Combattere le caste

di | 1 Apr 2015

 Elaborazione Immagine di Carla Morselli

La perdurante polemica contro la casta prende di mira, in particolare, due categorie comunemente ritenute emblematiche della stessa, politici e burocrati. Due differenti “caste”, costantemente chiamate in causa congiuntamente, quali corresponsabili di degenerazioni e distorsioni delle dinamiche istituzionali o, addirittura, quali sodali nella presunta consumazione di illeciti contro la pubblica amministrazione.
Al di là di quelli che saranno gli esiti finali delle diverse inchieste che continuamente vengono aperte in materia di appalti, corruzione o altre forme di deviazione dell’attività amministrativa, nell’immaginario collettivo la classe politica tenderebbe ad abusare del potere di gestione conseguito, avvalendosi delle capacità tecniche di una burocrazia interessata ad assecondarla. Un rapporto, quindi, di interazione omertosa funzionale agli interessi e alle “utilità” di entrambe le “caste”. Questa l’immagine che ormai ha “bucato”, nella percezione dell’opinione pubblica, soprattutto in una fase di diffusa precarietà e sofferenza sociale. E’ fin troppo scontato, naturalmente, ricordare quanto ingiusta ed infondata possa ritenersi una generalizzazione e che il fenomeno corruttivo è certamente meno diffuso di quanto si pensi, ma l’esempio negativo, sia pure minoritario, suscita comunque scandalo e, in quanto tale, scuote la coscienza collettiva.
Alla grande maggioranza che opera onestamente, con scrupolo e precisione, nessun risalto mediatico viene accordato ! La ripetuta successione degli “scandali” pone tuttavia una questione essenziale per la funzionalità della pubblica amministrazione e per la tenuta stessa della democrazia: l’attività amministrativa e contrattuale dello Stato, degli enti locali e delle aziende pubbliche è continuamente esposta al rischio di un inquinamento deleterio che produce maggiori costi e inefficienze. La politica e il legislatore devono interrogarsi sull’origine di questa costante connessione tra il sistema degli appalti e la corruzione. Si avverte una questione di fondo che investe il senso dello Stato e del servizio alla collettività e l’aderenza ai princìpi morali che ne sono il fondamento. Una condizione che il mero inasprimento delle pene e la fissazione di requisiti e paletti sempre più rigidi e complessi non si sono rivelati in grado di scalfire, determinando invece sovente effetti di paralisi e di confusione. Fenomeni che poi prestano il fianco alla ricerca di margini di deroga, aprendo spiragli a nuove tentazioni corruttive.
Sembrerebbe più ragionevole una riflessione su alcuni aspetti sistemici da riconsiderare secondo criteri di linearità e di buon senso, senza ricorrere a leggi “manifesto” astruse, ultrapunitive e, in definitiva, difficilmente applicabili, come le “grida” di manzoniana memoria. Le riforme delle autonomie e del pubblico impiego degli Anni Novanta avevano sancito un principio sacrosanto, la separazione degli atti di gestione – riservati alla burocrazia – da quelli di indirizzo politico, distinguendo così nettamente il ruolo e le responsabilità dei dirigenti amministrativi da quello dei rappresentanti politici, autonomi gli uni dagli altri nell’esercizio delle rispettive funzioni. Ma questa autonomia che dovrebbe scongiurare le indebite collusioni e convergenze verso finalità antigiuridiche si rivela veramente efficace, quanto più la carriera del burocrate resti indipendente dalle interferenze del potere politico. Un burocrate la cui permanenza o progressione in carriera sia condizionata dalla volontà del politico troverebbe più difficile sottrarsi ad indebite pressioni che lo allontanino dai propri doveri. A tal riguardo, destano allora qualche preoccupazione riforme come quella che ha istituito l’Albo dei segretari comunali, prima dipendenti del Ministero dell’Interno e quindi sostanzialmente autonomi dalle amministrazioni comunali in cui prestavano la loro opera e ora invece in balìa della loro decisione, tanto rispetto alla nomina, quanto per il benservito.
Altrettanto può dirsi per la propensione all’utilizzazione di dirigenti esterni a tempo determinato, anch’essi necessariamente soggetti alla pressione del politico, sovrano dei loro destini. Diversa la condizione del dirigente di ruolo, assunto a tempo indeterminato per concorso, che con maggiore serenità potrà dire il suo “No”! rispetto a pretese che ritenga indebite o eccessive da parte del potere politico.
Un altro aspetto sul quale si è insistito, soprattutto alla luce di recenti scandali, è quello delle rotazioni.
La permanenza prolungata di un dirigente in un ruolo apicale della pubblica amministrazione può favorire l’acquisizione di un potere abnorme ed incontrollato. Occorre tuttavia tenere conto che, nell’ipotesi di segno opposto, ossia nel caso di avvicendamenti troppo frequenti, si potrebbe ravvisare il rischio di discontinuità e rallentamenti dell’azione amministrativa, nell’attesa che il dirigente subentrato acquisisca le necessarie competenze. Sarebbe quindi necessario contemperare l’esigenza di rotazione con quella di garantire la continuità e l’efficienza, individuando i successori nello stesso ambito di competenze.