Gli eventi culturali. Mostre ed eventi in Italia e nel mondo

 dal sito www.beniculturali.it del Ministero dei Beni Culturali

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MATTIA PRETI – DELLA FEDE E UMANITA

 In occasione del ricorrere del quarto centenario dalla nascita del grande maestro calabrese Mattia Preti, il Museo Civico di Taverna ed Il Museo Nazionale di Belle Arti di Heritage Malta sono lieti di annunciare la mostra internazionale "Mattia Preti – Della Fede e Umanità", a cura di Sandro Debono, Senior Curator del Museo Nazionale di Belle Arti, Malta e Giuseppe Valentino, Direttore del Museo Civico di Taverna.
Ideata per rendere omaggio all’artista nei suoi due principali luoghi di appartenenza geografica: Taverna, città natale di Preti nel cuore della Sila Piccola, e Malta, isola in cui il maestro lavorò attivamente per quasi quarant’anni e dove morì nel 1699, la mostra include oltre cinquanta opere provenienti da importanti musei italiani e stranieri come la Galleria degli Uffizi, il Museo Nacional del Prado ed il Musée du Louvre. L’esposizione ripercorre l’itinerario artistico pretiano non in un’ottica cronologica, bensì alla luce dei temi della fede e umanità per mettere in evidenza le tante diverse e complesse sfaccettature della figura di Mattia Preti, inclusi alcuni aspetti inediti: non soltanto l’artista, che esordì precocemente come aiuto di bottega del fratello Gregorio a Roma, ma anche il Cavaliere dell’Ordine di San Giovanni a Malta, il pittore dell’Ordine, ed, infine, un uomo di grande fervore religioso.
L’esposizione ricostruisce i contesti storici e culturali in cui Mattia Preti si trovò ad operare e, oltre a presentare un confronto inedito con il maestro del Rinascimento Nordico Albrecht Dürer, offre interessanti spunti di paragone con alcuni grandi maestri dai quali il Cavalier Calabrese venne influenzato, Battistello Caracciolo e Guercino, insieme alla possibilità, prima d’ora mai concessa al pubblico, di entrare direttamente all’interno del processo creativo e compositivo pretiano. Insieme ad alcuni disegni e bozzetti preparatori dell’artista verranno infatti presentati per la prima volta ai visitatori gli esiti di importanti indagini diagnostiche condotte dal Laboratorio di Restauro, Conservazione e Ricerca del Museo Civico di Taverna, da Heritage Malta e dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze su alcune tele di Preti, studi che hanno messo in luce l’esistenza di evidenti

MATTEO PUGLIESE- PASSAGGI

 Il 2013 è l’anno di Matteo Pugliese che si sta confermando come il più internazionale dei giovani scultori italiani.
A febbraio e marzo la Fondazione Mudima a Milano gli ha dedicato una vasta e fortunata antologica. Nei prossimi mesi le opere di Pugliese saranno al centro di una serie di esposizioni in Svizzera, in Inghilterra e in Asia (Singapore e Hong Kong).

La rassegna presenta gli esiti più recenti della serie “Extra Moenia” le figure tormentate e possenti che lottano per liberarsi dalle pareti.
La mostra è accompagnata da un ricco catalogo curato da Gabriella Belli, la quale suggerisce una stretta parentela dell’artista milanese con uno dei più grandi scultori italiani del primo ‘900, Adolfo Wildt poiché come lui “Pugliese condivide l’identica energia tettonica delle masse scolpite in grado di sopportare il peso di immani forze architettoniche che premono sulle spalle di possenti omenoni.
Entrambi gli artisti –continua la Belli- perseguono l’identico intento di costringere le masse ad un contrasto tra forze positive (la forma che si ribella) e negative (l’architettura che imprigiona), attraverso uno scambio e un alternarsi di energia di segno opposto che diventa la metafora e l’accorato commento ad una condizione esistenziale di eterna lotta e di dichiarata guerra ai conformismi e agli stereotipi di una società paludata e restrittiva.”

A Lugano, la mostra resterà aperta al pubblico sino al 15 luglio per poi spostarsi a Londra nell’ aprile 2014, presso la sede londinese della galleria Imago nella centralissima Myfair.
Pugliese è già al lavoro per un altro importante appuntamento internazionale con cui si aprirà il suo 2014: una personale a Singapore in occasione della Art Stage Singapore di gennaio. La galleria di riferimento dell’artista, Kwai Fung Hin Art Gallery presenterà in fiera unicamente l’artista italiano che lascerà i suoi scarabei in bronzo e ceramica invadere l’intero stand della galleria.
Successivamente, a marzo 2014, si inaugura ad Hong Kong nella sede storica della galleria una nuova personale dopo quella del 2010. In questa occasione, oltre al nuovo lavoro degli scarabei la galleria presenterà i lavori più recenti delle già note e apprezzate serie degli "Extra Moenia" e dei "Custodi".
Le tre serie mostrano una diversità di ricerca, di esiti, di tecniche e linguaggi che, lungi dall’essere in contraddizione tra loro, testimoniano la versatilità dell’artista e la volontà di dare voce alle molteplici ispirazioni.
Ben sintetizza tale concetto la Belli quando parla di “un miscuglio straordinario e originalissimo di nuove, visionarie proposte scultoree, dove il modellato antico si coniuga con un immaginario fantastico del tutto attuale, capace di mettere in gioco costantemente l’intelligenza della sua fervida regia.”

LA LIBERTÀ DELLA PITTURA. ADOLFO FERAGUTTI VISCONTI 1850 – 1924

 Villa dei Cedri, dopo la prima antologica realizzata — in collaborazione con la Pinacoteca Züst — nel 1991, dedica al pittore una nuova esposizione che documenta con esempi di eccellenza l’intero percorso artistico di Feragutti, offrendo al pubblico un panorama dell’evoluzione della produzione e della poetica del pittore: un artista che in oltre quarant’anni di intensa attività e costante presenza alle rassegne espositive internazionali maturò un proprio personalissimo linguaggio, sorretto da una magistrale tecnica pittorica. Il Museo prosegue così la sua opera di valorizzazione della creazione artistica legata al territorio, e restituisce uno sguardo completo sull’opera di Feragutti, anche grazie a un nucleo nutrito di dipinti venuti alla luce in occasione dei più recenti studi.
Curata da Giovanna Ginex, specialista dell’arte italiana tra Ottocento e Novecento, la mostra rappresenta un momento di approdo e di completamento di un lungo lavoro di ricerca sull’artista. È infatti l’esito di un percorso di studi che trova il suo punto cardine nella realizzazione di un importante volume monografico edito nel 2011 (Adolfo Feragutti Visconti. 1850–1924, Cornèr|Skira), sempre curato da Giovanna Ginex.
La libertà della pittura rende omaggio al linguaggio unico che contraddistingue l’artista. L’esposizione riunisce, inoltre, per la prima volta, la serie di pastelli de Le maghe persiane, conservati in collezioni pubbliche e private svizzere e italiane. Largo spazio è lasciato anche alle opere realizzate durante il soggiorno in Argentina, in particolare ai dipinti riportati dalla Patagonia, dove si consolida il suo personalissimo stile, che lo porta ad abbandonare linee e contorni, privilegiando le qualità della materia e del colore pur senza intaccare l’esito della rappresentazione. La rassegna, ricca di oltre ottanta dipinti, organizzata secondo un doppio binario espositivo (cronologico e tematico), documenta queste trasformazioni, offrendo un percorso ragionato che illustra i maggiori orientamenti del lavoro dell’artista.

PINO CHIMENTI – Una gioiosa macchina da guerra

 Mostra personale del pittore Pino Chimenti (Spezzano Albanese, 1952), che rientra nell’ambito del progetto Bancartis, promosso da BCC Mediocrati, attraverso cui, annualmente, l’istituzione bancaria e il museo alle porte della Sila collaborano per promuovere la cultura e l’arte sul territorio, presentando alla Calabria i grandi artisti che in essa hanno trovato le origini.

Pino Chimenti è reduce dalla partecipazione al Padiglione Italiano della Biennale di Venezia del 2011, segnalato al curatore Vittorio Sgarbi dal noto critico d’arte Gillo Dorfles, che, nel 1985, lo aveva già selezionato per apparire tra gli artisti scelti dalla critica nel prestigioso Catalogo dell’Arte Italiana edito da Mondadori. Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Urbino, sotto la guida del pittore Concetto Pozzati, Chimenti partecipa a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. A partire dalla seconda metà degli anni ’70, dopo un breve periodo di ricerca concettuale, la sua pittura acquista maggiore libertà compositiva, avvicinandosi alla personalissima figurazione astratto-fantastica che contraddistingue ancora oggi il suo lavoro, mai incline a seguire mode e correnti e caratterizzato da un’inconfondibile atmosfera fiabesca pervasa da una sottile ironia. «Ormai da diversi anni – ha scritto Dorfles dell’artista – prosegue nell’invenzione costante di piccoli miti personali, di strane leggende, nelle quali dei personaggi – tra il surreale e il ludico, tra il grottesco e l’affabile – si trastullano in mezzo a ghirlande di forme variopinte, di marezzature cromatiche, di sottili estroflessioni magnetiche, sempre sostenute da un minuzioso grafismo». Proprio quei miti personali e quei personaggi ludici e surreali sono i protagonisti della mostra del MACA, che li declina attraverso una collezione di circa 50 opere pittoriche, in cui il curatore Boris Brollo intravede un’affinità di spirito che lega l’artista calabrese a Picasso. «Non è una questione di forma o di segno, ma di concetto. Egli traduce l’opposizione di Picasso al regime franchista in una opposizione tout court – scrive Brollo –. Egli è un moderno maestro del racconto di questa terra calabra appartenuta a una grande storia e le cui radici trasudano ancora di questo passato glorioso. Pure qui egli sviluppa un senso del fantasticare che, benché affondi le radici nel passato, guarda al futuro. Futuro in cui il concetto dell’eterna lotta umana, oggi rimandata al virtuale, al computer e alle bombe intelligenti, segna un punto ancora umano alla lotta a corpo a corpo».

JANET ABRAMOWICZ. MOTION AND VISION

  La mostra rimarrà aperta dal 30 maggio al 30 giugno 2013
L’arte e la stessa presenza di Janet Abramowicz nelle sale dell’Istituto Nazionale per la Grafica costituiscono un paradigma della nostra "biografia istituzionale". La mostra vuole essere un omaggio alla sua attività grafica, che si è svolta per buona parte in Italia e particolarmente a Roma. Le collaborazioni di Abramowicz con l’Istituto Nazionale per la Grafica sono state di diverso genere e sempre proficue, ma importante per lo sviluppo della sua tecnica spesso sperimentale, è stato senz’altro il lavoro svolto con il maestro stampatore Antonio Sannino.
Nel 1950 è in Italia e si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove studia incisione con Giorgio Morandi e dove rimarrà, una volta diplomata, come sua assistente. Molti anni dopo, grazie a un Fulbright, trascorre alcuni anni in Giappone, a Kyoto e Tokyo, dove studia
papermaking e conservazione.
Tornata in Italia, negli anni Ottanta, frequentando assiduamente la stamperia dell’Istituto, inizia una feconda collaborazione con Antonio Sannino. Già a partire dagli anni Sessanta, con Maurizio Calvesi, la Calcografia si era aperta ad una riflessione sul mutamento delle sue funzioni storiche, diventando luogo di confronto per gli artisti contemporanei che volevano approfondire le tecniche d’incisione. L’esperienza di Janet Abramowicz, appena successiva, si colloca a pieno titolo in quell’intento culturale.
Negli anni Novanta, Michele Cordaro, allora direttore dell’Istituto Nazionale per la Grafica, la chiama a partecipare all’iniziativa da lui curata, che determinò la redazione del catalogo dell’opera incisa di Giorgio Morandi, Morandi. L’opera grafica. Rispondenze e Variazioni, Milano 1990. In tale occasione decise di donare alla Calcoteca dell’Istituto le due matrici della serie Grottos e una delle 26 piccole incisioni della serie Little Greek Etchings.
La mostra ripercorre l’intero excursus dell’esperienza incisoria dell’artista, con particolare attenzione al periodo di sperimentazione svolto alla Calcografia Nazionale. Le opere esposte sono tutte prove uniche, con interventi a pastello e mixed media, in quanto l’attenzione dell’artista è focalizzata sugli esiti ottenuti con la variazione dei supporti e dei mezzi grafic

IL FASCINO DISCRETO DELL’OGGETTO. FIGURA 2: NATURA MORTA

 l 7 maggio 2013 alle ore 18,00 inaugurerà la mostra-percorso Il fascino discreto dell’oggetto.
Figura 2: Natura Morta che costituisce la seconda fase di quella già in corso dal 18 febbraio. Negli stessi spazi, e in dialogo con le opere del primo Novecento, si inseriscono lavori di artisti contemporanei dedicati a questo tema e selezionati da Cecilia Canziani e Ilaria Gianni.

Le curatrici spiegano così l’origine di questo evento espositivo: “abbiamo iniziato un percorso di ricerca sui generi, e ci siamo date dieci anni di tempo per portarlo avanti attraverso una serie di quattro mostre, che abbiamo immaginato una diversa dall’altra e ciascuna come una riflessione su un genere specifico, attraverso la relazione tra le opere, e tra le opere e il contesto che le avrebbe ospitate. Dopo il primo episodio dedicato al paesaggio e disseminato in diverse sedi a Pistoia e nei suoi immediati dintorni – Uscita Pistoia, NextSpazioA, SpazioA, Mac.n, Villa La Magia, Fattoria di Celle – è arrivato l’invito a riflettere sulla natura morta in un contesto due volte significativo per questo progetto: un museo che ospita collezioni di arte moderna e contemporanea, istituito nel 1883, inevitabilmente legato alle vicende della storia del nostro paese, e una mostra dedicata alla natura morta con opere dalle sue raccolte, che attualmente occupa quattro sale della Gnam. Se il genere, come pensiamo, è tuttora un termine ineludibile di confronto per mettere a fuoco lo stato dell’arte nel suo definirsi nella contemporaneità, è proprio nella natura morta che questa ricerca si fa più evidente, e è impossibile non pensare alle nature morte di Picasso e di Severini, certo, ma anche all’opposto e testardo indugiare su questo – esattamente questo – genere di Morandi e De Pisis.
La natura morta è anche il genere apparentemente più assimilato, quello con cui ci sappiamo rapportare, a prima vista, in maniera meno mediata, eppure è in grado di registrare esattamente lo spirito del tempo. In fondo si tratta di composizione: di porre un oggetto accanto a un altro, o di presenza: un oggetto offerto alla contemplazione, o ancora di simbolo: un oggetto che sta per qualcos’altro. In breve, la natura morta ha a che fare ancora molto con l’arte contemporanea e con il suo definirsi.”

CAPOLAVORI DELL’ARCHEOLOGIA: RECUPERI, RITROVAMENTI, CONFRONTI

 Dal 20 maggio al 5 novembre 2013, a Roma, a Castel Sant’Angelo sarà visitabile la trentaduesima edizione della Mostra Europea del Turismo e delle Tradizioni Culturali, dedicata ai vent’anni di collaborazione tra l’Arma dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato con il Centro Europeo per il Turismo, presieduto da Giuseppe Lepore.
La mostra, intitolata “Capolavori dell’archeologia: Recuperi, ritrovamenti, confronti” è organizzata in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico-Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma, diretta da Daniela Porro, con l’ausilio di un Comitato Promotore, presieduto da Roberto Cecchi Sottosegretario di Stato MiBAC.
L’esposizione, che si avvale di un comitato scientifico di grande prestigio, presieduto da Eugenio La Rocca, è curata da Mario Lolli Ghetti e da Maria Grazia Bernardini.
Con questo progetto si vuole presentare al numerosissimo pubblico che visita ogni giorno Castel Sant’Angelo la fondamentale azione svolta delle Forze dell’Ordine per la protezione e la difesa dei beni artistici e archeologici dell’Italia.
Le opere in esposizione, infatti, sono state al centro, anche recentemente, d’importanti attività di recupero e ritrovamento, grazie alle quali è stato possibile far rientrare nelle loro sedi reperti archeologici rubati, trafugati da scavatori clandestini o esportati illecitamente dal nostro Paese.
Seguendo il percorso della mostra, i visitatori potranno ben comprendere il continuo pericolo di saccheggio e dispersione cui è sottoposto l’immenso patrimonio italiano, e, nello stesso tempo, potranno apprezzare il grande lavoro scientifico e di ricerca, che sta dietro il ritrovamento di materiale archeologico appartenente alle diverse tipologie maggiormente a rischio (bronzi, marmi, affreschi, ceramiche, argenti e oreficerie, ecc.), insieme alla storia, spesso avvincente e sempre complessa, del loro ritorno a casa.
Per fornire un quadro più completo della situazione, saranno presenti in mostra non solo opere oggetto di sequestri, d’intercettazione sul mercato antiquario, di restituzioni da collezioni private o da musei stranieri, ma anche alcune opere ritrovate fortunosamente.
I beni recuperati saranno esposti insieme con altre opere, simili per tecnica, materiale e datazione, provenienti da scavi scientifici ben contestualizzati, allo scopo di istituire opportuni confronti chiarificatori. Saranno anche presenti esemplificazioni di contesti integri (ad esempio corredi funerari), per fare comprendere l’importanza delle reciproche relazioni tra i materiali, e il danno irreversibile che uno scavo di rapina o un’esportazione clandestina provocano alla conoscenza e all’acquisizione dei dati culturali.
Proprio nella volontà, infatti, di contestualizzare i pezzi e ricostruire un tessuto storico che illustri al meglio l’importanza e l’obbligatorietà del recupero, risiede la principale novità di questa mostra.

B COME BIDONI – I CARATTERI DI BODONI A BRERA E NELLA GRAFICA CONTEMPORANEA

 La mostra documenta i rapporti tra Bodoni e la tradizione dell’uso del carattere Bodoni nella grafica di produzione soprattutto milanese tra XX e XXI secolo, oltre ad esporre dipinti, stampe e cimeli bodoniani (tra cui il primo stampato di Bodoni e le bozze dell’Oratio Dominica) appartenuti alla raccolta Mortara ora conservata in Biblioteca.
Oggi il nome di G. B. Bodoni è talmente conosciuto in tutto il mondo che potrebbe essere usato nello spelling internazionale. La mostra, curata da Andrea De Pasquale, direttore della Biblioteca Nazionale Braidense e da Massimo Dradi, presidente dell’Associazione Culturale Studi Grafici di Milano, presenta una raccolta di stampati tutti realizzati con caratteri Bodoniani che partono da Bertieri e arrivano ad oggi toccando tutte le tipologie: dai libri di editoria di pregio a quelli di grandi tirature, dalle pagine di pubblicità al packaging, dalle carte da lettera agli avvisi pubblicitari, dall’immagine coordinata ai logotipi.
Progetti grafici firmati da designer di successo ma anche da semplici tipografi ai quali è bastato scegliere il carattere Bodoni per assicurarsi un lavoro professionale ben fatto e come tale degno di essere apprezzato e magari esposto in mostra. Perché dobbiamo pur dirlo, con Bodoni è proprio difficile sbagliare o se mai è decisamente facile fare bene.
Nel corso del XIX secolo sono stati creati dalle fonderie italiane e straniere molti alfabeti ispirati all’originale. Spesso sono delle varianti finalizzate a rispondere alle necessità più commerciali che artistiche. Sono nati così numerosi caratteri a lui dedicati con aste nerissime, con occhio stretto o strettissimo ma anche decisamente allargati, chiamati più genericamente Bodoniani.
In questa rassegna li vediamo usati con consapevolezza e rigore sia in composizioni a bandiera sia in composizioni ad epigrafe. La grande varietà delle forze d’asta del carattere Bodoni è sorprendente ed è proprio la loro differenza che esalta la possibilità di utilizzo e di espressione.
La mostra presenta i libri, i cataloghi, le pagine di pubblicità in cui compare da protagonista il carattere che viene utilizzato per dare all’opera grafica quella pulizia e leggibilità che il tempo ha consolidato. Alcuni esempi: le copertine delle Guide azzurre del Touring Club Italiano del 1931, composte e stampate da Raffaello Bertieri, la popolare BUR – Biblioteca Universale Rizzoli, il gruppo di edizioni d’arte della Galleria del Milione e la Universale Einaudi. Possiamo dire che la quasi totalità delle case editrici italiane ha o ha avuto collane editoriali in cui sono stati usati i caratteri Bodoni, segno evidente di una volontà di identificarsi con una concezione editoriale di alta qualità grafica.
Potremo vedere, come testimonianza, alcuni tradizionali strumenti ‘di fondita’ e specimen di caratteri bodoniani del primo ‘900, provenienti dall’archivio personale dell’editore Tallone.
L’esposizione ci porta ai giorni nostri con molti esempi a partire dal logo della Rinascente progettato da Max Huber con un coraggioso, a suo tempo, e felice accostamento tra il carattere “L” in Bodoni corsivo e la “R”maiuscola in Helvetica. Particolare interessante in mostra: nel 1963, in occasione del centocinquantesimo della morte di Bodoni, GRAZIA, la rivista di Mondadori, offrì ai grafici italiani una serie di caratteri trasferibili Letraset riprodotti dagli originali conservati nel Museo Bodoniano di Parma. Notevole la serie di quaderni di poesia diretta da Sandro Boccardi e impaginata da Giorgio Fioravanti per le Edizioni Trentadue. Sono inoltre presenti il logo Emporio Armani, la pubblicità ENI, gli stampati IBM e tanto altro. Impossibile comunque esporre tutto il Bodoni attualmente presente nella nostra quotidianità.
Oggi il carattere Bodoni viene esaltato da un uso più consapevole rispetto al passato, ma ci sono anche interventi, creativi a tutti i costi, che arrivano a togliere le grazie per . . . vedere l’effetto che fa.
Questo carattere viene scelto e usato come protagonista dal brand identity alla pubblicità, dall’immagine coordinata alla nuova editoria. Ed ora, con l’intervento della computer grafica, si apre per lui una nuova vita intensa e facilitata proprio dalla tecnologia.
Negli spazi della mostra verranno esposti i progetti grafici vincitori del concorso per la realizzazione di un calendario 2013 dedicato a Giambattista Bodoni, promosso dall’Associazione Culturali Studi Grafici di Milano.

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