
Globalizzazione, parola abusata, fraintesa, mal usata, e che oggi è spesso considerata come affermazione negativa sia per l’insieme, sia per i singoli.
Ma cosa vuol dire globalizzazione? E possiamo contrastarla? E poi è positiva o negativa?
Beh intanto è iniziata ben lontano da quello che l’Occidente ed i suoi abitanti credono. È iniziata quando il primo uomo che cacciava animali ha incontrato il primo pescatore e si sono scambiati equamente i frutti del loro lavoro. Poi più avanti pescatori e cacciatori hanno scambiato merci con chi produceva grano, e così via. Equamente scambiato, questa è la chiave di interpretazione del significato reale e corretto.
Certo appare semplicistico arrivare a questa definizione, appare sminuente, sembra si stia sottovalutando un processo di cui tanti ne hanno scritto e parlato, dalla prima espressione di “villaggio globale” alle ultime ben più articolate e strutturate definizioni, nel bene e nel male e dalle indagini sui benefici e sui possibili danni all’individuo. Ma comunque c’è ed è inevitabile.
Evitabile invece sarebbe la crisi, profonda e reale, cui sta andando incontro non solo il nostro Paese, ma l’Occidente, crisi mondiale economica, politica, sociale.
Da tempo il potere delle Multinazionali e dei potenti Signori dell’Energia sta impoverendo sempre di più i cittadini, il vero Stato nello Stato. Ma chi se ne accorge che lo Stato sono i cittadini che lo compongono? Pochi, anzi direi nessuno. Si fa attenzione al PIL, allo spread, al pareggio del bilancio dello Stato, per arrivare ad avere stati sempre più ricchi abitati da gente sempre più povera. Il benessere comune, del singolo, viene sacrificato per essere alla pari di un’utopia economica più che di un’economia per l’individuo, e il libero mercato, cavallo di battaglia dell’Occidente, ha fatto più danni della peste nell’anno Mille. Essere giunti a un libero mercato è una grande conquista, e lo dimostra la crisi delle ideologie marxiste e la fine dell’Impero “oltre il muro”, ma un libero mercato dovrebbe essere controllato, adeguato al fabbisogno, monitorato e incentivato, o sostituito da uno Stato che interviene dove il privato non ha interesse ad investire. Un libero mercato che non travolge e calpesta il piccolo imprenditore, che non distrugge l’economia dei singoli, a favore dei soliti grandi e potenti, ma che lascia il giusto spazio a chi veramente sorregge l’economia nazionale.
Quindi inevitabilmente la forma giuridica e statale dell’organizzazione umana, la politica e i suoi rappresentanti, deve superare i confini degli Stati e non solo per la sicurezza interna o esterna, ma anche per la copertura del fabbisogno, per il benessere politico economico, e per la tutela dell’ambiente, la tutela di chi abita lo Stato: i cittadini.
Nella realtà le trasformazioni economiche non hanno cause economiche, ma derivano da posizioni politiche, da cambiamenti tecnici, da mutamenti di ottiche. E da scelte dei potenti.
La comunità particolare è sempre stata la misura di riferimento dell’ordinamento statale, ma oggi perde d’importanza, e occorre una nuova forma del politico, della sua filosofia, più aperta verso l’esterno, verso il Mondo e più attenta verso l’interno, il benessere dei singoli.
Oggi le minacce che assalgono i cittadini hanno raggiunto dimensioni globali e l’umanità è sottoposta a una collettività di violenze che sembrano locali, ma hanno dimensioni ben più ampie come la guerra, che assume dimensioni di guerra nucleare, come la criminalità, che diviene sovranazionale come il traffico di droga, e la violenza transnazionale e trasversale come il terrorismo, e da anni, i disastri ambientali e tutto a discapito del singolo che mai ottiene giustizia e che mai potrà contrastare i “cartelli” internazionali del Potere, sia lecito sia illecito. Le organizzazioni sovranazionali, nate per sorvegliare e vigilare sulle violazioni degli Stati raramente hanno avuto l’efficacia che ci si aspettava, ed in particolar modo sulle violazioni dei diritti umani, del danno ambientale, delle guerre di potere.
Cosa ci manca rispetto a quando era tutto più difficile, complicato, come le distanze, i rapporti interpersonali, gli scambi economici, le informazioni immediate? Forse manca un po’ di rispetto, manca l’etica comportamentale? E non solo dei singoli, ma della politica che amministra, forma e informa.
Vogliamo chiamare l’anima coscienza, sì forse è più corretto, ma il risultato non cambia. Oggi la crisi mondiale, la crisi economica, sociale, è crisi etica, morale, crisi di coscienza, crisi dell’Uomo stesso.
Uomo un poco troppo “Faber” e decisamente troppo poco “Sapiens”. Crisi di valori, crisi morale, crisi etica, mancanza del rispetto dell’altro, e soprattutto del rispetto di se stesso. Crisi dell’Uomo e quindi di ciò che ha creato.