LEGA SMARRITA

di | 11 Apr 2012

L’hanno chiamata la manifestazione dell’orgoglio leghista, mentre tutta l’Italia smarrita e sconsolata si chiedeva di quale orgoglio si potesse compiacere dopo le ultime malefatte venute alla luce in modo così clamoroso. Paradossalmente il “povero” Bossi, il giovane, detto comunemente il trota, appariva confuso e disperso tra pensieri, se così vogliamo chiamarli, più grandi di lui e di cui, al fondo, era soprattutto vittima. E’ vero che i figli non portano sulle spalle le responsabilità dei padri e altrettanto vale per il caso opposto.

Difficile tuttavia non vedere nella sconsiderata azione del leader leghista e nei suoi velleitari e pericolosi sogni di gloria, la causa principale di questa sciagurata condizione del trota, che in certa misura riflette quella di tutto il popolo leghista. Nel disegno della Lega, fin dall’inizio, sotto la copertura di stramberie separatiste e di follie nordiste contrapposte a presunte ruberie di Roma ladrona e di tutto il sud, oltre l’offesa alla costituzione, al tricolore e all’inno di Mameli, era sotteso un pernicioso disegno di potere e di affermazione ad ogni costo. Utilizzando l’alibi di una inesistente Padania e del potere ai singoli territori e ai cittadini laboriosi e produttivi,  si tendeva a scardinare le fondamenta della repubblica e ad imporre, con l’alleanza indispensabile per Berlusconi, a costituire la forza cardine del nuovo equilibrio politico che avrebbe dovuto governare l’Italia il più a lungo possibile. Senza naturalmente confondere il diavolo con l’acqua santa, e tenendo ben distinte la differente qualità e serietà del disegno di Craxi, la Lega puntava a svolgere una funzione verso Berlusconi analoga alla strategia che il leader socialista ai tempi del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani) aveva in mente per la guida del Paese. Purtroppo nessuno fu in grado di approfondire e riprendere la strategia morotea  che avrebbe dovuto portare ad una compiuta democrazia dell’alternanza e anche nel Pc venne meno la guida di Berlinguer.

E’ in questo contesto di vuoto politico e ideale che esplode anche la devastante vicenda di tangentopoli. Ed è davvero singolare, con buona pace del povero “trota” e la ben più perversa  responsabilità del padre Umberto, che torna dinnanzi agli occhi di tutti noi l’enorme cappio sventolato a Montecitorio dai banchi leghisti soprattutto all’indirizzo di Bettino Craxi, mentre solo qualche anno dopo, sempre i parlamentari leghisti con in testa il ministro dell’interno Maroni, impedivano che il parlamento accogliesse la richiesta di arresto per esponenti della maggioranza Bossi-Berlusconi, accusati di complicità con la mafia e la camorra. E’ certamente bene, come sostiene il vangelo, che gli “scandali” si manifestino, anche se nel caso della Lega nessuno avrebbe potuto immaginare comportamenti e responsabilità ben maggiori di quelle che si attribuiscono al senatore Lusi, amministratore di Rutelli.

A nostro avviso sta proprio qui l’estrema importanza e gravità di quanto colpisce le nostre istituzioni e la nostra vita civile. Le dimissioni del giovane Bossi sono un tentativo di coprire e sviare responsabilità e nefandezze  che riguardano l’intero gruppo della Lega e gettano nel panico la sua base e il suo elettorato. Nessun machiavellismo e nessuna operazione che gridi: “complotto, complotto di Roma ladrona e dei grandi poteri occulti che vogliono annientare la purezza e il disegno rinnovatore dei leghisti” può trarre in inganno e coprire in alcun modo squallide operazioni da codice penale e da faccendieri della peggiore risma.

Tuttavia una severa lezione dovrebbe riguardare l’intero sistema politico italiano e in particolare quelle forze politico- parlamentari, sociali, culturali e civili che sperano ancora in una possibilità di autentico rinnovamento e di radicale trasformazione del ruolo dei partiti e del loro funzionamento, a cominciare dalle immense risorse economiche pubbliche di cui dispongono. Senza partiti e canali di trasmissione continua tra società, stato e istituzioni, difficilmente una società cresce e si rinnova anche in termini etico-civili. A condizione però che i partiti sappiano conquistare e verificare costantemente la corrispondenza a quel profilo costituzionale che vede soggetti decisivi i cittadini che possono radunarsi in partiti per concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale. I cittadini insomma non sudditi ma sovrani, organizzati sempre con metodo rispettoso in modo sostanziale del metodo democratico con lo scopo di contribuire al raggiungimento del bene comune e non degli interessi personali o di bottega.