Italiani di successo nel mondo.

di | 1 Giu 2012

Luciano Zaccour Vice Presidente Kundalini, ci fornisce un interessante spaccato sul mondo imprenditoriale e una visione del mercato finanziario in questi tempi di crisi.

“Kundalini” è un termine della filosofia orientale di tradizioni yogiche, perché ha voluto chiamare così la sua azienda?

Premetto di non far parte della compagine societaria, in qualità di Vice Presidente sono semplicemente un elemento del meccanismo di governo dell’azienda. La denominazione Kundalini deriva da una passione personale per le filosofie orientali di colui che fu il fondatore dell’azienda agli inizi degli anni novanta. L’azienda si è in seguito evoluta in concomitanza all’insediamento di una nuova proprietà che ha portato in azienda un rinnovato senso stilistico d’avanguardia che ha dato luogo a collezioni di design dal linguaggio fresco ed universale.

Lei è un Italiano nel mondo che ha avuto la fortuna di studiare sia in Italia che all’estero. Ci parli della sua scelta e di come sia nata questa passione per la luce.

Ero predestinato. Probabilmente avendo vissuto all’estero e viaggiato molto, mi sono sempre sentito un cittadino del mondo. Ricordo che da piccolo cercavo sempre il contatto con gli stranieri. A Milano andavo spesso in Duomo o all’aeroporto di Linate dove gironzolavo per ore in cerca di riviste, quotidiani e persone straniere con le quali poter conversare in francese, inglese e persino in arabo. Sì proprio arabo, lingua che imparai nel regno dei cedri, il Libano. Un paese meraviglioso dove ho vissuto fino all’età di quattordici anni. All’epoca era denominato la perla del Medio-Oriente, meta preferita del jetset internazionale. Queste esperienze aprono la mente e ci fanno capire che nonostante le nostre diversità, siamo tutti simili. La mia passione per la luce è di nuovo segno del destino. Luciano significa lucente, luminoso. Non avevo altra scelta. La luce è vita. Che cosa c’è di più bello della vita?

Potrebbe essere definito una sorta di Dalì della luce, riuscendo ad abbinare arte, linee, curve, colori e materiali. Le opere che lei progetta sono più uniche che rare. Da dove prende ispirazione?

Si tratta di un gioco di squadra. Come un “maitre d’orchestre” il mio compito è di definire
sistematicamente il piano strategico industriale, implementare fattivamente l’action plan operativo e strutturare organicamente tutte le attività relative al processo di sviluppo prodotto: dall’idea originale alla realizzazione e lancio sul mercato del prodotto finito. Ma il merito, per inciso riguardo al successo stilistico spetta alla direzione creativa che prende ispirazione da una moltitudine di fonti e scenari che si intersecano tra di loro per creare collezioni dal senso estetico unico e distintivo.

Sappiamo che collabora con IKEA. Com’è nata l’iniziativa di co-marketing con questo colosso svedese leader del mobile?

In realtà non esiste nessun tipo di collaborazione o iniziativa di co-marketing con IKEA. Operiamo su mercati e segmenti completamente diversi. Kundalini, essendo un’azienda di illuminazione di design di alta gamma, si rivolge ad un target di clientela fortemente esigente, dal senso estetico sofisticato che bada molto più alla dettagliata cura dei particolari piuttosto che al budget di spesa. Ciò nonostante sono sempre in contatto con IKEA soprattutto per la forte relazione che umanamente si crea tra persone che hanno costruito e condiviso insieme progetti complessi, ambiziosi e di grande impegno professionale. Primo fra tutti colui che fu il mio mentore e divenuto oggi CEO mondiale di IKEA.

Come vi è arrivato e com’è stata la sua esperienza da direttore europeo per il settore dell’illuminazione?

Sono entrato in IKEA per caso. Devo anzi ammettere che inizialmente l’impatto con questa realtà è stato particolarmente atipico. Era Luglio, faceva caldo e al mio primo colloquio incontro l’amministratore delegato dell’azienda. Uno svedese doc, alto con fisico ben curato, biondo, occhi azzurri, sulla cinquantina (ne dimostrava almeno dieci di meno). E fin qui tutto bene. La chicca stava nel suo abbigliamento: indossava bermuda, camicia bianca a maniche corte e infradito ai piedi. Insomma un look più da mare che da ufficio. Ma si trattava pur sempre di un venerdì pomeriggio, decisi dopo un attimo di esitazione (volevo andarmene) di non badare all’aspetto esteriore e di provare a sentire che cosa aveva da propormi il vichingo. Fui subito ipnotizzato dalla grande esperienza professionale di questo personaggio che con invidiabile umiltà mi introduceva nel mondo IKEA. E’ stato un vero colpo di fulmine reciproco. Scoprii poco più tardi trattarsi di uno degli uomini più vicini al fondatore dell’impero svedese del mobile. Sono una persona estremamente esigente e competitiva. Questo mi ha permesso di emergere subito e di entrare a far parte di un gruppo selezionato destinato alla carriera manageriale internazionale. Un anno dopo sono stato nominato direttore europeo del settore illuminazione. L’ascesa continua e culmina, in qualità di direttore dello sviluppo, con l’apertura di nuovi mercati e filiali nel bacino del Mediterraneo. Un’esperienza fantastica.

 

Come definirebbe il mercato del made in Italy nel suo settore sia in Italia che all’estero?

Innanzitutto occorre precisare che non sono poche le aziende italiane che in realtà si rivolgono ai cosiddetti low cost countries per produrre i loro prodotti. Griffes incluse. Marchi italiani riconosciuti a livello internazionale come Kundalini hanno il dovere morale di produrre articoli di alta qualità in Italia. Il nostro vantaggio competitivo oltre al segno unico e distintivo del design, alla elevata qualità dei manufatti che proponiamo è determinato dal fatto che noi ci crediamo davvero e produciamo tutte le nostre collezioni interamente in Italia, con grande dedizione e passione. All’estero poi l’Italia è percepita come il fulcro del design internazionale, questo primato ci costringe continuamente a ricercare nuovi orizzonti dove poter applicare i fattori critici di successo che da sempre ci contraddistinguono e che sono la creatività e l’innovazione. Un felice connubio che il mondo ci invidia.

Ritiene che la crisi di questi ultimi mesi, definita la più grave dal ’29, abbia influito sul mercato del Lighting design di cui lei, con la sua azienda, è uno dei pionieri? Più o meno rispetto ad altri settori e, se sì, in che modo?

Nessun guru o esperto di economia potrà mai definire questa crisi, mai vista prima a ricordo d’uomo. Ma fortunatamente, nonostante la difficile congiuntura economica mondiale, Kundalini è in continua e costante espansione. Una notizia confortante per il lighting design italiano di alta gamma. La situazione purtroppo è ben diversa per tutte quelle imprese che non godono di un brand riconosciuto a livello internazionale come Kundalini. Il mercato è cambiato notevolmente, dobbiamo dimenticare definitivamente i grandi numeri che sono ormai dominio della tigre orientale che vanta una forte e predominante presenza nell’arena competitiva globale e concentrarci su quello che è il vero valore aggiunto del “made in Italy” ovvero la creatività unita all’innovazione. Questa indole tutta nostrana è stata il propulsore del miracolo economico italiano. Dobbiamo unire le nostre forze e fare di nuovo sistema, inteso come la capacità di creare distretti industriali altamente professionali e specializzati. La Cina ha saputo in poco più di venti anni far sorgere dalle proprie zone rurali centri urbani e industriali di invidiabile bellezza architettonica e modernità tecnologica, insomma esattamente come fece l’Italia nel dopo guerra. Noi in più abbiamo un’instancabile laboratorio di inventiva creativa che deve continuare ad alimentare il prestigio del “made in Italy” nel mondo.