
Opera di Hieronymus Bosch, “Cura della Follia”
Questo il titolo provocatorio del Convegno realizzato dal Censis sul Monitor Biomedico 2014, tenutosi il 27 ottobre 2014 a Roma da Ketty Vaccaro, Responsabile del settore Welfare del Censis, e discussi da Carla Collicelli, Vicedirettore del Censis, Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, e Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria.
Il risultato: gli italiani sono sempre più informati, tra media e internet, ma consapevoli, per una grande maggioranza, che il “fai da te” diverrà, per motivi di una crisi che coinvolge il Paese, spaccato tra Nord-Est in condizioni migliori e Sud, e tra tagli e Spending Review, l’unico approccio verso il mantenimento di una buona salute o di quello di “curarsi” bene.
Il 70% pensa di essere “informato”, ma un 55% teme che troppa informazione generi confusione.
La metà degli italiani giudica inadeguati i servizi sanitari della propria regione, con una punta del 72% al Sud: liste d’attesa troppo lunghe, ticket una tassa iniqua, e farmaci garantiti dal SSN insufficienti, chiusura piccoli ospedali. Aumenta così la percezione che la qualità dell’assistenza sanitaria pubblica si vada riducendo e cresce sempre più l’idea che la causa sia una eccessiva responsabilità concesse alle regioni, e la crisi in cui versa il Paese. Così il “fai da te”, rivolgendosi al “privato” per non aspettare e per maggiore qualità, arrivando a sostenere le spese di tasca propria (due terzi degli italiani), sembra essere per la maggior parte l’unica soluzione.
Molte le patologie che spaventano, in ordine di percentuale: tumori (63%), patologie degenerative che portano a non autosufficienza (31%), cardiovascolari (28%) neurologiche (26%). Questa “paura ha fatto cambiare a parecchi lo “stile di vita con dieta sana, e maggiore, ed essere informati di più: il medico di base è ancora la fonte di informazione maggiore (73%), a seguire lo specialista (27%), ma cresce l’informazione ricavata dal ruolo dei media e soprattutto di internet: il 78% usa il web per informarsi su patologie specifiche, il 29% per trovare informazioni su medici e strutture a cui rivolgersi, il 25% per prenotare visite, esami o comunicare tramite e-mail con il proprio medico.
Continua una grande fiducia nei medici, ma cambia il modo in cui si seguono le indicazioni: nelle malattie gravi il 90% segue scrupolosamente indicazioni nelle dosi e nella durata, nelle malattie meno gravi, aumentano l’empowerment, le decisioni soggettive e l’autogestione e solo il 57% segue con attenzione le prescrizioni. Verso i farmaci molta fiducia, ma critiche al ticket e alla copertura pubblica, e li considerano importanti nella lotta alle malattie (guarire), e nella gestione delle cronicità, e funzione di prevenzione, solo per una minima parte (7%) servono a debellare le patologie mortali. Molti pensano che il ticket è una tassa iniqua, altri strumento inutile, mentre il 33% lo ritiene uno strumento per limitare l’acquisto di farmaci. Così differenze tra quelli di “marca” ed i “generici” prevalendo la “marca” nella maggior parte dei casi.
Intervento del Presidente di Farmindustria precisa in sei punti:
“Gli italiani più che informati, ritengono di essere più informati, cercano e trovano notizie, ma non si può scavalcare il medico, perché per esempio esistono farmaci intelligenti che il medico conosce tramite informatori sanitari, ma che il cittadino non può saperlo.”
Prosegue con l’affermare “che il sistema universalistico della sanità non è più attuale, oggi ci sono più anziani e maggiori tecnologie. E negli ultimi dieci anni i sistemi messi in atto per rendere sostenibile il “sistema sanità” non hanno cambiato nulla, e forse allora è il caso di cambiare veramente qualcosa. Quindi la Sanità è da ripensare non con tagli ma agire su sprechi ed inefficienze, lasciando da parte la farmaceutica. Chi amministra, gestisce l’economia della sanità, ma non la salute.”
Continua dichiarando che “l’innovazione è la soluzione e l’industria farmaceutica è innovazione, ma innovazione è un problema italiano perché è visto come costi e non a lungo tempo come riduzione delle spese su malati. Il farmaco previene le cure successive e i costi maggiori delle cure di chi si ammalerà, è meno invasivo e riduce costi del futuro malato.” Spiega poi che il “ticket è una tassa pagata due volte. L’industria farmaceutica ha un tetto di costi che non deve essere superato, se viene introdotto un aumento del ticket lo stato ha un doppio rientro sia dal malato sia dall’industria farmaceutica (Pay Back da parte dell’industria farmaceutica verso lo Stato).”
Conclude che forse la “spesa verso il privato potrebbe essere sostituito da Fondi Sanitari che coprono spese ed integrano l’insufficienza o i maggiori costi della Sanità Pubblica per curarsi, ma nel nostro paese non è proponibile.”
Chiude il Convegno Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, affermando che “nel nostro Paese si è passati dal “diritto alla cura” al “diritto alla salute” al “diritto della qualità della vita” dilatando i diritti, perdendo alcuni punti fondamentali il Diritto alla Cura. Troppi diritti pretesi che danno solo una dispersione economica che impedisce di arrivare al nocciolo della questione cioè essere curati.
Si è passati negli anni ad avanzare diritti pretenziosi di guarigione totale, allora ampliando questo concetto se dobbiamo pensare al diritto della qualità della vita si deve allargare la visuale verso altro, non solo la Sanità, ma anche inquinamento, sostenibilità, e tutto ciò che comporta una migliore qualità della vita. Ma il problema fondamentale, il diritto alla cura, si perde con orpelli costosi e a volte inutili, assurdi.
Da ripensare gli aspetti sociologici del problema Sanità.
Si deve pensare al “corpo” italiano inteso come il corpo di ogni italiano che necessita di un solo unico diritto la cura, quindi un “corpo sociale”.
Questo “corpo” sociale necessita di troppe cose, mentre la Sanità è nata in un momento in cui la cura era il vero diritto. L’Italia sta invecchiando, si deve tenerne conto nel “corpo” italiano.
Si deve si attualizzare, ma aggiornandola seguendo il cambiamento sociale e pensare in modo più semplice e guardare più che ai diritti alle “aspettative”, dal 1960 si è battuto su maggiori diritti, ci si è nascosti dietro a pretese di diritti, ed i risultati sono questi.”
Il risultato: gli italiani sono sempre più informati, tra media e internet, ma consapevoli, per una grande maggioranza, che il “fai da te” diverrà, per motivi di una crisi che coinvolge il Paese, spaccato tra Nord-Est in condizioni migliori e Sud, e tra tagli e Spending Review, l’unico approccio verso il mantenimento di una buona salute o di quello di “curarsi” bene.
Il 70% pensa di essere “informato”, ma un 55% teme che troppa informazione generi confusione.
La metà degli italiani giudica inadeguati i servizi sanitari della propria regione, con una punta del 72% al Sud: liste d’attesa troppo lunghe, ticket una tassa iniqua, e farmaci garantiti dal SSN insufficienti, chiusura piccoli ospedali. Aumenta così la percezione che la qualità dell’assistenza sanitaria pubblica si vada riducendo e cresce sempre più l’idea che la causa sia una eccessiva responsabilità concesse alle regioni, e la crisi in cui versa il Paese. Così il “fai da te”, rivolgendosi al “privato” per non aspettare e per maggiore qualità, arrivando a sostenere le spese di tasca propria (due terzi degli italiani), sembra essere per la maggior parte l’unica soluzione.
Molte le patologie che spaventano, in ordine di percentuale: tumori (63%), patologie degenerative che portano a non autosufficienza (31%), cardiovascolari (28%) neurologiche (26%). Questa “paura ha fatto cambiare a parecchi lo “stile di vita con dieta sana, e maggiore, ed essere informati di più: il medico di base è ancora la fonte di informazione maggiore (73%), a seguire lo specialista (27%), ma cresce l’informazione ricavata dal ruolo dei media e soprattutto di internet: il 78% usa il web per informarsi su patologie specifiche, il 29% per trovare informazioni su medici e strutture a cui rivolgersi, il 25% per prenotare visite, esami o comunicare tramite e-mail con il proprio medico.
Continua una grande fiducia nei medici, ma cambia il modo in cui si seguono le indicazioni: nelle malattie gravi il 90% segue scrupolosamente indicazioni nelle dosi e nella durata, nelle malattie meno gravi, aumentano l’empowerment, le decisioni soggettive e l’autogestione e solo il 57% segue con attenzione le prescrizioni. Verso i farmaci molta fiducia, ma critiche al ticket e alla copertura pubblica, e li considerano importanti nella lotta alle malattie (guarire), e nella gestione delle cronicità, e funzione di prevenzione, solo per una minima parte (7%) servono a debellare le patologie mortali. Molti pensano che il ticket è una tassa iniqua, altri strumento inutile, mentre il 33% lo ritiene uno strumento per limitare l’acquisto di farmaci. Così differenze tra quelli di “marca” ed i “generici” prevalendo la “marca” nella maggior parte dei casi.
Intervento del Presidente di Farmindustria precisa in sei punti:
“Gli italiani più che informati, ritengono di essere più informati, cercano e trovano notizie, ma non si può scavalcare il medico, perché per esempio esistono farmaci intelligenti che il medico conosce tramite informatori sanitari, ma che il cittadino non può saperlo.”
Prosegue con l’affermare “che il sistema universalistico della sanità non è più attuale, oggi ci sono più anziani e maggiori tecnologie. E negli ultimi dieci anni i sistemi messi in atto per rendere sostenibile il “sistema sanità” non hanno cambiato nulla, e forse allora è il caso di cambiare veramente qualcosa. Quindi la Sanità è da ripensare non con tagli ma agire su sprechi ed inefficienze, lasciando da parte la farmaceutica. Chi amministra, gestisce l’economia della sanità, ma non la salute.”
Continua dichiarando che “l’innovazione è la soluzione e l’industria farmaceutica è innovazione, ma innovazione è un problema italiano perché è visto come costi e non a lungo tempo come riduzione delle spese su malati. Il farmaco previene le cure successive e i costi maggiori delle cure di chi si ammalerà, è meno invasivo e riduce costi del futuro malato.” Spiega poi che il “ticket è una tassa pagata due volte. L’industria farmaceutica ha un tetto di costi che non deve essere superato, se viene introdotto un aumento del ticket lo stato ha un doppio rientro sia dal malato sia dall’industria farmaceutica (Pay Back da parte dell’industria farmaceutica verso lo Stato).”
Conclude che forse la “spesa verso il privato potrebbe essere sostituito da Fondi Sanitari che coprono spese ed integrano l’insufficienza o i maggiori costi della Sanità Pubblica per curarsi, ma nel nostro paese non è proponibile.”
Chiude il Convegno Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, affermando che “nel nostro Paese si è passati dal “diritto alla cura” al “diritto alla salute” al “diritto della qualità della vita” dilatando i diritti, perdendo alcuni punti fondamentali il Diritto alla Cura. Troppi diritti pretesi che danno solo una dispersione economica che impedisce di arrivare al nocciolo della questione cioè essere curati.
Si è passati negli anni ad avanzare diritti pretenziosi di guarigione totale, allora ampliando questo concetto se dobbiamo pensare al diritto della qualità della vita si deve allargare la visuale verso altro, non solo la Sanità, ma anche inquinamento, sostenibilità, e tutto ciò che comporta una migliore qualità della vita. Ma il problema fondamentale, il diritto alla cura, si perde con orpelli costosi e a volte inutili, assurdi.
Da ripensare gli aspetti sociologici del problema Sanità.
Si deve pensare al “corpo” italiano inteso come il corpo di ogni italiano che necessita di un solo unico diritto la cura, quindi un “corpo sociale”.
Questo “corpo” sociale necessita di troppe cose, mentre la Sanità è nata in un momento in cui la cura era il vero diritto. L’Italia sta invecchiando, si deve tenerne conto nel “corpo” italiano.
Si deve si attualizzare, ma aggiornandola seguendo il cambiamento sociale e pensare in modo più semplice e guardare più che ai diritti alle “aspettative”, dal 1960 si è battuto su maggiori diritti, ci si è nascosti dietro a pretese di diritti, ed i risultati sono questi.”
Immagine dal sito www.arteesalute.blogosfere.it
di Pietro Bergamaschini