I danni culturali prodotti dai social network sui giovani
a cura di Massimo Micheli

Quello dei social network, è un tema oggigiorno sentito e risentito: tutti ne parlano, dalla stampa alla televisione, a internet stesso. Ma quando si arriva a parlare di “vulnerabilità” o di “pericoli” ecco che nasce il dubbio sulla loro utilità assumendo variegate posizioni: o ci si chiude a riccio come in difesa di qualcosa che temiamo perché disconosciamo oppure diventiamo i paladini per la sola effimera soddisfazione di rivedersi in foto o farsi prendere da un travolgente voyeurismo con annesso sfogatoio.

Sempre più accessibile e indispensabile alla vita di tutti (salvo pochi paesi in cui vige ancora la censura) tanto che è stato definito dall’ONU come un diritto e non un servizio o uno strumento.

Non più di 8 mesi fa è stato pubblicato un articolo su “Il corriere della sera” intitolato: Internet e i social network: i ragazzi italiani sono più vulnerabili. Più vulnerabili rispetto a chi? E soprattutto, a cosa?

Da uno studio condotto su diverse migliaia di bambini in tutta Europa è emerso che i giovani italiani sono piuttosto arretrati riguardo la tecnologia rispetto ai coetanei del più vasto contesto europeo. Ma nonostante questo lieve e apparente ritardo, sconvolge la loro assiduità: nove su dieci navigano tutti i giorni e la maggior parte ha un profilo su un social network. Altro dato importante e da non sottovalutare è che la quasi totalità ha accesso a internet da un computer in camera o, addirittura, da dispositivi mobili (quali telefoni cellulari, tablet, ecc), il che rende più ostico un eventuale controllo da parte dei genitori.

A chiudere il quadro, già di per sé negativo, l’impreparazione di genitori e professori che non possono, pur volendo, aiutare i più piccoli e che, non conoscendo la realtà dei fatti, possono arrivare a pensare che internet sia uno “strumento infernale”.
Senza dubbio può diventarlo se gestito male, ma un uso oculato e consapevole non può che facilitare la vita nonché l’apprendimento (in età scolare e non e con un’accurata cernita delle informazioni che offre, non tutte attendibili) di tutti noi.

Un problema di cui si è discusso a lungo è che i social network sembra stiano sempre più prendendo il posto di oratori, chiese, piazze o comunque luoghi di incontro e di ritrovo. È davvero così preoccupante il fenomeno? Se diventa un comportamento patologico e invalidante, sì. Per questo abbiamo parlato di un uso consapevole di ciò che non è altro che uno strumento a nostra disposizione, e che non potrà mai sostituire i rapporti interpersonali.
Altri problemi, non meno gravi, sono il bullismo, la violenza, la sicurezza e la privacy. I più piccoli non ne hanno coscienza e non possono averne. Se chiedessimo cos’è la privacy ad un ragazzo di 15 anni che ha un profilo su un social network, probabilmente risponderebbe che è l’escludere l’amichetto che gli sta antipatico dal vedere i suoi scritti e dall’impicciarsi dei suoi affari. Ebbene no, è un concetto molto più ampio e vasto di dati personali, frasi e foto che, una volta condivisi online, restano lì registrati per anni se non si è ben accorti nella gestione della “privacy” del profilo, appunto.

Lo strumento di per sé non ha nulla di negativo, al contrario, basta solo averne consapevolezza. Una soluzione al problema della vulnerabilità sarebbe sviluppare un programma didattico e di sensibilizzazione diretto a tutti (ai più giovani, certo, ma anche a insegnanti e genitori) che insegni a usare la rete senza temerla, moderando la prevenzione e i preconcetti tipici di un argomento troppo spesso considerato pericoloso perché poco conosciuto. Qualcuno potrebbe porsi anche la questione dei problemi di salute legati all’incentivazione dell’uso del computer, quali la sedentarietà ma la soluzione è piuttosto facile: muoversi, leggere giornali e libri e non stare immobili davanti ad uno schermo.

Di seguito, per approfondita conoscenza, riportiamo quanto è scaturito, in sintesi, al Forum organizzato a New York lo scorso 12 luglio dalle Nazioni Unite sull’effetto dei nuovi media nella vita quotidiana.

da qn.quotidiano.net

SOCIAL MEDIA ANTI-SOCIAL?
ALCUNI GIOVANI PENSANO DI SI’

NEW YORK 12 luglio 2012 – I social network una pratica per giovani? Lo è sempre stata, ma forse la generazione digitale si sta stancando di relazioni fatte di post, tweet e sms. Durante un forum organizzato dal Dipartimento di Informazione Pubblica delle Nazioni Unite, ben il 22% dei giovani presenti in sala, provenienti da diversi campi estivi delle scuole superiori di New York, si è trovato d’accordo con la dichiarazione alla base del panel di discussione: “I social media sono anti social”.

Ad ascoltare e interrogare esperti e professori sull’influenza dei social media nella vita quotidiana, un centinaio di liceali che ha rivelato un primo segnale in controtendenza con la crescita dei giovani dipendenti dai social network. A dichiararsi a favore dei social media come mezzi di relazione sociale è stata infatti solo poco più della metà dei ragazzi presenti, il 58% circa, mentre il 22% ha sostenuto che sono strumenti anti-social e la parte restante ha votato “non so”.

Questo primo leggero cambiamento di tendenza registrato dal Forum dell’Onu conferma i risultati della ricerca di San Francisco Common Sense Media. Secondo l’organizzazione no-profit che studia gli effetti delle tecnologie sui giovani, anche se il 75% dei 1030 adolescenti intervistati ha un proprio account e lo controlla almeno una volta al giorno, il 49% dichiara che è “più divertente” incontrare i propri amici di persona e il 43% di loro vorrebbe “disintossicarsi” e tornare ai tempi in cui Zuckerberg non aveva ancora inventato il suo social network.

La discussione ha visto tra i pro-social, la professoressa in Comunicazione della Fairleigh Dickinson University Kathleen Haspel, mentre tra gli anti-social, l’ambasciatore del Pakistan Abdullah Haroon e la direttrice del Dipartimento di Psicologia all’Hunter College, Tracy Dennis. “Tutto dipende da chi li usa ma, scientificamente, i social media potrebbero portare a comportamenti anti-social – ha spiegato la Dennis – perché implicano meno coinvolgimento diretto con l’interlocutore e perché il multi-tasking disperde le attenzioni: quanti di noi cenano con lo smartphone sul tavolo o camminano tenendolo in mano per poterlo controllare in qualsiasi momento? Io lo faccio più di quanto vorrei ”. Costanti connessioni che, secondo la professoressa Haspel, possono invece portare a esplorare meglio la complessità delle relazioni sociali: “I social media fanno conoscere le realtà locali creando così un villaggio globale: attraverso questi mezzi noi possiamo capire meglio come vivono le persone e come interagiscono tra di loro”.
 

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