Cultura tra inganni e realtà

Opera di David Dalla Venezia

Traduzione di Maria Rivas

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Quella che nel dopoguerra è stata una stagione di alfabetizzazione, di unificazione e crescita, di consapevolezza con valori di solidarietà, comunità, giustizia sociale, è sfociata nel consumismo.
Oggi dove va la cultura in Italia?

Qualcuno ha scritto che servono le guerre per ripulire il mondo e rinnovarlo. Un’affermazione del genere suona ed è orribile, ma in qualche misura veritiera. Di sicuro, caduto il fascismo, l’Italia ridotta a un cumulo di miserie, ne venne una straordinaria rinascita. Gli uomini migliori, che erano finiti in carcere o in esilio, vollero la democrazia e un’eccellente carta costituzionale. Altri uomini di talento crearono imprese, commerci. Gli italiani si mossero da una regione all’altra in cerca di lavoro. La televisione portò fin negli ultimi paesi i modelli di una nuova esistenza e una lingua comune. Nelle case entrarono i frigoriferi e le lavatrici. Le strade si riempirono di automobili e di motorette. Ci si sentì parte di una comunità in cammino, dentro una cultura comune. Tutto questo fu come un’immensa onda benefica e rinfrescante. Ma il cambiamento era enorme e bisognava oltre che di entusiasmo, di tantissima attenzione e fatica. Soprattutto fatica interiore. I partiti politici e i sindacati, che dovevano battersi per i pari diritti e le pari opportunità, furono presi in grandissima parte dai bisogni primari della gente, ma ignorarono le necessità di una vera crescita ossia i beni di quel che osiamo chiamare ancora mente e anima. La vincente influenza degli Stati Uniti d’America, che tanto avevano giovato all’economia della rinascita, portò a quel che passa sotto il nome di consumismo. Vinsero le apparenze, la quantità sostituì la qualità. Fummo tutti meglio vestiti, non più affamati, e in molti con la macchinetta sotto casa e perfino la vacanza al mare. Cinema, canzonette, festival, sfilate di moda, pubblicità ammalianti servirono a distrarre dai beni di fondo. Bisognava godersela ad ogni costo. E proliferò l’italiano di cui scriveva Leopardi agli inizi dell’Ottocento, che agisce fuori delle leggi e dell’interesse comune per un’eredità di vessazioni e di insopportabili padronanze. Contro ogni reale miglioria crebbero il malcontento, la corruzione, il gioco bieco dei politici, l’invidia dei meno abbienti per le ostentazioni dei ricchi, la moltiplicazione delle lotterie, e il cinismo, l’imbroglio, il disamore verso tutto e tutti fatta esclusione del proprio tornaconto.
Questo dura e impera tuttora. Ma la crisi è al suo acme e questo può significare un altro prossimo salutare cambiamento. Anche questa è una guerra, ancora più insidiosa in quanto non disponiamo di nessun rifugio e le armi da opporre sono sconosciute ai più.
Pure non sono pochi quelli che vanno adoperandosi contro tanto malessere. Migliaia, forse centinaia di migliaia di uomini e di donne, di adolescenti e di anziani, non solo continuano a sperare, ma agiscono per uscire dal buio, per allearsi in vista di una diversa e più sana e illuminata condizione dell’essere e del restare. In questo, io credo, consiste l’esercizio della cultura. Per questo possiamo contare su quanti, in disparte, concimano con pensieri chiari il loro piccolo orto e ne traggono frutti che a molti altri saranno di nutrimento. Indubbiamente la nostra è un’età di rivolgimenti e dunque di grandi sofferenze. Ho sempre sentito, fino dalla mia adolescenza, di vivere in una vigilia, non quella defilippiana di “addà passà a nuttata”, ma quella in cui si veglia lavorando, affinando la mente e l’animo, cercando risposte, mai dimenticando che noi siamo l’altro fra gli altri.

Come interpreta il tempo che viviamo fra guru mediatici e la crisi ?
Nemmeno più con diffidenza, solo come un insopportabile rumore. Non riesco a sottrarmi alla lettura dei quotidiani, alle notizie dei telegiornali, ma sono esasperato dal blaterare di politici, commentatori, sapienti di vario genere, con tutto il seguito dei noti e dei notissimi che discettano da incapaci e da presuntuosi sull’intero universo. Tanta informazione: nessuna informazione. La confusione è al massimo. Della crisi sappiamo così tanto da non saperne niente e, alla fine, gli stessi maggiori esperti e i governanti che s’incontrano per affrontare i mali peggiori, e gli esperti e tutti, dico tutti, dimostrano il poco e il niente su cui contano e di cui s’ammantano. Questa è la vera crisi, e io stesso, con questo mio rispondere, contribuisco all’interminabile risibile processo.

Nel teatro, nella letteratura, nel cinema come si esprime l’Italia?
In questi ultimi anni si esprimono con fiacchezza, se pensiamo al cinema dal Cinquanta al Settanta, ai libri di Gadda e di Ortese, di Pasolini e di Pontiggia. Meglio per la poesia, dove alcuni giovani e meno giovani non sono meno meritevoli di studio e di attenzione di quanto lo siano stati Saba e Penna, Caproni e Montale, posti ormai sugli altari e per questo mummificati. Quanto al teatro, v’è grande difficoltà di vederne buono a causa delle stretture economiche dei nostri enti teatrali, oltre che della pigrizia mentale di teatranti abbarbicati a mode superate. Va detto poi che un grave male contraddistingue il mondo intellettuale italiano, soprattutto per l’arte e la letteratura. Una scontentezza di fondo, che è scontentezza di sé e interna fragilità, impedisce ad artisti, critici, scrittori, di guardare al presente senza sminuirlo. In troppi libri e interventi e lezioni leggiamo di morti acclarate. Non capiamo però di questi sacerdoti della cancellazione perché insistano sulle apocalissi invece di sparire loro stessi, come richiederebbe una giusta ragione e la nostra comprovatissima noia.

La produzione di cultura è legata all’industria culturale. Che pensa dell’uso delle tecnologie?
Sono strumenti che l’uomo ha posto a suo servizio. Se ben usati, possono eliminare molte fatiche dando più tempo e opportunità al pensiero che si pensa e alla vita che si mostra. Non debbo scordare mai che sono io ad accendere il computer e a comandarlo, così per l’automobile, l’aereo, il radar. Educhiamo l’uomo alla conoscenza di se stesso e delle sue reali energie; avremo una creatura che saprà stare nel mondo rispettandolo mentre rispetta se stesso.

C’è in Italia un dialogo con gli altri paesi dell’Europa?
L’Europa si parla da millenni; si parlava anche quando, e non è molto, si guerreggiava terribilmente. La cultura europea ha dialogato fin dall’epoca romana. Lucrezio, grandissimo poeta latino, veniva dalla Spagna. Dal Decameron di Boccaccio discende tanta novellistica europea. Musica, filosofia, pittura, per secoli e da secoli non hanno conosciuto frontiere. Nella corte austriaca di Maria Teresa si recitava in italiano Metastasio; Mozart musica capolavori su testi memorabili di Da Ponte; i drammi di Shakespeare, il pensiero di Nietzsche e di Wittgenstein, i romanzi di Tolstoi e di Flaubert hanno largamente influenzato la maggiore cultura italiana del Novecento. Le nostre case editrici pubblicano un gran numero di traduzioni di narrativa europea, i nostri politici siedono di continuo in consessi internazionali , molti dei nostri cibi e dei nostri oggetti di casa vengono da Oltralpe. Certo se dialogare è parlarsi in ugual misura da entrambe le parti bisogna ammettere che da più di qualche secolo, tranne alcuni momenti, l’Italia ha fatto sentire poco la sua voce. Basterebbe, per migliorare il dialogo, una cura maggiore dei nostri beni naturali e artistici, una fiducia più profonda nelle nostre possibilità. Ma questo è un lavoro su qualità e sostanza, non da progettare e da promettere, ma da approntare e compiere.

Per vivere meglio spesso ci creamo delle illusioni, sono inganni o speranze?
Nessun inganno e illusione. Solo una ragione spoglia e sicura. Noi siamo qui, questo è il tempo che ci è dato, questa è la nostra eternità sulla Terra. E’ eterno il momento che ci basta, in cui non siamo limitati e intossicati dal desiderio sempre eccessivo, dai confronti, dalle paure. Ci tocca restare, per questo non possiamo smettere di stupirci, di vigilarci vigilando il mondo che ci circonda e che ci portiamo dentro, di guardare all’ esistenza come al bene che ci è toccato anche nelle mancanze e negli errori. Insomma viviamo, al meglio di noi, con l’onestà che ci dobbiamo per non tradirci, nella pienezza del sentimento e della percezione. Allora ogni gesto, ogni atto, ogni parola ci significherà, ci accompagnerà. Non era questo l’avvio del Cristo < Io sono la via, la verità, la vita >? Non è questo che ripetono i Socrate, i Budda, e ogni essere umano che cerca sapienza nella sua piccola infinita giornata?

Elio Pecora è un grande poeta italiano. Ha scritto anche romanzi, saggi critici, testi teatrali, prose e poesie per bambini. Collabora con la RAI e con molte riviste.

 

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