresentano il 10% dei lavoratori dipendenti e contribuiscono al PIL per l’11%.

A questa integrazione sul piano del lavoro, si oppone una sorta di apartheid su quello sociale: permessi di soggiorno difficili da ottenere e con iter burocratici ai limiti della follia, tasse, code, sportelli, rimandi e controlli su controlli. Anche i figli di persone che lavorano in Italia da più di 10 anni spesso si vedono costretti all’apolidia. L’unico strumento che queste persone hanno a loro favore per guadagnare visibilità è internet. Internet permette di diffondere informazioni in tempo reale in ogni parte del mondo, in modo libero (fatta eccezione per qualche Stato) e abbattendo i costi. Da recenti indagini risulta che più del 70% degli immigrati naviga abitualmente sul web e di questi il 65% lo fa direttamente dalla propria abitazione. Il problema è che spesso sanno usare internet per questioni personali, ma non per produrre contenuti. Fino a oggi, insomma, il suo utilizzo da parte degli stranieri è stato più passivo che attivo.

Nonostante tutto però sono numerosi i siti creati da stranieri e diretti agli stranieri stessi, anche se raramente hanno un’ambizione più “alta”, qualsiasi essa sia. Si tratta perlopiù di portali rivolti a specifiche comunità e sono pensati per essere visitati dai soli membri delle comunità etniche a cui si riferiscono. Ciò evidenzia una tendenza isolazionista che porta le minoranze a rafforzare più il rapporto con il paese di origine che con quello ospitante. Da qui il dubbio su cosa si intende per integrazione: apprendere la cultura altrui o produrne una nuova?

Per far fronte a questo fenomeno isolazionistico bisognerebbe sostituire il presente modello multiculturale con quello interculturale, basato sulla contaminazione e sull’integrazione fra culture e non sulla “pacifica convivenza” di singoli blocchi. È, questa, un’integrazione che ha molto a che fare con la rete poiché è internet il primo, vero strumento che tutti utilizzano per le comunicazioni e la ricerca di informazioni; è la scelta più immediata che da necessità diventa invece un modo per creare connessioni, network, per organizzarsi. Perché è proprio sul web che nascono le prime comunità di stranieri e “nuovi italiani”, che gestiscono forum e gruppi di aiuto e consulenza per i nuovi arrivati, organizzano incontri, e fanno sì che non ci si senta troppo soli. Il racconto di chi è arrivato prima, di chi ha affrontato le stesse difficoltà, e infine ce l’ha fatta; quale modo migliore per esprimerla se non un blog?
Ecco perché si sono moltiplicati, negli ultimi anni, i diari online, soprattutto quelli dei nuovi italiani, che narrano in prima persona ostacoli e conquiste. “E allora c’è il blog di Sumaya, italiana con il velo che sta per prendere la terza laurea. Quello di Lubna Ammoune, che ha fatto il liceo qui ed è fiera del suo multiculturalismo; e tanti altri. Senza dimenticare che la rete, da qualche tempo, non è solo blog ma anche web radio.

L’Università Bocconi di Milano si è interessata al fenomeno, analizzandone sintonie e frequenze. Lo studio, Immigration and New Media. “Diasporic Radio”: a preliminary case based in Milan ha analizzato i programmi radiofonici di Milano, e secondo i dati emersi sono soprattutto le associazioni ad utilizzare questo mezzo, che è veloce e semplice. Si tratta in questo caso di una scelta che non si limita alla data comunità in sé ma cerca il dialogo e il confronto, e vuole far ascoltare la propria voce indipendentemente dai limiti linguistici e/o culturali. Ciò che sorprende è che il target non è composto solo da stranieri ma anche e soprattutto da italiani. Sarà per curiosità o per esterofilia, le motivazioni possono essere varie e tante; fatto sta che sarebbe un peccato non approfittarne per dimostrare che siamo il paese multietnico degno di tale aggettivo che ancora molti si ostinano a far finta di non vedere.

Insomma, le soluzioni ci sono. I mass media possono sicuramente modificare il loro modo di approcciarsi al tema immigrazione, ma siamo noi che dobbiamo porci in maniera diversa quando ci troviamo di fronte ad un fatto di cronaca che coinvolge uno straniero. Il futuro? Magari un’allegra convivenza fra italiani, rom, rumeni, albanesi, cinesi e tante altre culture.