Globalizzazione e mistificazione

di | 1 Mar 2013

Immagine di Carla Morselli

La globalizzazione procede attraverso i trasporti riducendo le distanze, attraverso l’informatica riducendo le distanze comunicazionali, rischia di essere la copertura ideologica pro finanza dell’economia o semplicemente l’alibi alla crisi che attraversiamo. La diversificazione delle fonti energetiche che l’Europa sta realizzando fra gas, carbone e rinnovabili, va nella direzione di un ritorno al carbone, aumentando l’emissione di CO2, e allontanandoci dal contenimento del riscaldamento terrestre. Eppure l’Europa legifera e sanziona sui gasdotti, sulle strutture, sulle politiche di risparmio energetico e sull’inquinamento.

L’euro diviene sempre più euromarco e il sud dell’Europa PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia Spagna), acronimo dispregiativo, un mercato da usare senza ritegno, la Grecia è l’esempio e il risultato di una politica di austerità, palesemente irresponsabile. Neanche fossimo alla vigilia di una guerra: moneta, mercato, globalizzazione sono idoli a cui immolare in fretta i cittadini di un’Europa che ha messo il carro avanti ai buoi, che non ha una unità politica, né una rappresentanza votata.

L’euro non protegge l’Italia né altri paesi da una tempesta finanziaria senza fine. La crisi dell’occidente non può essere quella dei debiti degli stati, il debito può essere regolato, rateizzato, gestito, non soltanto attraverso le dichiarazioni della BCE, di Mario Draghi, ma attraverso politiche attente al mercato mondiale e alla storia delle conquiste civili. A chi stiamo tenendo bordone? Mentre salta il nostro stato sociale e perdiamo capitali intellettuali e umani, l’economia mondiale è in tutt’altra situazione. Già da dieci anni si parla dei Brics, Jim O’Neill presidente di Goldman Sachs Asset Management, identificò Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica come paesi emergenti.

A questi si aggiunge il Mist che raggruppa Messico, Indonesia, Corea del Sud e Turchia; il Mint, cui l’impresa di investimento Fidelity sostituisce alla Corea del sud, la Nigeria; il Next Eleven considera anche Bangladesh, Egitto, Nigeria, Pakistan, Filippine, Vietnam e Iran, facenti parte di undici mercati emergenti. Fattore comune dei Mist è la demografia, in quanto forza lavoro, aperti commercialmente e con un elevato potenziale di crescita, 500 milioni di persone, un sesto dei Brics, nel 2011 il Pil di questi sette paesi ha sfiorato i 3,9 bilioni di dollari. Questi gruppi contribuiscono allo sviluppo mondiale dell’economia, esenti dalla crisi che sembra aver colpito gli Stati Uniti e l’Europa. Possiamo aggiungere i Civets che fanno riferimento a Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia e Sudafrica accomunati da un elevato tasso di popolazione giovanile, sistemi finanziari abbastanza sofisticati, mercati azionari in crescita. Nel campo degli acronimi si aggiunge il Carbs: Canada, Australia e di nuovo Russia, Brasile e Sudafrica.

I Brics si riuniranno il 26-27 marzo 2013 a Durban, per la quinta volta. La prima riunione, tenutasi a Ekateringburg (Russia) il 16 giugno 2009, aveva come intento allora, di avere una divisa più stabile di quella del dollaro statunitense. Nella seconda riunione tenutasi a Brasilia gli argomenti trattati furono le opportunità di affari e investimenti nei settori dell’energia, tecnologia dell’informazione, infrastrutture e agro-commercio. La Cina suggerì lo scambio di informazioni sulla sicurezza alimentare per evitare gli aumenti dei prezzi degli alimenti. Il Brics mira a promuovere la cooperazione allo sviluppo, alla sicurezza alla pace a creare un mondo più equo. Il fondo monetario internazionale ha incluso questi paesi, fra i dieci con il diritto di voto più elevato. Secondo Goldman Sachs i Brics si avviano a superare i paesi industrializzati. Il potere di acquisto di questi quattro paesi dal 2000 è cresciuto del 99% contro il 35% dei paesi industrializzati. La vera ricchezza dei paesi emergenti è la popolazione (Brics 45% della popolazione mondiale); nell’economia capitalistica la popolazione rappresenta la domanda.
Il potere delle economie emergenti offre svariate opportunità, la domanda di beni e servizi commerciabili internazionalmente per i quali l’area dell’euro ha un vantaggio comparato. Nello stesso tempo accresce la necessità di realizzare riforme strutturali da tempo necessarie.

La quota di interscambio con l’Asia nel periodo 2000-2009 è salita dal 19% al 22%, mentre quella con gli Stati Uniti è diminuita dal 17% al 12%. In questa visione le Agenzie di rating, tutte statunitensi, designano la valutazione economica del sistema Paese e le organizzazioni internazionali come il WTO, che presiede giuridicamente alla regolamentazione internazionale degli scambi commerciali sia economici che finanziari, e che non corrisponde ai cambiamenti planetari. Fra le proposte dei Brics vi sono la riforma del FMI e della Banca Mondiale.

Competitività e coesione sociale, capacità di creare ricchezza e lavoro, infrastrutture, competenze, innovazione, flessibilità, credibilità delle istituzioni, leggi e regole, fiscalità su investimenti, profitti, capitale e lavoro sono gli elementi che entrano in gioco nella valutazione di affidabilità finanziaria. Le leve di una nuova politica oggi sono la ricerca, la qualificazione delle persone, l’apertura a situazioni di grande variabilità di crescita dei mercati. Il Welfare è il terreno capace di ridurre l’emarginazione e di creare un humus in cui istruzione, sanità, previdenza, assistenza determinano la vitalità di una società, della sua cultura e capacità produttiva e creativa.

La politica europea è quella dei tagli, di un riferimento e una copertura alla valuta statunitense, che rischia di accecarci dinanzi ai cambiamenti internazionali. Molti muri di vecchie identità sono da abbattere perché possiamo vedere un orizzonte che è cambiato e cambia in continuazione, senza che arriviamo a cogliere opportunità e significati. Anche questa crisi, che il sud dell’Europa paga al nord, è sintomo di una politica acefala al traino di istituzioni e idee che sembrano pachidermi svuotati di energia, incapaci di ragionare.

Torniamo a chiamare le cose con il loro nome: la globalizzazione è internazionalizzazione dei mercati, ha necessità di nuove regole mondiali; come la tecnologia ne ha di nuove possibilità di controllo ed uso, la crisi è quella di una politica incapace di nuove visioni.