Gli eventi culturali. Mostre ed eventi in Italia e nel mondo

di | 1 Dic 2013

dal sito www.beniculturali.it del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

VERDI A ROMA. Mostra storico-documentaria

Il rapporto del musicista con Roma in una mostra ai Lincei, nel bicentenario della nascita.
La mostra “Verdi e Roma”, promossa dall’Accademia Nazionale dei Lincei e inserita nell’ambito delle celebrazioni per il Bicentenario verdiano, indaga il complesso rapporto tra Giuseppe Verdi e la Roma dell’Ottocento, che traspare da documenti, disegni e foto di personalità come il poeta Cesare
Pascarella, lo scultore Vincenzo Luccardi e il senatore Giuseppe Piroli.
L’esposizione, articolata in nove sale, ricostruisce la genesi e la fortuna delle opere rappresentate per la prima volta nei teatri romani Argentina e Apollo: I due Foscari (1844), La battaglia di Legnano (1849), Il trovatore (1853) e Un ballo in maschera (1859) insieme alle prime capitoline di Otello (1887) e Falstaff (1893), presso il teatro Costanzi. Il progetto espositivo comprende altresì bozzetti, figurini e costumi di scena provenienti dal Teatro dell’Opera di Roma e da altri prestatori (come i costumi appartenuti al baritono Tito Gobbi, del quale la mostra vuole omaggiare il centenario della nascita). In ultimo, la sezione multimediale propone una ricca selezione di registrazioni audio-video, con diversi inediti.
L’iniziativa, dedicata al musicologo linceo Pierluigi Petrobelli, è stata possibile grazie alla sinergica collaborazione con l’Istituto Nazionale Studi Verdiani, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e il Teatro dell’Opera di Roma.

LE STANZE PER LA MUSICA chitarre, liuti, mandolini

La collezione Carlo Alberto Carutti rappresenta oggi uno dei più importanti nuclei internazionali di strumenti musicali a corda, che si distinguono per rarità, qualità, stato di conservazione, fruibilità e talvolta per l’appartenenza a celebri personaggi del mondo della musica, dell’aristocrazia e della nobiltà dell’epoca. L’insieme, che ripercorre quattro secoli di storia della grande liuteria a corda europea, è composto da oltre sessanta strumenti a corde pizzicate e sfregate. Oltre ad alcuni interessanti esemplari di violini, viole, pochettes e viole d’amore, sono presenti una cinquantina di strumenti a corde pizzicate fra i quali chitarre battenti, eptacorde, decacorde e “en bateau”, oltre a preziose chitarre settecentesche e ottocentesche, realizzate da celebri costruttori, fra i quali ricordiamo Fedele Barnia, Jean Baptiste Voboam, Gerard Deleplanque, Jean Nicolas Lambert e ancora Gaetano e Carlo Guadagnini, Giovanni Battista e Gennaro Fabricatore, Joseph e Louis David Pons, René Lacôte, Nicolas Grobert e Antonio de Torres. Completano il corpus della collezione alcune rare english-guitars, ghironde oltre a numerosi mandolini e alcuni liuti.
Da ultimo va evidenziata la presenza di una splendida chitarra costruita a Mirecourt da Aubry-Maire e appartenuta al cantante spagnolo Lorenzo Pagans; la stessa chitarra appare imbracciata da Pagans nel celebre dipinto di Degas, oggi conservato presso il Musée d’Orsay a Parigi.
La collezione, di cui è disponibile in cd room il catalogo ragionato a cura di Giovanni Accornero, sarà visibile dal 13 dicembre 2013 presso il Museo Civico Ala Ponzone di Palazzo Affaitati a Cremona.
http://musei.comune.cremona.it/srcalendar-display-lid-8645.phtml

e inoltre ….
Il Museo a 360 gradi!
Il sito web dei Musei Civici è stato arricchito di Immagini ad alta qualità a 360° (Tour Virtuali) di elevato impatto emozionale e visivo e appositamente realizzate dal fotografo Pietro Madaschi.
Grazie a questa soluzione i visitatori del sito, tramite PC, Tablet e Smartphone, hanno oggi la possibilità di fare vere e proprie visite virtuali in questi Musei: immergersi nelle diverse sale e negli spazi fotografati, guardarsi attorno, esplorare ogni angolo, zoomare su dettagli e singole opere, soffermandosi su quanto di interesse con la massima libertà.
Ammirate le oltre 25 Immagini a 360° sul sito all’indirizzo http://musei.comune.cremona.it/PostCE-display-ceid-35.phtml

La Radice del Segno – Hans Hartung. L’Opera grafica

La mostra che l’Istituto Nazionale per la Grafica dedica all’opera grafica di Hans Hartung prende l’avvio dalla donazione della Fondazione Hartung-Bergman al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Il corpus della donazione, che consta di 138 fogli, viene esposto nelle sale di Palazzo Poli, accanto ad alcuni dipinti e disegni, questi ultimi esposti per la prima volta, mettendo a fuoco la produzione grafica del maestro franco-tedesco e rendendo tangibile ed evidente il debito della pittura nei confronti della grafica. La parola chiave che costituisce la linea guida dell’esposizione romana è infatti Hartung, graveur peintre. La definizione ribalta la tradizionale connessione tra pittura e incisione ed è stata coniata da Rainer Michael Mason, uno degli interpreti più attenti dell’opera grafica di Hartung.
La produzione grafica, qui ampiamente documentata, offre un ventaglio di soluzioni stilistiche e di processi esecutivi che solo apparentemente contraddicono il modo di operare spontaneo e veloce dell’artista. In tal senso, il laboratorio di diagnostica delle matrici dell’Istituto ha fornito approfondimenti inediti sulle tecniche usate, sia per le matrici che per le stampe dimostrando la costante vitalità della ricerca, di pura astrazione che, a partire dai Blitzbücher o “libri dei lampi”, non ha mai smesso di trarre spunto dalla realtà nel tentativo di “fissare il dinamismo e la forza dell’energia” (Hans Hartung) attraverso il gesto fermo, come lo definisce Achille Bonito Oliva nel suo testo scritto per il catalogo edito dalla Fondazione Hartung-Bergman.
L’arte di Hans Hartung è stata molto amata dal pubblico e seguita con attenzione dalla critica italiana nel corso degli anni, a partire dal 1948, anno in cui Giulio Carlo Argan, per primo, lo presentò alla XXIV Biennale di Venezia nella collezione Peggy Guggenheim, fino alle ultime retrospettive.
La mostra è stata realizzata con il sostegno della Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee del MIBACT. L’iniziativa, condotta in collaborazione con la Fondazione di Antibes, sottolinea, il forte radicamento di Hartung al Novecento europeo ed inserisce l’Italia nel circuito virtuoso di collezionisti pubblici della grafica del maestro, accanto alla Bibliothèque Nationale de France, al Kupferstichkabinett degli Staatlichen Museen di Berlino, al Cabinet des Estampes del Musée d’art d’histoire di Ginevra.


Universo Depero – Oltre 100 opere del maestro trentino dal 1912 al 1950

Organizzata dall’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta in collaborazione con il Mart di Rovereto che ha assicurato il prestito di una serie particolarmente significativa di opere, alcune mai esposte prima d’ora, che spaziano dal 1910 alla fine degli anni Quaranta.
La mostra fa parte di un progetto teso alla valorizzazione dell’artista, come confermano i tanti eventi internazionali che lo coinvolgono tra cui Depero y la reconstruccion futurista del universo proposta sino al 12 gennaio 2014 a La Pedrera di Barcellona, la grande rassegna sul futurismo in programma al Guggenheim di New York dal 21 febbraio al 1° settembre 2014 a cui farà seguito, in giugno, la personale Depero futurista alla Fundacion Juan March di Madrid.
I prestiti del Mart sono arricchiti da testimonianze significative provenienti da altre realtà museali fondazioni, gallerie e musei aziendali come la Campari con cui si è sviluppato un lungo sodalizio durato dal 1925 al 1939. Non manca, poi, un nucleo di testimonianze che fanno parte della collezione personale dell’artista Ugo Nespolo che ha sempre considerato Depero un suo fondamentale punto di riferimento.
“Attivo per quarant’anni, Fortunato Depero è un personaggio a tutto tondo che ha sfidato le convenzioni attraverso un processo creativo in grado di spaziare dal teatro alla pubblicità; dal design all’artigianato attraverso la sperimentazione di differenti tecniche, come dimostrano le sue celebri tarsie di stoffe colorate.”, affermano i curatori Alberto Fiz e Nicoletta Boschiero che ricordano come proprio Umberto Boccioni, nel 1916, rimproverava amichevolmente a Depero di “osare troppo”.
Nel celebre manifesto Ricostruzione futurista dell’universo firmato da Giacomo Balla e Fortunato Depero nel marzo 1915 gli intendimenti erano chiari: “Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto.”
La mostra in programma ad Aosta affronta l’Universo Depero nelle sue differenti declinazioni: sono esposte oltre 100 opere tra dipinti, arazzi, tarsie, panciotti futuristi (il Panciotto di Tina Strumia proviene del museo dell’Aeronautica Gianni Caproni di Trento), mobili, sculture, bozzetti, progetti, libri (tra cui il celebre Libro imbullonato del 1927), disegni e schizzi in un’esposizione che ripercorre l’iter creativo dell’artista dai suoi esordi in ambito simbolista (la mostra si apre proprio con un’opera simbolista come Il taglialegna del 1912) alla sua adesione al futurismo giungendo sino alle realizzazioni degli anni Quaranta quando appare evidente il recupero della tradizione e dell’arte popolare.
In una rassegna così concepita, non mancano le riflessioni sul teatro e la danza (appaiono di particolare significato i progetti per I Balli Plastici provenienti dal Mart, oltre a due storici dipinti come Tarantella e Al Teatro dei Piccoli. Balli Plastici), sulle tappe che hanno condotto nel 1919 alla nascita di Casa Depero, sull’esperienza americana (qui nascono i progetti per Vanity Fair e Vogue), così come sullo stretto legame con il mondo pubblicitario che per Depero ha lo stesso valore della ricerca artistica indipendente, tanto che nel 1926 espone alla Biennale di Venezia una sua pubblicità per Campari, Squisito al selz.
La rassegna è divisa in sei sezioni che delineano le fasi salienti della sua esperienza artistica: 1) Esordi e Futurismo; 2) Clavel e il Teatro; 3) Casa del Mago; 4) Pubblicità; 5) Stile d’acciaio; 6) Rivisitazioni.
Come emerge con chiarezza, l’artista trentino si è imposto per la ricerca di una nuova estetica in grado di sensibilizzare ogni aspetto dell’esistenza. Non solo pittore e scultore di talento, ma anche scenografo, costumista, pubblicitario, designer e maestro nelle arti applicate. Universo Depero, insomma, affronta l’opera di un artista che ha saputo rinnovare il rapporto arte-vita senza mai rinunciare alle implicazioni ludiche e ironiche.
Come ricorda Alberto Fiz “non è azzardato affermare che Depero, attraverso la sua Casa d’arte Futurista a Rovereto, una factory ante litteram, abbia saputo anticipare di quasi mezzo secolo alcune tematiche proprie della pop art e dell’indagine di Andy Warhol e di Alighiero Boetti.” Per realizzare le tarsie, Depero, insieme alla moglie Rosetta, abile ricamatrice, decise di assumere alcune collaboratrici che, sotto la guida dell’artista, diede vita a composizioni in stoffa colorate che rappresentano un unicum nell’arte del Novecento. Proprio alla figura di Rosetta è dedicata La casa magica, una tarsia del 1920 esposta ad Aosta.
Depero compie una svolta radicale nella ricerca pittorica e plastica futurista cogliendo la portata rivoluzionaria di un’indagine che va oltre il quadro: “Rispetto ad una mostra di quadri, è più bello un negozio scintillante; un ferro da stiro elettrico è più bello di una scultura; la macchina per scrivere è più importante d’una tronfia architettura, ” ha scritto l’artista. Oltre al futurismo, infatti, partecipa all’esperienza del déco e prende parte ad alcune rassegne del movimento Novecento. Nell’evoluzione della sua indagine creativa, l’universo di forme e di colori va incontro a una fusione panteistica tra la componente meccanica e la natura (a questo proposito, in mostra compaiono alcuni dipinti emblematici degli anni Venti come Proiezioni crepuscolari, Fulmine compositore, Il legnaiolo, Alto paesaggio d’acciaio e Anacapri. Riesumazioni alpine, quest’ultimo proveniente dal museo Magi ‘900 di Pieve di Cento) in un percorso che comprende differenti soggetti come cavalli al galoppo, automi metropolitani, ma anche casolari alpestri, rustici bevitori o scultorei animali montani.
Tra le tarsie, accanto a La casa magica, va ricordato il frammento di Modernità del 1925 che rappresenta l’unica parte esistente del grande arazzo andato distrutto. L’opera, realizzata per l’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes di Parigi nel 1925, era stata lodata dallo stesso Marinetti che non esitò ad affermare: “Depero audacemente in Modernità ha sconfinato e presentato nei finissimi panni colorati, nella perfetta tecnica del mosaico cucito, una visione macchinaria di treni, traversati da automobili in pazza corsa, su di una via azzurra in fuga che si prolunga nel cielo e si fonda nella scia di un rosso volante aeroplano.”
Nell’ambito dell’allestimento verrà realizzato un tappeto-installazione con 100 maxibottiglie di Campari Soda che riproducono in formato gigante la storica monodose disegnata da Depero nel 1932.
Sarà proiettato, tra l’altro, Esplosioni di un artista del 2008, il video che il regista Luciano Emmer, un anno prima della sua scomparsa, ha voluto dedicare a Depero.
Una mostra, dunque, che consente di ripensare, in termini nuovi, l’indagine di un artista che ha fatto dell’arte un’esperienza destinata a modificare la percezione dello spettatore che si trova coinvolto in spazi dove ogni dettaglio del proprio contesto ambientale e sociale viene ripensato in maniera radicale.
L’esposizione è accompagnata da un catalogo monografico in italiano e francese pubblicato da Silvana Editoriale con i saggi dei due curatori, i testi selezionati di Depero, oltre agli interventi di Ugo Nespolo e Alessandro Mendini.

Organizzata dall’Assessorato Istruzione e Cultura
della Regione autonoma Valle d’Aosta
a cura di Alberto Fiz e Nicoletta Boschiero
in collaborazione con il Mart di Rovereto

Mosé e gli altri restauri in mostra

Si apre sabato 14 dicembre, alle ore 16.30, alla Villa medicea di Cerreto Guidi, la mostra “Mosè e gli altri restauri”; resterà visibile fino al 14 marzo 2014. Com’è consuetudine, la direzione della villa ha deciso di presentare alcune opere d’arte restaurate nel corso dello scorso anno e qui visibili per la prima volta.
Queste opere fanno parte dell’Eredità Bardini, appartenente allo Stato italiano dal 1996, composto da migliaia di pezzi in attesa di essere restaurati e presentati al pubblico.
Le opere che qui presentiamo hanno come centro d’attrazione il bellissimo dipinto di Alessandro Gherardini, restituito alla fruizione del pubblico e degli studiosi, per essere ammirato e studiato come la sua bellezza invoca ed impone. Si tratta dell’olio su tela Mosè e le figlie di Jetro, realizzato tra il 1690 e il 1700 e restaurato di recente da Muriel Vervat.
Scrive Cristina Acidini: “Un grande quadro del Settecento fiorentino ritorna pienamente godibile nella elegante complessità della sua composizione e nella ricchezza della tavolozza chiaroscurata e vivida. Una scena pastorale di fascino fresco e arcadico, che ricompare all’apprezzamento degli studiosi e del pubblico. E di paragonabile valore e interesse sono gli oggetti d’arte applicata, pure provenienti dall’infaticabile attività di scopritore e raccoglitore di Stefano Bardini, al quali si deve la sopravvivenza fino a noi di frammenti illustri d’un nobile passato artistico e artigiano”.
La mostra continua, presentando un piano di tavola in scagliola, di scuola carpigiana, di fattura squisita. Rimpiangiamo che nel corso del tempo si siano perse le delicate incisioni che rendevano la fattura più simile ad un merletto che a quella di un piano di tavolo.
Seguono alcune parti di un paliotto d’altare in scagliola, sempre di scuola carpigiana, qui presentato in stato frammentario, ma indicativo della maestria e della creatività raggiunta da questa scuola già alla metà del seicento.
Alcuni tessuti di pregevole fattura chiudono questa presentazione.
La diversità di materiali – dipinti, scagliole, tessuti – tutti trattati con arte e fantasia, ci rendono orgogliosi di offrire al pubblico che visita la Villa medicea di Cerreto Guidi un percorso di poche, raffinate , sceltissime opere d’arte recuperate che valorizzano i bellissimi saloni e sale dell’illustre Villa Medicea di Cerreto Guidi.
La Villa medicea di Cerreto Guidi, diretta da Marilena Tamassia, è aperta da lunedì a domenica dalle ore 8,15 – 19,00; chiusura: secondo e terzo lunedì del mese, Natale e Capodanno.

La Sardegna dei 10.000 Nuraghi – Simboli e miti dal Passato

È la prima volta che la civiltà nuragica della Sardegna è protagonista a Roma e lo fa attraverso una esposizione di grande fascino, che svela i segreti di una civiltà antichissima come quella che ha realizzato i nuraghi e che dalla Sardegna ha intessuto relazioni commerciali e culturali con le altre popolazioni insediate nel Mediterraneo, e anche con l’Etruria meridionale. Mai prima d’ora i bronzetti sardi qui rinvenuti erano stati esposti accanto a quelli ritrovati sull’isola.
Sviluppatasi in un lungo arco cronologico, tra l’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro (XVII-IX sec. a.C.), la civiltà nuragica, che prende nome dal singolare e imponente monumento che la caratterizza, il nuraghe, spicca nel panorama dell’Europa antica per varietà e ricchezza delle sue manifestazioni culturali.
Tra XVII e XIII sec. a.C. l’occupazione sistematica e capillare del territorio portò all’edificazione di migliaia di nuraghi sia semplici che complessi, distribuiti in sistemi insediativi costituiti da un numero variabile di torri, di abitati e di luoghi di culto funzionali al controllo delle risorse. Oggi queste architetture megalitiche, i cui elevati si ergevano in origine ben oltre i 20 metri, imprimono al paesaggio sardo un segno inconfondibile. Queste imponenti costruzioni, che hanno richiesto un eccezionale impiego di forza-lavoro, erano sede di attività legate all’esercizio del potere politico, amministrativo, militare e religioso, manifestazione evidente della forza e della ricchezza della comunità.
Il profondo cambiamento che coinvolge la civiltà nuragica intorno al XII secolo a.C. interrompe la costruzione di questi monumenti. Il contesto socio-economico vede una riorganizzazione generale delle comunità in un sistema fortemente gerarchico.
È questo il periodo in cui i Nuragici ebbero un ruolo da protagonisti e la Sardegna fu al centro di intensi scambi di uomini e merci, punto di transito delle rotte verso Occidente e Oriente. Navigatori essi stessi, i Nuragici furono sagaci interpreti di nuove tecniche metallurgiche, apprese ed elaborate in modo originale, e quindi ritrasmesse in tutto il Mediterraneo.
In questo contesto culturale le élites, per legittimare il proprio potere politico e religioso e garantirsi sentimenti di adesione collettiva, ricorsero al passato illustre. Per questo motivo riprodussero il nuraghe sia in pietra, con i grandi simulacri presenti nei luoghi di culto e nelle capanne delle riunioni, sia in bronzo, come singoli oggetti oppure come parti di rappresentazioni più complesse quali gli alberi maestri delle navicelle oppure i cosiddetti “bottoni”, che divengono dei doni cerimoniali.
Il modello di nuraghe diventa il Simbolo di un Simbolo, l’elemento aggregante della comunità, la bandiera, espressione dell’unità sociale e dell’autodeterminazione della forza collettiva. E intorno al modello si crea un importante apparato figurativo, immagine del popolo dei nuraghi e un insieme di arredi e corredi liturgici fondamentali per l’espletamento dei culti e dei rituali che rappresentano il background intorno al quale si crea una tradizione e si realizza il mito.
La Mostra di Villa Giulia è stata suddivisa in 4 sezioni.
La prima Immagini di un popolo ruota intorno ad un documentario (regia di Roberto Cretton testi di Franco Campus e Pina Maria Derudas). Le architetture, la vita quotidiana e la sfera del sacro vengono proposti con l’ausilio di suggestive scene di fiction e ricostruzioni virtuali, accompagnate da musiche anche originali, attraverso una chiave di lettura che mette l’accento soprattutto sugli aspetti sociali e sul ruolo che occupa l’Isola delle Torri, protagonista di primo piano sulla scena Mediterranea fra l’età del Bronzo e l’età del Ferro.
La seconda sezione dal titolo I Luoghi e i simboli offre uno spaccato dei luoghi della poliedrica civiltà nuragica. Un percorso geografico si dipana dal nord al sud dell’isola e interessa le numerose località che hanno restituito il simbolo di questa civiltà: manufatti in bronzo o pietra riproducono in varie dimensioni il nuraghe.
Nella terza sezione Identità e Orizzonti si intende sottolineare il ruolo del monumento quale bene riconosciuto sia oggi che nel passato. Due figure di guerrieri, un arciere e un “pugilatore”, riproducono fedelmente le grandi statue in pietra provenienti dallo straordinario complesso cultuale e funerario di Mont’e Prama. L’allestimento ricrea in scala reale interni di nuraghi, altari sormontati da spade votive, scenari ed ambientazioni in un quadro di grande suggestione.
La quarta ed ultima sezione Simboli e segni della memoria focalizza l’attenzione sulla funzione che le riproduzioni di nuraghe ebbero nel contesto di origine. Le navicelle votive con l’albero maestro conformato a torre, con animali sulle murate, sono chiaramente espressione di una narrazione e segni del potere: nuraghi in bronzo, doni cerimoniali, sono funzionali ad instaurare un’alleanza fra uomini e dei. Verranno esposte opere poco note al grande pubblico provenienti dai più importanti musei nazionali e civici della Sardegna, testimoni di un racconto mitico e della memoria culturale del popolo nuragico.
L’esposizione – rielaborazione di quella sarda “Simbolo di un simbolo”, inaugurata nell’ottobre del 2012 nel piccolo centro di Ittireddu (SS), finanziatore dell’evento, e poi ospitata al Museo “G. A. Sanna” di Sassari fino al 30 novembre 2013, è corredata da un catalogo, che accoglie i contributi di numerosi studiosi e approfondisce le tematiche presentate in Mostra.
Durante la giornata inaugurale il pubblico potrà rivivere le antiche atmosfere musicale sarde fin dalla mattinata, grazie alle esibizioni del coro polifonico sardo Associazione culturale coro di Ittireddu diretto dal maestro Silvio Bossi e del gruppo folk “Santu Jagu” di Ittireddu.
L’iniziativa, promossa dalla Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale e dal Comune di Ittireddu, sosterrà la popolazione della Sardegna colpita dall’alluvione attraverso la Caritas – Parrocchia Nostra Signora De La Salette di Olbia (IBAN IT 42 M 03359 01600 100000069823, causale: EMERGENZA ALLUVIONE OLBIA)

Vittorio Zecchin, Duilio Cambellotti e Le Mille e una notte

Di Zecchin si presentano i sei pannelli di proprietà del Museo di Ca’ Pesaro a Venezia e una serie di vasi in vetro che l’artista realizzò per la ditta muranese Venini. Di Cambellotti si avrà in mostra la serie originale delle venti tavole per l’illustrazione del libro, di proprietà dell’Archivio Cambellotti di Roma. Inoltre, sono state selezionate, insieme alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, una serie di pubblicazioni della celebre raccolta di fiabe, tra cui la prima in lingua francese di Antoine Galland.
Per suggerire l’ambiente originario in cui le storie de Le mille e una notte si sono generate, vengono infine presentate due mattonelle persiane del XVIII secolo, che rappresentano il mondo orientale fiabesco che vede nascere quei suggestivi racconti. Anche la lucerna ad olio che viene esposta è un esemplare in uso nell’India coeva alla genesi letteraria delle storie e rappresenta anche il tòpos di una delle fiabe più conosciute, quella de La lampada di Aladino, rimasta nell’immaginario collettivo ininterrottamente per diverse generazioni. Mattonelle e lucerna sono stati gentilmente concessi alla mostra dal Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma.
L’esposizione del Museo Boncompagni Ludovisi raccoglie quindi intorno al tema trattato una serie di testimonianze di quanto esso fosse stato popolare all’inizio del XX secolo e quale interesse abbia generato per l’Oriente, interesse che coinvolgerà il gusto in ogni campo del costume sociale.
La mostra è realizzata in collaborazione con il Museo di Ca’ Pesaro a Venezia, con la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e con il Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci”di Roma.
E’ curata da Mariastella Margozzi, direttrice del Museo Boncompagni Ludovisi, insieme a Matteo Piccolo, funzionario della Galleria Internazionale di Ca’ Pesaro di Venezia, e a Flora Parisi, funzionaria della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Il progetto di allestimento è dell’architetto Massimo Licoccia, funzionario della Galleria nazionale d’arte moderna.
La realizzazione è di Articolarte srl.

Il Respiro del Mediterraneo -Trame e colori dell’accoglienza

Una mostra a cura di: Italia Nostra Onlus, Sezioni di Roma e Reggio Calabria
Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia – ANIMI – Società Magna Grecia

Organizzazione generale Annalisa Cipriani

Con il contributo di Officine Fotografiche Roma

Un’opportunità per riscoprire attraverso foto, manufatti tessili, video, l’arte popolare e le sue contaminazioni tra vie d’acqua e di terra, nelle tradizioni millenarie del bacino del Mediterraneo, riproposte in terra di ’ndrangheta, con i manufatti artistici realizzati nei Borghi solidali dell’Aspromonte ionico, dove il sostegno di Libera ha permesso di coltivare le terre confiscate alla mafia e ripopolare i paesi abbandonati della Locride, accogliendo comunità di profughi e rifugiati politici dell’area mediterranea e mediorientale, teatro perenne di guerre e persecuzioni, fughe e approdi tra sponde opposte dello stesso mare.
Un occasione per coinvolgere gli studenti nell’esempio di una cittadinanza attiva e in un esperienza di viaggio creativo lungo “le rotte dei traffici dei mercanti, le migrazioni delle anguille, fughe di popoli e nascita di dee,
”il Mediterraneo magico" di Predrag Mattvejevic, lontano dalle cronache dolorose di questi giorni. Guida sarà il progetto Reflecting “Art and Textile” promosso dal Liceo Artistico Mattia Preti-Frangipane ex istituto d’arte di Reggio Calabria, in gemellaggio con una scuola della città di Adana in Turchia: uno straordinario lavoro di ricerca realizzato con una rigorosa selezione iconografica del patrimonio storico-archeologico delle due sponde del Mediterraneo, che ha influenzato l’arte tessile di quelle popolazioni in un rimando di forme colori simboli di una civiltà comune che la mostra permetterà di conoscere meglio. Insieme alla bellezza degli antichi arazzi conservati con i grandi telai nei laboratori dell’ex’Istituto d’Arte calabrese, un luogo e una memoria da salvaguardare e musealizzare nell’attesa di un ripristino dei laboratori di arti applicate negli ordinamenti scolastici, insieme agli insegnamenti della geografia e della storia dell’arte: il DNA del “popolo italiano che si era sempre distinto nel coltivare in ogni angolo della sua terra la bellezza” (Umberto Zanotti Bianco, 1957)

Strade. Al Museo si incontrano le strade del mondo

Le STRADE che percorrono la terra, le strade che la modellano, uniscono o separano. Su questo tema hanno lavorato per mesi un gruppo di cittadini modenesi provenienti da quattro continenti.
Il dialogo è partito dalle STRADE rappresentate e suggerite dai materiali esposti nel Museo Civico Archeologico o da antichi luoghi della città e del territorio modenese: dalla strada recentemente scoperta al parco Novi Sad, ai percorsi dei pellegrini etruschi lungo i valichi dell’Appennino, dalla “via dell’ambra” alle rotte percorse dagli esploratori modenesi nell’800 o evocate dai materiali della raccolta del lavoro contadino e artigiano di Villa Sorra.
Da questi incontri sono emerse storie, ricordi e testimonianze di mondi lontani che hanno reso possibile congiungere idealmente le strade di Argentina, Congo, Albania, Marocco, Colombia, Romania, Russia, Turchia, Ucraina, Filippine, Perù, Togo, Camerun, Costa D’Avorio, Bangladesh.
Da questi incontri è nata la mostra “Strade. Al museo di incontrano le strade del mondo”, visitabile fino all’8 giugno 2014
Allestita in una delle nuove sale di recente acquisizione del museo, la Sala Boni, l’esposizione è promossa dal Comune di Modena –Assessorato alla Cultura, Istruzione, Politiche sociali, Centro Stranieri, dal Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena, dall’Associazione Casa delle Culture di Modena e dall’Università di Modena e Reggio Emilia in collaborazione con IBC Regione Emilia-Romagna e Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
Il pubblico viene accolto da un richiamo alle celeberrime “impronte di Laetoli”, le più antiche orme di primati bipedi della storia, che in questo contesto evocano l’inizio di un cammino che non si è mai interrotto.
L’allestimento è scandito dalla successione di sezioni che rappresentano i principali filoni del dialogo partecipato.
– Lungo la strada: dalle strade dei migranti, a quelle dei pellegrini, a quelle delle merci … infiniti percorsi che hanno come protagonisti il viaggiatore e la sua meta
– In strada: la strada come biblioteca di memorie e saperi, come luogo di aggregazione e socializzazione, come amplificatore di cerimonie e rituali che coinvolgono la comunità
– Perdersi e trovarsi: la strada come simbolico rito di passaggio declinato fra codici, segni e linguaggi, dalle favole della tradizione occidentale alle esperienze iniziatiche dei giovani africani
– Le nostre strade: nelle strade si sedimenta la memoria pubblica ma anche quella privata degli individui e i nomi delle strade ne comunicano i significati. Nomi che non appartengono solo alla toponomastica ufficiale ma anche e soprattutto a quella “alternativa” che modenesi e cittadini stranieri attribuiscono al alcuni luoghi della città.
La sinergia fra interviste, slide show, postazioni audio e multimediali, testimonianze originali dei partecipanti, installazioni e oggetti delle raccolte del Museo consente al visitatore di comprendere il senso di un percorso partecipato. I partecipanti al progetto sono al tempo stesso cittadini modenesi e portatori di diverse culture, figure di riferimento nell’ambito della propria comunità di appartenenza che hanno aderito a “Strade” consapevoli delle ricadute positive che un’iniziativa di questo tipo può generare in termini di armonia sociale e sviluppo del dialogo interculturale.

L’incanto dell’affresco.
Capolavori strappati da Pompei a Giotto, da Correggio a Tiepolo.

La mostra, curata da Claudio Spadoni, direttore scientifico del MAR e da Luca Ciancabilla, ricercatore del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università degli Studi di Bologna e realizzata grazie al prezioso sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, intende illustrare le vicende che negli ultimi tre secoli hanno segnato l’evoluzione tecnica e la fortuna critica della prassi estrattista: l’arte di distaccare le pitture murali. Protagonisti assoluti delle sale della Loggetta Lombardesca sono più di un centinaio di capolavori un tempo sulle volte, sulle pareti e sulle facciate dei più noti edifici sacri e profani della nostra penisola: decine e decine di affreschi trasportati a massello (cioè segati insieme al muro), strappati o staccati e poi condotti su tela, o su altri supporti, fra la seconda metà del Cinquecento e gli anni ottanta del Novecento, per la prima volta riuniti nella medesima sede espositiva.
Frammenti, scene intere, porzioni monumentali di alcuni fra i più straordinari cicli pittorici murali firmati da Giotto, Buffalmacco, Vitale da Bologna, Pisanello, Andrea del Castagno, Melozzo da Forlì, Bramante, Luca Signorelli, Perugino, Ercole de Roberti, Pinturicchio, Garofalo, Raffaello, Romanino, Correggio, Moretto, Pontormo, Giulio Romano, Niccolò dell’Abate, Lelio Orsi, Paolo Veronese, Ludovico e Annibale Carracci, Guido Reni, Domenichino, Guercino, Tiepolo. Un progetto innovativo che attraversa la storia della pittura murale italiana dai dipinti di Ercolano e Pompei a quelli realizzati da Giambattista Tiepolo nella Villa Valmarana a Vicenza, il tutto in un continuo confronto e rimando con la storia del gusto, del restauro, del collezionismo e della conservazione delle opere d’arte. Un racconto inedito, ancora completamente ignorato dal grande pubblico, presentato nei suoi momenti principali: dai masselli cinquecenteschi motivati da fini devozionali, passando per le esaltanti sperimentazioni sette-ottocentesche delle tecniche dello strappo e dello stacco, quando i primi estrattisti conducevano su tela gli antichi affreschi per salvaguardarli dal degrado e dalla distruzione, ma anche per tramutarli in quadri da galleria a disposizione del mercato antiquario italiano ed europeo, fino ai trasporti del secondo Novecento, quando venne a consumarsi la cosiddetta “stagione degli stacchi” e quella della “caccia alle sinopie”, i disegni preparatori che gli antichi maestri avevano lasciato sotto gli intonaci dipinti.

EDVARD MUNCH

 Nel 150esimo anniversario della sua nascita, Edvard Munch è celebrato in tutto il mondo.
L’Italia rende omaggio al sublime artista norvegese con un’imperdibile retrospettiva che si terrà a Palazzo Ducale di Genova dal prossimo novembre.
Curata da Marc Restellini, direttore della Pinacotheque de Paris, che nel 2010 dedicò al maestro norvegese una straordinaria esposizione visitata da oltre 600.000 persone, la mostra è promossa dal Comune di Genova e da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, ed è prodotta da Arthemisia Group e 24ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, già partners di Palazzo Ducale nello scorso autunno per la mostra "Mirò! Poesia e Luce".
Il percorso espositivo racconterà tutta l’evoluzione artistica di Munch con oltre 120 opere.
Per questo motivo l’esposizione di Palazzo Ducale è allo stesso tempo rappresentativa del percorso artistico ed esistenziale di Munch, ma anche testimonianza del passaggio da un naturalismo di stampo impressionistico a una pittura nuova e audace che contribuisce in maniera determinante a sconvolgere tutta l’arte del XX secolo.
Il comitato scientifico della mostra Edvard Munch è composto da Richard Shiff, Øyvind Storm Bjerke, Petra Pettersen e Ina Johannesen.
"La natura è l’opposto dell’arte. Un’opera d’arte proviene direttamente dall’interiorità dell’uomo. (…) La Natura è il mezzo, non il fine. Se è necessario raggiungere qualcosa cambiando la natura, bisogna farlo. (…) L’arte è il sangue del cuore umano". Edvard Munch (1863-1944)

VERDI PROPRIETARIO E POLITICO

  L’Archivio di Stato di Parma intende offrire il proprio contributo al bicentenario verdiano con un’esposizione che tenga conto di una precisa interpretazione della figura di Verdi: cioè come il suo percorso di compositore fosse finalizzato all’acquisto di terreni per realizzare la propria ambizione a una indipendenza e autonomia materiale e simbolica, e allo stesso tempo abbia contribuito a rafforzare le sue idee conservatrici, espresse in una partecipazione alla politica attiva quasi sempre condotta con scarsa attitudine per le aule parlamentari a cui, suo malgrado, fu costretto a partecipare da deputato.
Questi due aspetti, fortemente legati fra loro, non sono meramente decorativi all’immagine caratteriale di Verdi, ma permettono di comprendere meglio le sue volontà artistiche e la sua necessità di intervenire sul sistema teatrale e sul mercato musicale del tempo, in una parola offrono un contributo alla comprensione della sua opera, così importante per l’identità italiana e così conosciuta ed eseguita in tutto il mondo.
A questo scopo la mostra, divisa nelle due sezioni a cui fa riferimento il titolo, offrirà documenti e mappe sulle proprietà verdiane, i loro rapporti con i guadagni ottenuti da Verdi con la propria attività professionale, una documentazione esaustiva sulla partecipazione di Verdi all’Assemblea delle Provincie Parmensi del 1859 e al suo viaggio nella delegazione che portò per conto dell’ex ducato la volontà di unione alla corona sabauda, una lettura dell’attività parlamentare di Verdi e del suo atteggiamento verso le vicende politiche del suo tempo.

TRA LUCE E PENSIERO

 La Biblioteca statale Antonio Baldini ospiterà nei suoi spazi la mostra dal titolo "Tra Luce e pensiero" dell’artista Luis Gerardo Rodriguez Val, dall’8 novembre al 31 dicembre 2013.
L’Autore
Nasce a Madrid e forma la propria sensibilità artistica dividendosi tra la città natale e Roma, sua città adottiva.
Se Emotività è Colore e Raziocinio è Contenuto, il loro fondersi mostra solo un barlume della personalità dell’artista e il miglior modo per accostarsi a queste opere resta il viscerale, perché l’arte in ogni tempo ha come meta il cuore di chi osserva.
Artista versatile, nel tempo ha sperimentato varie tecniche di pittura: dall’olio, all’acquarello, dalla velatura al materico, cavalcando il tempo con affettuose e precise rievocazioni dei maestri antichi e vivide immagini dell’attuale realtà urbana. Nei suoi paesaggi lo sguardo si libera dalla costrizione degli spazi chiusi, nelle nature morte si riconosce la perfezione della vita, nelle opere a più dimensioni visive ciascuno colga il proprio significato, aldilà del titolo e aldilà dei richiami culturali.
La poesia resta la vera dominanza di ogni opera, laddove per poesia si intenda l’armonia che permea l’infinito e rende possibile la comunicazione tra noi, piccoli capolavori che in esso ci attardiamo.

MODIGLIANI SOUTINE E GLI ARTISTI MALEDETTI. LA COLLEZIONE NETTER

 Dopo il grande successo alla Pinacothèque de Paris e al Palazzo Reale di Milano, la mostra “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti. La collezione Netter”, a cura di Marc Restellini, giunge a Roma. Per la prima volta si possono ammirare i capolavori appartenenti alla ricca collezione di Jonas Netter (1867 – 1946), acuto riconoscitore di talenti. La mostra presenta oltre 120 opere di straordinaria bellezza oltre a Modigliani, anche Soutine, Utrillo, Suzanne Valadon, Kisling e altri artisti che vissero e dipinsero a Montparnasse agli inizi del Novecento durante i cosiddetti “anni folli”, in cui il noto quartiere parigino divenne centro culturale di avanguardia e luogo di incontro di artisti e intellettuali. In questo turbine di cambiamenti e trasformazioni, Jonas Netter ricoprì indubbiamente un ruolo fondamentale.
Il percorso espositivo mette a confronto i capolavori acquistati nell’arco della sua vita dal collezionista , che, affascinato dall’arte e dalla pittura, diventò un amateur illuminato, grazie all’incontro col mercante d’arte e poeta polacco Léopold Zborowski, che gli suggerì opere di artisti non famosi ma che Netter, che di mestiere faceva il rappresentante, poteva permettersi di acquistare.
Grazie a lui Netter entrò in contatto con questi grandi artisti, la cui produzione lo affascinò e lo spinse a comprare dal mercante molti dei loro lavori.Di tutti i pittori con cui venne in contatto, il collezionista alsaziano rimase maggiormente colpito dall’arte del giovane livornese e fu tra i primi ad acquistare le sue opere. Di Modigliani Netter ammirò l’originalità del genio creativo, amò profondamente i suoi volti femminili stilizzati su lunghi colli affusolati, come Elvire con colletto bianco (Elvire con collettino) del 1918 e Fanciulla in abito giallo (Ritratto di giovane donna con collettino) del 1917, entrambi esposti insieme a Ritratto di Zborowski (1916) e Ritratto di Soutine, questo realizzato nel 1916 dopo l’incontro tra i due artisti che strinsero una solida amicizia, al punto che fu proprio Modigliani a presentare Soutine a Netter. Di quest’ultimo sono esposti in mostra oltre venti olii, tra cui Uomo con cappello, Scalinata rossa a Cagnes e La pazza.
Allo stesso modo Netter scoprì i quadri del “periodo bianco” di Utrillo, soprattutto vedute, tra le quali Piazza della chiesa a Montmagny, Chiesa di periferia e Rue Muller a Montmartre, tutte esposte in mostra. Netter decise di proteggere questo eterno fanciullo disincantato innamorato della madre, Suzanne Valadon, valente e originale pittrice, anche lei presente in mostra, con opere come Ketty nuda mentre si stiracchia e Chiesa di Neyron. Non si deve dimenticare, infine, che anche se oggi consideriamo queste opere capolavori assoluti dell’arte, non era assolutamente così per i contemporanei di Netter, che dunque ebbe un’ intuizione artistica ancor più rivoluzionaria.

IL MONDO DI LEONARDO

 "Il Mondo di Leonardo" consente di immergersi nell’universo del grande genio rinascimentale, come mai prima d’ora era stato possibile fare, grazie ad avveniristiche esperienze interattive e a stupefacenti ricostruzioni inedite delle sue macchine: dal restauro digitale dell’Ultima Cena, in anteprima mondiale in scala 1:1 (10 metri per 6, che consente per la prima volta dai tempi di Leonardo di scoprire i particolari e i colori ormai perduti), alle ricostruzioni della Balestra, della Macchina del Tempo, della Città ideale, del celebre "Autoritratto di Leonardo"(presentato in esclusiva in tecnologia Hyper View) solo per citarne alcune.
Per superficie espositiva, contenuti e modalità di interazione, questa mostra rappresenta un’occasione di apprendimento unica per studenti di ogni ordine e grado. Le classi che vorranno partecipare alla mostra possono scegliere tra effettuare visite guidate "tradizionali" oppure "animate" ed usufruire anche di uno spazio dedicato alla didattica. La mostra ha a disposizione un esperto didattico cui gli insegnanti potranno rivolgersi anche prima della visita per avere tutte le informazioni necessarie.
Il visitatore ha la possibilità di interagire in prima persona con le macchine di Leonardo, una buona parte delle opere artistiche e con i famosissimi codici manoscritti: Codice del Volo, Codice Atlantico, Manoscritto B. In anteprima mondiale vengono svelate per la prima volta al pubblico le ricostruzioni inedite della Balestra e della Macchina del Tempo.

VIVERE A FORUM LIVII. LO SCAVO DI VIA CURTE

La vita quotidiana di Forlì in epoca romana in mostra al Palazzo del Monte di Pietà di Forlì
Il Palazzo del Monte di Pietà di Forlì ospita la mostra "Vivere a Forum Livii" che illustra la vita quotidiana nell’insediamento urbano di Forlì in epoca romana.
L’esposizione verte sui documenti e materiali archeologici scoperti nel 2003-2004 in occasione di uno scavo condotto in via Curte, l’unico in città che ha restituito una sequenza abitativa che va dall’età repubblicana all’età tardo antica.
L’esposizione è promossa dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, dalla Fondazione RavennAntica e dalla Casa Editrice Ante Quem, con il sostegno di Assicoop Romagna Futura – Unipol Assicurazioni, Coop Adriatica, il Gruppo Hera e con il patrocinio del Comune di Forlì.
Due i temi affrontati dalla mostra: il primo relativo alla storia urbana di Forlì in età romana, con particolare riguardo alle domus; il secondo volto ad approfondire i diversi aspetti della vita quotidiana, attraverso i materiali venuti in luce con l’indagine archeologica, gli elementi costruttivi, gli arredi, l’illuminazione.
Tra gli oggetti esposti, si segnala la presenza del mosaico del triclinio, fino ad oggi conservato presso i magazzini della Pinacoteca civica di Forlì e mai esposto al pubblico, che per l’occasione sarà allestito con copie dei letti tricliniari.
Il restauro di questo mosaico, della dimensione di 20 mq e costituito da tessere in bianco e nero a motivo geometrico, è stato effettuato dal Laboratorio di Restauro di RavennAntica e finanziato dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì.
La mostra è arricchita da disegni ricostruttivi, plastici e modellazioni 3D; entro Natale sarà disponibile il volume "Vivere a Forum Livii. Lo scavo di di via Curte", pubblicazione scientifica dello scavo curata da Chiara Guarnieri, della collana DEA, Documenti ed Evidenze di Archeologia della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna.
Nell’ambito dell’esposizione, la Fondazione RavennAntica propone alle Scuole del territorio forlivese un interessante percorso di visita e un laboratorio didattico alla scoperta degli antichi romani, dal titolo: Banchetto a Forum Livii. Alle prime classi che si prenoteranno, l’attività didattica sarà offerta gratuitamente dagli sponsor dell’evento. In particolare, alle prime 10 classi da Coop Adriatica e Assicop Romagna Futura – Unipol Assicurazioni, alle successive 20 classi dal Gruppo Hera.

ARTURO MARTINI

  Una collaborazione inedita tra la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e la Fondazione del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, porterà a Bologna a Palazzo Fava (22 settembre 2013 – 12 gennaio 2014) e a Faenza al MIC (12 ottobre 2013 – 30 marzo 2014) una straordinaria mostra dedicata al più importante scultore del ‘900 italiano: Arturo Martini.
A Faenza la mostra Arturo Martini. Armonie, figure tra mito e realtà a cura di Claudia Casali, direttrice del Museo Internazionale delle Ceramiche, espone una cinquantina di opere, significative della sua poetica e della sua idea di “armonia”, sia attraverso l’interpretazione della figura femminile tra mito e realtà, sia attraverso le opere degli ultimi anni caratterizzate da una accentuata ricerca formale.
Tra le principali opere in mostra sono da segnalare:
Ritratto di Fanny Nado Martini (1905), Davide Moderno (1908), La lettura (1910 ca), La fanciulla piena d’amore (1913), La lussuriosa (1918), La pulzella di Orleans (1920), Leda (1926), La leggenda di San Giorgio (1926-27), Presepio piccolo e grande (1926-27), La pisana (grande frammento) (1928), Lo spaventapasseri (1928-29), La Nena (1930), Odalisca (1930), Torso (1930), Donna sdraiata (1932), Vittoria Fascista (1932), Abbraccio-amplesso (1936-1940), Testa di Vittoria (1937- 38), Cavallo allo steccato (1943), Signorina seduta (1943), Donna sulla sabbia (1944).

“IN VIAGGIO VERSO LE ALPI. ITINERARI ROMANI DELL’ITALIA NORD-ORIENTALI DIRETTI AL NORICO”

  Dopo il grande successo di pubblico della mostra “I bronzi di Iulium Carnicum”, sabato, 28 settembre, alle ore 16, presso il Museo Archeologico di Zuglio, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio, viene inaugurata una nuova, importante mostra, frutto della forte sinergia tra il Comune di Zuglio e la Soprintendenza per i beni archeologici del Friuli Venezia Giulia e del sostegno della Fondazione Aquileia e di numerosi Enti pubblici e privati.
“In viaggio verso le Alpi. Itinerari romani dell’Italia nord-orientale diretti al Norico”, questo il titolo della mostra, per illustrare il lungo e faticoso viaggio che, in epoca romana, occorreva intraprendere per raggiungere le regioni Oltralpe, con partenza dalla porta nord-occidentale di Aquileia: dal Mare Adriatico alle Alpi orientali. Un’esposizione interamente dedicata al tema della viabilità nel comparto più orientale dell’Italia romana, con particolare attenzione alle direttrici stradali di collegamento tra i territori di pianura, prossimi alla costa adriatica, e le zone poste Oltralpe.
L’antico reticolo stradale romano, di cui rimane ancora oggi un segno profondo nelle terre dell’Italia nord-orientale, ci fa intuire il senso e l’importanza del sistema viario e la profonda trasformazione dei luoghi avviata dai Romani con l’intento di migliorare le condizioni di occupazione.
Le strade, inserite in maniera funzionale nel paesaggio agrario, rivestirono, infatti, il ruolo di linee organizzative per l’occupazione dello spazio rurale. Insediamenti minori, luoghi di culto, zone di mercato, ville, fattorie, stazioni di servizio e di sosta: queste e molte altre realtà gravitarono lungo i percorsi della grande viabilità. Per la loro realizzazione i Romani misero in atto notevoli innovazioni tecniche, quali ponti per l’attraversamento dei corsi d’acqua, terrapieni, asportazioni e tagli nella roccia.
La mostra, curata dall’archeologa Flaviana Oriolo, curatore del Civico Museo Archeologico di Zuglio, con la direzione scientifica di Marta Novello, funzionario della Soprintendenza per i beni archeologici del FVG, costituisce anche l’occasione per illustrare tematiche di carattere generale connesse al sistema viario romano: dalle modalità di costruzione di una strada, ai veicoli impiegati per compiere i tragitti fino alle guide e le carte stradali a disposizione dei viaggiatori.
All’ampio apparato illustrativo è stata affiancata una scelta significativa di reperti archeologici conservati nelle sedi dei due Musei Archeologici Nazionali di Aquileia e di Cividale e presso i Civici Musei di Udine e il Museo Carnico delle Arti Popolari “Michele Gortani” di Tolmezzo.

ANTONIAZZO ROMANO “PICTOR URBIS”

 Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio storico artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della città di Roma, diretta da Daniela Porro, presenta la prima mostra monografica dedicata al pittore rinascimentale Antoniazzo Romano.
La rassegna, promossa e organizzata dalla Soprintendenza e curata da Anna Cavallaro e Stefano Petrocchi, è allestita negli ambienti monumentali dedicati alle mostre temporanee al piano terra di Palazzo Barberini. Antonio Aquili detto Antoniazzo Romano (Roma 1435/40 – 1508), figura centrale del Rinascimento, fu attivo per quasi mezzo secolo fino al primo decennio del Cinquecento a Roma e nel territorio laziale. La mostra illustra il contesto in cui si sviluppa la vicenda artistica del maestro e le svolte fondamentali nella sua produzione.

IL TESORO DI NAPOLI. I Capolavori del Museo di San Gennaro

  Sette secoli di storia, un viaggio attraverso donazioni di papi, imperatori, re, uomini illustri e persone comuni, per ricostruire uno dei più importanti e ricchi tesori d’arte orafa al mondo, il leggendario Tesoro di San Gennaro.
Promossa da Fondazione Roma e organizzata da Fondazione Roma – Arte – Musei, in collaborazione con il Museo del Tesoro di San Gennaro, l’esposizione è curata da Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro, e Ciro Paolillo, esperto gemmologo e docente presso l’Università La Sapienza di Roma. Per la prima volta al di fuori della città di Napoli verrà presentato non solo il Tesoro del Santo, ma documenti originali, dipinti, sculture, disegni e arredi sacri, che restituiscono la straordinaria storia di un culto, una città, un popolo.
Con venticinque milioni di devoti sparsi in tutto il mondo, San Gennaro è il santo cattolico più famoso e conosciuto nel mondo. Il Tesoro a lui dedicato è unico nel suo genere: formatosi lungo settecento anni di storia, grazie alle numerose donazioni, si è mantenuto intatto da allora, senza mai subire spoliazioni e senza che i suoi preziosi fossero venduti. A proteggerlo la Deputazione della Real Cappella del Tesoro, organizzazione laica voluta da un voto della Città di Napoli il 13 gennaio 1527 deputata prima alla sovrintendenza sulla costruzione della Cappella dedicata al Santo nel Duomo di Napoli, poi alla difesa della collezione da minacce esterne. Ancora oggi formata da dodici famiglie che rappresentano gli antichi "seggi" di Napoli.
La mostra offre l’occasione per approfondire dal punto di vista scientifico l’inestimabile valore artistico e culturale del Tesoro. Il percorso espositivo analizza il culto di San Gennaro, dalle sue origini, allo splendore dei due capolavori più straordinari della collezione: la Collana di San Gennaro, in oro, argento e pietre preziose, realizzata da Michele Dato nel 1679 e la Mitra, in argento dorato con diamanti, rubini, smeraldi e due granati, creata da Matteo Treglia nel 1713, e della quale ricorre quest’anno il terzo centenario.

LA RISCOPERTA DELL’ANTICO. GLI ACQUARELLI DI EDWARD DODWELL E SIMONE POMARDI

  Promossa dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, in collaborazione con Electa e il Packard Humanities Institute, la mostra ben illustra la realtà e il romanticismo dei viaggi del Grand Tour attraverso disegni dettagliati di singoli monumenti, sculture e magnifici paesaggi di rovine, perlopiù acquerelli, che i due vedutisti realizzarono nel corso dei loro viaggi in Grecia nel 1805-1806, in pieno clima neoclassico.
Il curatore John Camp ha selezionato 38 vedute realizzate da Edward Dodwell (c. 1777 – 1832) e Simone Pomardi (1757 – 1830). Presentate per la prima volta in Italia, dal 27 settembre 2013 al 23 febbraio 2014, erano inedite fino allo scorso febbraio, quando sono state esposte a Londra. I disegni e gli acquerelli in mostra fanno parte dei circa 800 esemplari che appartenevano alla collezione dei discendenti di Dodwell, fino a quando nel 2002 sono stati acquistati da David W. Packard, per conto del Packard Humanities Institute di Los Altos, California.
I paesaggi dipinti rappresentano una rara testimonianza dell’acropoli di Atene, dei monumenti di Micene, del porto di Corfù e di altri siti archeologici come apparivano al tempo della dominazione ottomana della Grecia, visti attraverso gli occhi dell’archeologo ed erudito Edward Dodwell, autodidatta e talentuoso acquerellista, e dell’artista italiano Simone Pomardi, già noto per dipinti all’acquarello, raramente a tempera, in cui ha ritratto l’antica Roma all’epoca dell’occupazione francese. Queste tavole contribuirono a promuovere la corrente filoellenica dell’inizio Ottocento sostenuta, tra gli altri, da Lord Byron, che scriveva della necessità di riscoprire l’antico splendore della classicità e inneggiava ad un ritorno alla libertà della Grecia, fino a decidere di partire per combattere al fianco dei rivoluzionari.
La mostra è presentata nella grande aula della Curia, sede del Senato romano, dove è tutt’oggi possibile ammirare lo splendido pavimento marmoreo in opus sectile, di età dioclezianea (III sec. d.C.), e i resti di pitture bizantine, testimonianza della trasformazione dell’aula, che misura ben 21 metri di altezza, nella chiesa dedicata a S. Adriano.
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