I limiti della” pax americana ” in Medioriente

 

L’accordo di Losanna, concluso tra il cd. gruppo 5+1 (vale a dire i cinque Stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania) e l’Iran il 2 aprile scorso, per bloccare il programma di arricchimento dell’uranio in cambio della revoca delle sanzioni imposte all’Iran dalla comunità internazionale, non è ancora definitivo, ma già suscita grande preoccupazione.
Chiamarlo accordo è forse eccessivo, tenuto conto del suo valore eminentemente politico. L’intesa raggiunta pochi giorni fa può essere considerata, piuttosto, un pactum de contrahendo, ossia un impegno di natura formale a concludere, in un prossimo futuro, un trattato internazionale recante previsioni giuridiche precise e vincolanti. Essa prevede, infatti, che un trattato vero e proprio debba essere concluso entro il 30 giugno prossimo, dopo che le parti, grazie anche all’endorsement del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, avranno definito in dettaglio i contenuti del piano finalizzato sia allo smantellamento progressivo di parte dei siti di ricerca e sviluppo, sia all’accettazione del divieto di installare nuove centrifughe e di costruire nuovi impianti di arricchimento dell’uranio, sia, soprattutto, a consentire il libero accesso degli ispettori dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA) nei siti di Natanz e Fordow. In cambio, l’Iran otterrà la revoca delle sanzioni imposte proprio a seguito del rifiuto di collaborare con l’AIEA al programma di non proliferazione nucleare, il cui valore è pari a circa 110 miliardi di dollari l’anno.
Nonostante le entusiastiche dichiarazioni statunitensi ed europee (il Presidente Obama ha affermato che dopo Losanna «il mondo è più sicuro»), non sono mancate da subito reazioni critiche, in particolare da parte del premier israeliano, il quale ha bollato l’intesa raggiunta come un pessimo accordo, che favorirà le pretese egemoniche dell’Iran e accrescerà l’instabilità politica nella regione. Lo stesso Iran, dopo aver inviato il Ministro degli Esteri Javad Zarif a negoziare l’intesa (accolto al suo rientro in patria da manifestazioni di giubilo, a testimonianza di quanto il popolo iraniano sia favorevole alla prospettiva di una riconciliazione con l’occidente, presupposto imprescindibile per il rilancio economico del Paese e, in ultima analisi, per il riconoscimento di una vera leadership nella regione mediorientale), per bocca dell’autorità religiosa suprema del Paese, l’Ayatollah Khamenei, ha dichiarato di voler condizionare alla firma del trattato definitivo l’immediata revoca di tutte le sanzioni attualmente in essere, interpretando, quindi, la conclusione dell’accordo definitivo come il punto di arrivo del percorso di ravvicinamento tra le parti e non come un necessario presupposto.
In realtà, la chiusura di un accordo definitivo sul nucleare iraniano farebbe comodo davvero a tutti: all’Iran in primo luogo, per le ragioni sopra ricordate; all’Europa, per (ri)trovare un interlocutore affidabile nel processo di stabilizzazione del Medio Oriente; a Israele, che potrebbe iniziare a lavorare per l’obiettivo di una reciproca legittimazione con il regime iraniano, superando l’attuale contrapposizione; all’Italia, per le prospettive di apertura di nuovi investimenti e scambi commerciali, non solo nel settore petrolifero; infine, agli Stati Uniti, e in particolare all’attuale amministrazione democratica, che vedrebbe premiati gli sforzi diplomatici profusi in questa iniziativa.
Tuttavia, la nuova idea di «pax americana» in Medio Oriente, quella – tanto per intenderci – che non vuole più imporsi con le armi, ma predilige la diplomazia (al netto, però, dei targeted killings dei terroristi compiuti dai droni, con tanto di vittime civili), presuppone un grande senso di responsabilità da parte di tutti i soggetti coinvolti. Finora queste qualità non sono emerse a sufficienza. Nessuno degli Stati dell’area mediorientale sembra pronto, in effetti, a farsi carico della situazione per contribuire a risolverla in modo definitivo mentre il forum istituzionale internazionale per eccellenza, nato per comporre i dissidi e garantire pace e sicurezza – le Nazioni Unite – è fermo sin dallo scoppio del conflitto siriano. L’incapacità di arginare la minaccia dell’Isis, l’ultima in ordine di apparizione da quando il terrorismo di matrice fondamentalista islamica si è globalizzato, è la prova tangibile che i tempi non sono maturi perché il Medio Oriente possa «sbrigarsela da solo». È molto probabile, quindi – che ci piaccia o no – che avremo ancora bisogno dell’America.

Immagine dal sito www.jeancharles.olympe.in

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