Lazio, gli uomini di Zingaretti sotto inchiesta
dal sito www.globalist.it
"Il nuovo inizio promesso da Zingaretti è lontano. Michele Baldi, capogruppo della sua Lista Civica, è stato appena rinviato a giudizio. E anche altri…"
"Immagina un nuovo inizio". Se è con l’ennesimo consigliere regionale nella bufera che lo vogliamo immaginare, forse lo slogan che Nicola Zingaretti usò per la campagna elettorale delle Elezioni Regionali del Lazio non ha più molto senso.
La "pecora nera" nella bufera è Michele Baldi, consigliere capogruppo della Lista Civica Zingaretti al consiglio regionale, rinviato a giudizio pochi giorni fa per falsità in scrittura privata.
Consigliere comunale a Roma per Alleanza nazionale dal 1997, consigliere nel Cda della As Roma Calcio per 9 anni, capogruppo di Forza Italia al Campidoglio nel 2005. Nel 2008 Baldi lascia Berlusconi e il centrodestra per fondare Forza Roma-Avanti Lazio, lista civica che assumerà poi il nome di Movimento per Roma e per il Lazio. Nel 2010 si candida a Presidente della Regione Lazio ma non riscuote largo consenso. Nel 2013 Zingaretti se lo porta come consigliere regionale nel listino bloccato del Presidente e lo fa entrare alla Pisana.
Il primo a raccontare la storia è Michele Pistilli, dalle colonne de Lanotiziagiornale.it . Il 13 aprile dell’anno scorso, il quotidiano diretto da Gaetano Pedullà titola: "Firme false, indagato Michele Baldi". Baldi è accusato dalla procura di Perugia di aver falsificato le firme degli elenchi del suo Movimento con cui si candidò alla presidenza. Tra le firme contraffatte, anche quella del giudice Nicola Iansiti, coordinatore dell’ufficio gip di Latina, e della figlia di quest’ultimo, Serena, attrice di recente impegnata nella fiction "Squadra Antimafia – Palermo Oggi". Quando il magistrato si è accorto di essere finito in lista a sua insaputa, ha denunciato il tutto ai colleghi e così è partita l’inchiesta. In tutto sono sedici i cittadini che hanno disconosciuto la loro firma.
Insieme a lui, è finito nei guai anche Mario Cassoni, consigliere provinciale di Latina del Pd, che aveva svolto il ruolo di "autenticatore" delle firme, dichiarando che erano state apposte in sua presenza anche se non era vero.
Una volta terminata l’inchiesta, il Pm Comodi (titolare del fascicolo) ha inoltrato richiesta di rinvio a giudizio. Qualche giorno fa è arrivata la decisione del magistrato Lidia Brutti del Tribunale perugino: Baldi finirà alla sbarra il 5 marzo prossimo, di fronte al giudice Giuseppe Narducci, per rispondere di falsità in scrittura privata.
Baldi però è solo l’ultimo di una lunga serie di personaggi che con Zingaretti e "il nuovo inizio" della Regione Lazio in molti pensano abbiano poco a che fare.
Qualche esempio?
Nell’aprile 2013, a un mese dalla presentazione della nuova giunta regionale, il neo assessore alle Politiche sociali Paola Varvazzo si dimette perché il marito è stato indagato per concussione. A ruota segue il caso di Sonia Ricci, assessore all’Agricoltura rinviata a giudizio a causa di un incendio di rifiuti (anche plastici) scoppiato in un’azienda agricola. Al momento dell’incendio era l’unica presente. Zingaretti però, a differenza della Varvazzo, "perdona" l’assessore Ricci, definendo il reato imputatole "neanche lontanamente ipotizzabile contro la pubblica amministrazione".
Maurizio Venafro, capo di gabinetto di Zingaretti prima alla Provincia e adesso alla Pisana, ha invece ben altri problemi. Il settimanale l’Espresso scrive nel giugno 2013 che: "è accusato di concorso in bancarotta fraudolenta. L’inchiesta è incentrata sul fallimento della cooperativa Planet Work, al tempo socio privato della società pubblica All Clean creata dalla municipalizzata Ama (con il compito di cancellare le scritte dei writers sparse per la città) e di cui Venafro è stato presidente. Secondo il Pm Giorgio Orano i dirigenti della cooperativa (tra cui il fratello di Sabrina Ferilli) avrebbero distratto risorse dalla Planet Work girandole ad altre srl e Venafro avrebbe coperto le attività illecite. Zingaretti fa spallucce: pur se indagato, al suo capo di gabinetto non sembra voler rinunciare (anche se gli ha tagliato lo stipendio a 170 mila euro, 10 per cento in meno rispetto alla precedente amministrazione)". Altro nome non proprio spendibile è quello di Luca Fegatelli – ex capo della direzione regionale Energia e rifiuti, ex capo del dipartimento del Territorio – nominato oggi Presidente dell’Abecol, l’agenzia per i beni confiscati alle organizzazioni criminali nel Lazio. Il fatto grave è che sia stato arrestato il 9 gennaio scorso per associazione a delinquere finalizzata al traffico dei rifiuti. Insieme a lui sono finiti in manette il patron di Malagrotta, Manlio Cerroni; Raniero de Filippis, altro dirigente della Regione e Bruno Landi, ex Presidente della giunta laziale.<
L’accusa sostiene che gli arrestati avrebbero armonizzato "le scelte politiche e amministrative della Regione Lazio alle esigenze di profitto delle aziende di Cerroni", operando per "evitare la chiusura dell’impianto" e rimuovendo "i funzionari non allineati", mentre "ostacolavano imprenditori concorrenti" e "agevolavano l’accoglimento delle tariffe proposte dal Cerroni".
De Filippis , ex direttore per le Politiche sociali durante l’era Polverini, è stato indicato da Zingaretti come capo delle Infrastrutture, anche se la Corte dei conti gli ha recentemente imposto di risarcire la Regione per un danno erariale di 750 mila euro.
Torniamo alla giunta regionale, con un altro "accusato": l’assessore ai Rifiuti Michele Civita. Citiamo di nuovo da l’Espresso: " Nell’informativa che i carabinieri del Noe inoltrarono ai giudici di Velletri [.] spuntano alcune intercettazioni tra il solito Cerroni e l’attuale assessore ai Rifiuti Michele Civita (che però non risulta essere mai stato indagato). Telefonate del 2010 che ‘L’Espresso’ ha letto e che secondo i militari comprovano "l’influenza e la illimitata persuasione di cui è capace l’avvocato Cerroni". Civita, al tempo assessore provinciale all’Ambiente, viene definito "il diretto referente di tutte le vicissitudini e problematiche prospettate da Cerroni", in quel momento assai preoccupato dal fatto che i carabinieri, durante un controllo, avevano scoperto che un importante impianto (quello di Roccacencia) lavorava con un’autorizzazione scaduta da dieci anni, ‘nonché privo dei requisiti tecnici previsti dalla normativa di settore’".
E’ questa quindi la Regione che "immaginiamo"?