Educazione e comunicazione come cultura?

di | 14 Nov 2012

Il Cardinale Gianfranco Ravasi

Foto di Carla Morselli

   L’Aula Magna della Pontificia Università Lateranense è gremita per l’inaugurazione del nuovo anno accademico. Sono presenti, oltre agli studenti, professori, autorità civili, militari, accademiche e religiose, il sindaco di Roma, onorevoli e deputati. Introduce e saluta l’assemblea il Cardinal Agostino Vallini, segue la prolusione del Rettore dell’Ateneo il Vescovo Enrico dal Covolo che illustra l’indirizzo dell’anno accademico e i temi su cui insisterà: trasmettere, testimoniare, educare alla fede, una fede unica pubblica e pneumatica, capace degli strumenti di comunicazione, che consentono questa trasmissione, in consonanza con l’anno della fede, indetto dal Santo Padre. Il decano della facoltà di teologia Nicola Ciola legge la “laudatio” per il conferimento del dottorato in sacra teologia al Presidente del pontificio consiglio della cultura Cardinal Gianfranco Ravasi.

La lectio Magistralis del Cardinal Ravasi ha per tema “Educazione e comunicazione”.
Parlando di educazione analizza l’ambiente mediatico in cui viviamo oggi, e il rischio di omologazione a cui siamo sottoposti da una democratizzazione della comunicazione che è accelerazione e moltiplicazione dei contatti e diviene spesso violazione della sfera personale e della dignità e morte del dialogo vivo del “villaggio”.
Allo stesso tempo – dice – i mezzi vanno esplorati e usati come una sfida verso una comunicazione sociale che rintracci una nuova fecondità; cinema, fotografia, televisione e oggi internet generano una realtà inevitabile.
Gesù è didaskalos, Maestro per eccellenza e usa i simboli attraverso ben 72 parabole, che diventano fatti, ha una comunicazione sintetica attraverso l’amore salvifico, accessibile alle generazioni malgrado le diversità storiche (1979, G.P. II).
 

L’uso del simbolo comprende una reazione tra la realtà dell’esperienza e la trascendenza: la creatura si apre a un oltre, a un altro che la eccedono. Cristo è soggetto e oggetto della comunicazione della fede. Continua Ravasi. Ma per comunicare questa identità non possiamo usare un linguaggio da interni, la chiarezza e la semplicità e l’ascolto sono strumenti incisivi e necessari per una comunicazione reale. E’ quindi a partire dal silenzio che possiamo capire. Il valore della parola presuppone la comprensione e la preparazione l’approfondimento nel silenzio. L’incipit della creazione è basato su una parola divina: “Dio disse: sia luce! E la luce fu”, anche sul Sinai Dio è voce di parole, anche il Nuovo testamento si apre con una parola incarnata e vivente: “In principio era il Verbo…e il Verbo divenne carne” (Gv. 1,14). La preparazione, l’apprendistato, l’esercizio sono le condizioni per ogni attività professionale; purtroppo nei dibattiti televisivi, nei twitter o nei blog la norma dell’ascolto è disattesa e diviene sovrapposizione e di voci e violenza verbale. La capacità di attualizzazione delle problematiche della comunicazione della fede incalza nel discorso del Cardinal Ravasi e ci indirizza ad una riflessione profonda.

Ho la possibilità di rivolgere una domanda al Cardinal Ravasi: Dove va la cultura italiana oggi, dal momento che non si insegna a decifrare i simboli?
Questa è una delle mancanze fondamentali all’interno della cultura contemporanea e dell’educazione scolastica che è quella per cui, come diceva Montaigne, gli educatori ci offrono mobilia per arredare il cervello, con una serie di dati spesso tecnici, non si offre invece la capacità di decifrare i significati profondi. Io credo sia fondamentale ancora la fede, che di sua natura, come la grande cultura, ha grandi idee, perché queste idee non siano solo comunicate ma anche sciolte perché mostrino tutti i colori , tutte le potenzialità fino a mostrare il senso ultimo dell’esistere, che è lo scopo della fede e anche della grande cultura.

Mentre ritorno penso che siamo sempre all’inizio di un nuovo vocabolario, la realtà è che tutti parliamo senza ascoltare, che usiamo immagini e suoni che temiamo perché non sappiamo leggerli, come fossero cose sconosciute che generiamo per caso. Per esempio quasi tutti si nascondono all’obiettivo, non si fanno complici di un dialogo: un’immagine è il più delle volte relativa non rappresentativa. Produciamo una gran quantità di suoni e di immagini, ma raramente ci emozionano e fanno sorgere dentro un ricordo, un suono, una visione. Penso che non c’era la luce giusta per le riprese. Registrare il sonoro era praticamente impossibile, già erano disattese le qualità tecniche di questo racconto.

Spesso a creare immagini e parole sono coloro che, lavorando, ne fanno un’arte espressiva, ne fanno capolavori di sintesi, che poi dimentichiamo, ci restano suoni, luci, impressioni. Il simbolo ci viene incontro, ma non lo vediamo, non ne godiamo, non sappiamo della maturazione del seme nel silenzio e l’unicità della forma del frutto, non siamo quel frutto, lo possediamo senza conoscerlo, non lo siamo e questo ci priva della sua vitalità e della bellezza forse del suo vero godimento. Ciò nonostante occorre provare e riprovare per educare un occhio interiore, un orecchio che spazi sul silenzio in cerca della parola, formare dei nuovi sensi per il ricordo dei sapori e degli odori, riflettere sulle analogie a cui ci indirizza il simbolo: un gioco perpetuo fra la quotidianità e ciò che la trascende.
Un amico mi chiede cosa rappresenti la luna sotto i piedi della Vergine. Da dove cominciare?