L’Italia di Le Corbusier

di | 1 Nov 2012

Foto all’interno di Carla Morselli

Fino al 17 febbraio 2013 al MAXXI – Museo delle arti del XXI secolo (Via Guido Reni 4/a Roma), la mostra curata da Marida Talamone sul rapporto di Le Corbusier e l’Italia traccia un percorso temporale e tematico esponendo 600 documenti.

Quadri, disegni, progetti, tantissimi fogli di carnet di viaggio e molte fotografie ci restituiscono l’immagine di un architetto immerso nell’atmosfera della sua epoca tanto da poterne essere critico, attento alle suggestioni e alla ricerca della realtà, fra progetti concreti non trascurava di misurarsi col fascino dell’architettura e dell’arte italiana.
 
       
I disegni sono veloci, quasi infantili, più suggestioni che riproduzioni, si agganciano alla passione interiore dinanzi alla bellezza, diventano annotazioni, appunti, osservazioni, si liberano della precisione del disegno per individuare domande e possibili soluzioni. Sono già un nuovo modo di scrivere l’architettura. Dal 1907 al 1923 i disegni documentano Pompei, Napoli, Villa Adriana, Pisa, Siena, la Toscana.

I suoi dipinti sono esposti vicino a quelli di Morandi e Carrà, ci dicono che la sua ricerca dell’essenziale si interessa alla metafisica e al purismo. Le Corbusier studia Michelangelo e il Palladio, i disegni di Venezia e di Vicenza sono a volte descrittivi e precisi, non trascurano la preziosità degli oggetti.

   Le Corbusier cerca un incarico dal regime fascista, vorrebbe costruire la sua “ville radieuse”, scrive direttamente a Mussolini. Si rivolge in seguito a privati come Olivetti, Volpi di Misurata, agli Agnelli. In seguito progetta il centro di calcolo elettronico di Rho per Olivetti e il nuovo Ospedale di Venezia, che non verranno mai realizzati. L’allestimento di Umberto Riva è un libro di assi di legno grezze su cui piccoli quadrati bianchi, gialli o azzurri diventano schermi, canovacci su cui sembrano sfogliarsi le pagine dei carnet appoggiate su cartoni, piegati verso di noi: materiali leggeri del viaggio di una vita.
 

All’inizio, prima di entrare fra le poltrone disegnate da Le Corbusier, su alcuni tavoli sono appoggiati libri e cataloghi; leggo: da “Quando le cattedrali erano bianche l’egoismo steso dal caso individuale a quello collettivo ha suscitato popolo contro popolo paralizzato la civiltà…quello che un tempo era legge perché non c’era alcuna barriera, legge del sole, legge del declivo delle acque, legge dei destini indecifrabili, è diventato un’etichetta da commissariato di polizia: la nazionalità”…"Quando le cattedrali erano bianche al disopra delle nazionalità un’idea comune superava tutto il resto: la cristianità… verso Gerusalemme dove era il sepolcro di un pensiero universale: l’amore”. E ancora: “La disorganizzazione del fenomeno urbano costituisce una delle spese onerose della società moderna… ricostruire le regioni urbane, rivitalizzare le campagne… camminare a piedi senza periferie”.

Le Corbusier aveva naso per il suo tempo. Scultore, pittore, uomo di lettere, i suoi disegni descrivono la necessità delle masse, i bisogni dell’individuo con frecce blu o rosse sui fogli grandi fra i tavoli da disegno.