Da un lato un uomo perso in tutto senza rimedio, che rifugge alle sue responsabilità di uomo e di ufficiale e che si è probabilmente macchiato di un’offesa e vergogna incancellabile, dall’altra un uomo consapevole che comprende velocemente la portata della tragedia che richiama e invita con voce sostenuta il comandante ai suoi obblighi.
In mezzo una nave con i suoi passeggeri che affonda.

Un quadretto verosimile condiviso dalla maggior parte degli italiani. Le espressioni usate dai due marinai saranno state considerate scontate e volgari, ma in questi frangenti assumono un senso di nobiltà perché la tragedia e la disperazione del momento rappresentano forse l’ultima risorsa.
L’etica del mare vuole che il comandante abbandoni per ultimo la nave e sventoli la responsabilità personale di cui è investito al mondo intero. Quella responsabilità personale caratterizzata da competenze e senso del dovere, di cura e di coscienza civica, dovrebbe essere condizione necessaria per ogni forma di comando, sulla terra ferma come sul mare. Ciò non è avvenuto, anzi, le nostre fragilità umane ci instradano sempre una via di fuga, ben sapendo che il coraggio rende positivi a volte anche i vizi mentre la viltà rende negative le virtù.
“Get on Board, Damn it” così tradotta in inglese dai tg anglo americani, la frase rivolta dal capitano di fregata al comandante della Concordia, è qualcosa di più di un grido innovatore, forse un inno di dolore, di un emotivo motivo, di riscossa. Potrebbe o dovrebbe essere considerato un monito verso tutte le persone che governano il Paese. Un avvenimento che mette in risalto la posizione di due persone con due storie diverse, una che ci umilia, l’altra che tenta di farci riscattare facendo semplicemente il suo dovere. Non siamo alla metafora italiana, ma ci manca poco.