Intervista esclusiva a Felice Romano SIULP …la libertà è un valore assoluto, e quindi irrinunciabile,la sicurezza è lo strumento…
Elaborazione Immagine di CM
Felice Romano, in foto, è il Segretario Generale del Siulp (Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia)
Attualmente i Sindacati, in genere, sono molto in calo nel gradimento popolare, perché ?
Esso infatti può essere costituito e diretto solo da appartenenti alla Polizia di Stato (art. 83 legge 121/1981) anche se per effetto di una modifica intervenuta lo scorso anno tale possibilità è stata estesa, in maniera veramente singolare rispetto a quanto da tempo rivendicato dal SIULP e cioè la libertà di poter aderire a qualsiasi organizzazione sindacale e non solo a quelle esclusivamente composte e dirette da poliziotti, anche al personale di polizia in quiescenza. Ho fatto questa precisazione perché, fermo restando che non mi pare vi sia questo calo di gradimento nei lavoratori rispetto al sindacato in generale – cosa diversa è la campagna mediatica di denigrazione dell’istituzione-sindacato che, forse, ha generato un calo di gradimento nell’opinione pubblica – in quanto il sindacato di polizia non solo non segna nessun calo nel gradimento dei poliziotti ma, a differenza del passato, che comunque ha sempre rappresentato un dato anomalo rispetto al panorama complessivo, atteso che ha registrato un tasso di sindacalizzazione pari al 90% dei lavoratori, oggi nonostante le campagne mediatiche di attacco al sindacato, in polizia, registriamo un trend costantemente in crescita che fa segnare, al 31.12.2014, in tasso di sindacalizzazione pari al 96,4% della forza effettiva.
Come dire, se il 96,4% su cento è un calo di gradimento l’unica risposta possibile è che la perfezione (100%) non è umana e quindi questo ci conforta perché ci fa sentire cittadini tra i cittadini, che è uno degli obiettivi che la riforma del 1981 voleva affermare .
Segretario è necessaria una riforma dei Corpi di Polizia ?
R: Credo sia opportuno fare una precisazione a monte attesa la pluralità dei Corpi che costituiscono il sistema sicurezza nel nostro Paese e la diversità di status (tre ad ordinamento civile e due a status militare) dei vari Corpi che nell’insieme costituiscono il modello di sicurezza italiano.
Essendo io espressione della Polizia di Stato, quindi a status civile come la Polizia Penitenziaria ed il Corpo Forestale dello Stato, è naturale che propenda per Corpi di Polizia a status civile ritenendo incontrovertibile il principio, peraltro ribadito anche dalla stessa Comunità Europea, secondo il quale un paese democratico e avanzato non può che essere dotato di forze di polizia ad ordinamento civile attesa che la mission alla quale devono attendere è la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, la salvaguardia delle istituzioni democratiche, in quanto espressione del popolo sovrano, e la sicurezza dei cittadini in un binomio imprescindibile ed insopprimibile quale è quello che potremmo individuare in sicurezza e libertà.
Sicurezza e libertà, infatti, sono la sfida che tutte le democrazie avanzate devono affrontare per garantire da un lato il governo del paese, ma la sfida affinché questo avvenga senza la soppressione della libertà dei singoli cittadini. Ciò in considerazione dell’assunto che mentre la libertà è un valore assoluto, e quindi irrinunciabile, la sicurezza è lo strumento attraverso il quale ogni singolo cittadino, pur rinunciando a parte o ad alcuni dei propri diritti di libertà, lo fa in funzione dell’interesse più alto della garanzia di libertà, ma anche di sicurezza dell’intero Paese.
In questa ottica, e rispettando la scelta dei singoli Corpi che tuttora ritengono di preservare il loro status militare, ritengo necessaria una riforma più del sistema sicurezza ancor prima dei singoli Corpi.
La diversità degli stessi, infatti, purché incardinata nell’alveo sinergico di un coordinamento effettivo sotto la direzione di un’unica regia, come previsto dalla legge 121/81, che si muova in un’unica direzione con chiare potestà, ma anche altrettante responsabilità, diventa questione più cogente, soprattutto ai giorni nostri tempestati dalla necessità della spending review che non la riforma dei singoli Corpi.
Un siffatto intervento, peraltro dal SIULP auspicato da tempo, consentirebbe di ridisegnare un modello della sicurezza che, attraverso la valorizzazione delle risorse umane già esistenti – che sono e restano l’unico vero motore per dare attuazione positiva e concreata a qualsivoglia idea di riforma – e un nuovo assetto presidiario, ovvero una diversa riallocazione dei presidi delle diverse forze di polizia sul territorio, consentirebbe di ridisegnare (a prescindere dalla riforma che ogni singolo Corpo può adottare e anche dal numero complessivo dei Corpi che costituiscono l’insieme dell’apparato sicurezza), un nuovo modello della sicurezza moderno, efficiente, efficace e anche privo di quelle duplicazioni che oggi rendono l’attuale sistema, anche se efficace, insostenibile per le finanze pubbliche. Insomma, la questione non è la riforma dei Corpi, ma quello del modello attesa la necessità di renderlo sostenibile per le finanze pubbliche senza per questo intaccare o diminuire la sua efficienza e la sua efficacia. Su questo terreno il SIULP ha richiamato alle proprie responsabilità il Ministro dell’Interno, in primis, e l’intero Governo senza fare sconti anche al Direttore Generale della Pubblica Sicurezza che, per legge, è chiamato alla direzione e al coordinamento di tutti i Corpi che concorrono alla garanzia della sicurezza.
Su una questione il SIULP non farà sconti: giacché da essa discende la concreta ed efficace realizzazione del nuovo modello. Mi riferisco alla valorizzazione del personale a quello cioè che in gergo sindacale definiamo riordino delle carriere. perché è attraverso questo processo che si potranno delineare le potestà, ma anche le chiare responsabilità (oggi difficilmente individuabili con il sistema che si è generato per effetto del pluralismo dei Corpi, ma anche della salvaguardia della loro autonomia) di coloro i quali saranno omissivi o non rispetteranno le direttive dell’Autorità di Pubblica Sicurezza c che è e deve restare ad ordinamento civile e non militare.

Siete un Sindacato particolare , proprio per il ruolo delicato pubblico che i Vs Iscritti ricoprono , a parte la fedeltà allo Stato che è il principio della Vs missione , con il Governo scontro o dialogo se non accoglie i Vs diritti e riconoscimenti contrattuali (considerando anche che è pronto a riconoscere le vostre ragioni , accusandovi però di usare toni forti) ?
R: la particolarità del nostro agire non è insita nel sindacato che, come dicevo prima, è un effetto e non la causa del nostro modello organizzativo. La particolarità, infatti, risiede nella specificità del nostro lavoro e del ruolo delicato che ci è demandato per legge a difesa delle istituzioni democratiche, dell’ordine e della sicurezza pubblica considerando che per raggiungere tali obiettivi a noi è riconosciuta, ovviamente sempre e solo nei casi espressamente previsti dalla legge, la potestà dell’utilizzo della forza e quella di privare i cittadini della loro libertà.
Queste potestà, tuttavia, si traducono anche in grossi limiti per tutti coloro che decidono di vestire l’uniforme e di giurare fedeltà allo Stato quando si tratta di garantire i diritti che per altri lavoratori sono ormai scontati.
Gli appartenenti alla Polizia di Stato, infatti, a differenza degli altri cittadini e in compagnia di tutti gli altri appartenenti alle forze di polizia e alle forze armate, hanno delle importanti restrizioni in tema di diritti individuali, in ragione della loro funzione istituzionale che, oltre gli altri requisiti previsti per legge, devono anche mantenere e soprattutto dare la concreta percezione di essere terzi e di non avere conflitti d’interesse nell’ambito dell’esercizio delle proprie funzioni.
Uno status che solo da qualche anno è stato riconosciuto con apposita legge (art. 19 legge 183/2010) come affermazione apodittica ma non ancora concreta.
Infatti, nonostante tale previsione normativa anche gli appartenenti ai Copi di Polizia hanno subito la riforma previdenziale, il blocco del turn over e il blocco del tetto salariale.
Se le prime due misure, sebbene ingiuste non hanno però ripercussioni sulla vita operativa e sulle responsabilità in capo ai singoli poliziotti, la terza, cioè il tetto salariale, oltre ad essere ingiusta ed iniqua, minava completamente, sino al rischio di totale crash l’intera architettura su cui si regge un’amministrazione quale quella dei corpi di polizia, che sebbene civile, si regge comunque sul principio della gerarchia e quindi della diretta responsabilità in funzione della posizione che si occupa.
È su questa ultima questione che come sindacato ci siamo scontrati con il Governo. Lo s contro era finalizzato a far comprendere che l’attribuzione di maggiori responsabilità legate alla catena di comando, senza gli adeguati e opportuni riconoscimenti di tipo economico, stavano destrutturando completamente l’essenza che trascina l’aspetto motivazionale degli appartenenti a questi settori, peraltro già penalizzati, in funzione di basse retribuzioni rispetto alla elevata capacità professionale e predisposizione all’esposizione al rischio, sino al sacrificio estremo della vita, che viene richiesto per l’espletamento delle funzioni di polizia.
In tale ottica le accuse di aver usato toni forti, attesa la situazione economica complicata e delicata con cui il Paese stava facendo i conti, vanno considerate quali espressioni della normale dinamica di confronto che esiste tra chi rappresenta il Governo e i rappresentanti dei lavoratori, tenuto conto che, nel merito, il Governo ha riconosciuto la fondatezza delle nostre rivendicazioni dandovi una positiva risposta.

Dal Decreto Brunetta che prevedeva il blocco del Comparto della Pubblica Sicurezza fino al 2012 (poi scavallato nel rispetto della Legge 183/2010 dallo stesso Governo Berlusconi ) , al Governo Monti fino alla Madia , cos’è cambiato con l’attuale Governo a proposito di risorse , assunzioni e formazione del Personale?
Bisogna innanzi tutto considerare quanto affermato in premessa: giacché lo stanziamento delle risorse non può essere considerato in termini assoluti, pur ribadendo la necessità di avere a disposizione quanto richiesto per un funzionamento ottimale “della macchina sicurezza”, in quanto esso è influenzato dalle condizioni generali della finanza pubblica e quindi dalla possibilità di dare riscontro alle richieste di stanziamento.
Altro elemento essenziale in tale contesto è, come già rappresentato, l’urgenza e la necessità, ad avviso del SIULP, di procedere alla revisione del modello della sicurezza nel suo insieme, partendo dalla necessità di eliminare le duplicazioni che, purtroppo, sovente si trasformano in veri e propri sprechi.
In questa ottica, ricordando quello che diceva Andrew Lang, a proposito dei dati e cioè che gli stessi sono come i lampioni per gli ubriachi nel senso che pur non illuminandoli li aiutano comunque a sorreggersi, ritengo necessario sottolineare che da circa dieci anni a questa parte il comparto sicurezza e difesa ha subito tagli per oltre quattro miliardi di euro.
Una cifra enorme, senza la quale, comunque, i Corpi di Polizia, grazie all’innato senso del dovere e all’italica propensione all’arte dell’arrangiarsi propria di tutti gli italiani, hanno continuato a garantire elevati standard di sicurezza e hanno inferto durissimo colpi in particolare alla criminalità organizzata.
Nonostante queste doti, però, avendo i poliziotti “raschiato anche il fondo del barile” degli strumenti dei mezzi e delle risorse che avevano ancora a disposizione (come è facile intuire, non molte e desueti), oggi la situazione richiede un’inversione di tendenza e l’esigenza di ricominciare da subito a reinvestire sulla scurezza.
Con il Governo Renzi questa esigenza così come l’affermazione che la sicurezza non è un costo di sistema, come è stato considerato fino a poco tempo fa, ma essa è una condizione imprescindibile per lo sviluppo sociale e anche economico del sistema-Paese, ha trovato finalmente pieno diritto di cittadinanza.
Lo sblocco del tetto salariale, anticipato dal concetto contenuto nel documento economico finanziario dello scorso anno nel quale, per la prima volta, la sicurezza viene citata come fattore essenziale, non solo per la piena integrazione in Europa e per il rispetto dei diritti umani, ma anche come moltiplicatore di efficienza e quindi di ricchezza economica e sociale, insieme ad uno stanziamento di circa ottocento milioni, il trend dei tagli scellerati e la disattenzione verso il comparto sicurezza e difesa si è finalmente invertito.
Ovviamente ciò non basta, bisogna continuare perché garantendo il sistema-sicurezza in realtà si garantisce anche la crescita civile, sociale ed economica del nostro Paese.
La prova del nove, per quanto ci riguarda, sull’azione del Governo Renzi l’avremo nella prossima legge di stabilità. Giacché se in essa saranno contenute le risorse per il rinnovo del contratto di lavoro e per arruolamenti straordinari, finalizzati non solo a combattere la nuova emergenza terrorismo ma anche ad abbassare l’età media dei poliziotti ormai giunta a quarantanove anni, allora potremo affermare che con l’attuale Governo c’è stato effettivamente un cambio di rotta.
Quando si sente dire che gli Agenti di Polizia sono pagati poco per il lavoro così rischioso , che le auto, oltre ad essere obsolete ,non hanno la disponibilità della benzina, che manca nei Commissariati anche la cancelleria e perfino la carta igienica , è tutto vero ? Come riuscite a garantire il servizi ?
La situazione delle strutture e dei mezzi della Polizia di Stato, purtroppo, non fa eccezione rispetto al quadro generale che vede tutta la pubblica amministrazione obsoleta e con un grande handicap di funzionalità per mancanza di risorse e strumenti adeguati anche rispetto alle nuove tecnologie che si rinnovano, anche per la criminalità, alla velocità della luce.
Lo stato di abbandono in cui versano non solo i commissariati o gli altri uffici periferici di tutte le forze di polizia, ma anche quelli provinciali quali le questure e i corrispettivi delle altre forze, è veramente desolante e mortificante.
Lo dicevo poc’anzi, è solo grazie all’innata propensione all’italica arte dell’arrangiarsi, di cui i poliziotti sono vere e proprie punte di diamante oltre che eccellenze, se consideriamo anche la mortificazione a livello economico cui sono stati sottoposti, che la sicurezza, nel nostro Paese, continua ad essere garantita.
Collette pei il rifornimento delle auto di servizio, per l’acquisto della carta per la ricezione delle denunce, per garantire un pasto agli arrestati o agli immigrati irregolari che stazionano quotidianamente nei nostri uffici o quelle effettuate per la cattura di pericolosi latitanti sono pratiche quotidiane che ormai non attirano l’attenzione del sindacato attese le tante denunce già fatte per casi analoghi. Ma in noi c’è l’innato senso del dovere e lo spirito di servizio che con abnegazione si antepone ad ogni lamentela e a ogni criticità del sistema.
Non è un caso, infatti, che i poliziotti non usano dire vado a lavorare. Per noi è naturale dire: andiamo in servizio, montiamo di servizio. Servizio: è in questa parola che si racchiude il segreto del perché, nonostante i tagli e le condizioni impossibili che i poliziotti continuano comunque indefessi a garantire la sicurezza dei cittadini, l’ordine e la sicurezza pubblica, la democrazia e le sue istituzioni.
In poche parole, la consapevolezza di aver scelto di essere al servizio del Paese e di tutti i cittadini. Una scelta che per noi viene prima di ogni altra cosa: finanche prima della salvaguardia della nostra stessa vita.
Ordine pubblico, terrorismo, mafia e clandestini, come ci protegge la Polizia, considerano le 5 forze di Polizia, secondo la Legge 121 , c’è un agente ogni 140 mila cittadini ?
Precisiamo subito una cosa, richiamando quello che ho detto prima a proposito dei dati e del principio affermato da Andrew Lang, nel rapporto in cui si afferma che c’è un agente ogni centomila abitanti bisogna tenere conto che nel numero complessivo fotografato da Eurostat il dato comprende sia il personale delle forze di Polizia a competenza generale (P.d.S e CC), sia personale delle Forze di Polizia a competenza specifica (GdF, Polizia Penitenziaria, Corpo Forestale dello Stato), sia le Forze di Polizia locali, la polizia doganale, i cadetti e gli staff tecnici.
Con questa base l’Italia risulta essere, sino al 2010, il quinto paese nel rapporto tra appartenenti alle Forze di Polizia ogni centomila abitanti, dopo Cipro, Spagna, Grecia e Croazia.
La rilevazione sugli altri paesi europei, invece, non è stata fatta su base omogenea anche per la loro diversa organizzazione in funzione della quale, ad esempio, le Forze di polizia a competenze specifiche non vengono conteggiate.
Sulla base degli stessi dati se venissero sottratti i numeri delle Forze di Polizia locali e quelle a competenze specifiche il citato rapporto, in Italia, sarebbe uno dei più bassi di tutti i Paesi della Comunità.
Fatta questa premessa, per rispondere complessivamente alla domanda, basta solo richiamare quanto già esplicitato per il secondo quesito. Oggi occorre, per migliorare il rapporto tra efficienza efficacia e sostenibilità un riordino del modello che, a prescindere dalla riforma dei singoli Corpi debba basarsi sulla valorizzazione del personale e su una nuova distribuzione dei presidi che elimini le duplicazioni e gli sprechi. La motivazione del personale oggi, nonostante i tagli scellerati che il sistema ha subito è stata la molla e il segreto del buon funzionamento della macchina sicurezza nonostante tutte le difficoltà.
Investire su di essa, quindi, e cioè motivare ancora di più il personale è l’unica ricetta possibile per affrontare al meglio le delicate, complicate insidiose sfide che ci attendono a partire dalla rinnovata minaccia del terrorismo internazionale.
Perché, come disse un vecchio Ministro degli Interni, poi presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, tre poliziotti bene equipaggiati, con strumenti adeguati e ben motivati, rendono molto di più che dieci poliziotti disorganizzati, senza strumenti e anche disincantati.
Come cittadini rimaniamo esterrefatti quando un passante viene investito e ucciso e il colpevole se la cava con un ‘ora di Commissariato e qualche udienza in Tribunale pur restando in libertà, così come coloro che rapinano e massacrano e spesso uccidono e non pagano come dovrebbero , questo porta alla sfiducia verso le istituzioni dello Stato (Politica ,Giustizia e Forze dell’Ordine) , cosa ne pensa ?
Non c’è dubbio che la trasformazione della nostra società anche per effetto della globalizzazione, oggi pervasa più da uno sfrenato individualismo piuttosto che dallo spirito di solidarietà, in un momento di grave crisi economica che mette in discussione diritti fondamentali quali il lavoro, l’istruzione, la salute e la stessa dignità di un pieno diritto di cittadinanza, le problematiche legate alla sicurezza, o meglio, alla percezione dell’insicurezza a prescindere dall’andamento reale dei fenomeni criminali, rendono i cittadini più diffidenti verso le istituzioni.
Istituzioni che, non essendo indenni dai mali che pervadono la società quali la corruzione e il malcostume, insieme ad una grave crisi di credibilità sempre più accentuata della politica, della politica intesa come l’arte dell’impossibile nel governo delle società con la capacità di tenere insieme tutti gli interessi che vengono espressi dai singoli individui, fanno apparire molte istituzioni lontane dai reali bisogni dei cittadini e in quanto tali poco credibili.
Da qui il sentimento di sfiducia verso le stesse e, più in generale, verso lo Stato. Complice di questa sfiducia verso lo Stato è anche l’incapacità della giustizia di dare risposte certe e immediate ai com’portamenti illeciti di chi delinque facendo crescere la paura nei cittadini di non essere più liberi (liberi di circolare, di vivere il proprio territorio, di frequentare le persone ecc.).
Ciononostante, però, le Forze di Polizia e la Polizia di Stato in primis, proprio nell’indagine che viene condotta annualmente dall’EURISPES circa il gradimento degli italiani verso le istituzioni, ci ha sempre visto, sino al 2013, al primo posto in questa classifica, al pari con l’Arma dei Carabinieri e con le altre Forze di Polizia.
Nel 2014, per la prima volta nella nostra storia, la Polizia di Stato in questa indagine non è più prima ma si è classificata terza dopo i carabinieri e la guardia di finanza e quasi alla pari col Corpo Forestale dello Stato. Questa anomalia, che possiamo considerare come l’eccezione che conferma la regola, è da ascrivere, a mio avviso, ad una responsabilità che ricade completamente sul Dipartimento della P.S. e, in particolare, sui suoi vertici. Ma questa essendo una problematica tutta interna, è un’altra storia che non credo appassioni i nostri lettori.
Almeno per il momento.
A mio giudizio, per non sottrarmi alla domanda, credo che la pubblica amministrazione debba recuperare un debito di credibilità che oggi è stato generato più dagli “inquilini” che di volta in volta la politica ha indicato come massima espressione di quei segmenti che non per inefficienza del funzionamento dovuto a chi, essendo dipendente pubblico, opera al servizio dei cittadini.
Politica che, troppo spesso per coprire le proprie devianze e l’allargamento di quella che viene definita la fascia grigia nei rapporti tra la stessa e la criminalità, ha cercato di autoassolversi scaricando la responsabilità del cattivo funzionamento dei servizi sui pubblici dipendenti e non sulla mancanza di valori etici e morali che hanno portato questo tipo di politica ad assurgere non ad amministratori al servizio dei cittadini, ma a gestori di potere in danno della collettività.
A tutto questo si deve aggiungere la schizofrenia legislativa che ha reso inefficace ed a volte controproducente l’impegno ed il sacrificio di chi lavora onestamente per le istituzioni ed al servizio dei cittadini.
Emblematico è il caso che riguarda le Forze dell’Ordine.
Pur avendo oggi una popolazione carceraria di circa ventimila unità in più rispetto alla capienza massima (65.000 detenuti rispetto ai 40.000 posti), il che significa che abbiamo un sistema sicurezza efficiente ed efficace, è aumentata la percezione di insicurezza a seguito della grave crisi della giustizia, da un lato, che non riuscendo a celebrare i processi in tempo fa sì che i detenuti escano prima delle sentenze di condanna, e delle leggi varate per il rispetto dei diritti umani che hanno limitato la possibilità di procedere all’arresto oltre a favorire la scarcerazione di quelli che erano in attesa di giudizio.
Insomma, un sistema complessivo sicurezza giustizia e carceri, che per quanto mi riguarda dovrebbe essere considerato un solo convoglio nel quale i tre vagoni dovrebbero viaggiare alla stessa velocità pena deragliamento dello stesso, oggi si muove in modo non sinergico causando un effetto salvifico a prescindere dalla volontà dei singoli che operano in questi settori.
Il risultato ultimo che il cittadino o vede la polizia intervenire e non poter operare per effetto delle richiamate norme, oppure a fronte dell’operatività della polizia vedono una giustizia che non incarcera i responsabili ma li rimette in libertà. La percezione che ne ricava è di totale inefficacia nonostante questo però le Forze dell’Ordine continuano ad essere le prime nel gradimento degli italiani rispetto a tutte le altre istituzioni.
Se fosse Matteo Renzi, quale cosa per prima farebbe per dare un segno di cambiamento culturale ed economico per migliorare le Forze dell’Ordine ?
Premetto che ho la fortuna di non essere il Presidente del Consiglio del nostro Paese. Lo dico con profondo rispetto e con la consapevolezza che il premier oggi non ha un compito facile attesa la congiuntura economica negativa, il grave deficit di credibilità delle istituzioni e non per ultimo la frastagliata e instabile composizione del quadro politico-partitico con cui lo stesso si deve confrontare per traghettare l’Italia fuori da questa crisi che, senza alcun dubbio non foss’altro per la sua durata, è una delle più drammatiche che il nostro Paese ha vissuto dal dopoguerra ad oggi.
Se potessi dare un consiglio al Premier per una migliore sicurezza del nostro Paese sicuramente gli chiederei di valutare la possibilità di una riforma complessiva del modello della sicurezza sulla falsariga di quanto avvenuto già in Francia ed in Spagna.
In questi due Paesi, fermo restando la diversità dei vari Corpi che concorrono a garantire la sicurezza, la sola scelta di ricondurre la regia dell’azione di tutti i soggetti in campo sotto un’unica responsabilità, il Ministro degli Interni, in modo da agire con un’unica regia ma anche con un’unica responsabilità, unitamente alla valorizzazione del personale che formano questi Corpi, ha consentito di dare una risposta più efficiente ed efficace al contrasto alla criminalità comportando però risparmi ingenti sulle finanze pubbliche.
Ecco, se avessi la possibilità di dare un consiglio a Renzi gli suggerirei questo, atteso che noi, rispetto a questi Paesi abbiamo in più l’estro e lo spirito di servizio che sinora, nonostante la carenza delle risorse, dei mezzi e degli strumenti, siamo riusciti comunque ad ottenere che in tutto il modo ci considerino una vera e propria eccellenza.