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it.ibtimes.comEntro giugno il governo presenterà un decreto legge per velocizzare il recupero dei crediti deteriorati che pesano nella pancia del sistema bancario italiano. L’ipotesi di una bad bank di sistema è frenata dalla necessità di incassare il via libera di Bruxelles che non ne vuole sapere di permettere agli Stati di concedere aiuti statali alle banche. Oltre al problema “legale” della faccenda, i più maligni potrebbero vedere nella spinta di Bankitalia sul tema dei crediti deteriorati il tentativo di nascondere polvere sotto il tappeto di alcune banche.
Il sistema bancario italiano a fine 2014 presentava una zavorra di crediti deteriorati per un valore di circa 350 miliardi di euro. Questa cifra, che corrisponde a quasi un sesto del PIL italiano, negli anni della crisi a partire dal 2007 ad oggi è più che triplicata. Si tratta in termini tecnici di non performing loans, ovvero di crediti la cui riscossione in termini di capitale ed interessi è incerta sia rispetto alla scadenze che al suo ammontare.
Nel mese di marzo il numero uno della BCE Mario Draghi insieme al governatore di Bankitalia sono tornati a battere sul tema della bad bank di sistema. Secondo Draghi la facoltà di trasmettere all’economia reale i benefici che provengono dal piano di acquisti europeo (il QE) dipende dalla salute del sistema bancario che deve essere in grado di espandere il credito ad imprese e famiglie.
La bad bank, letteralmente “banca cattiva”, nasce allo scopo di ricevere i prestiti erogati dalle banche e che difficilmente verranno restituiti. Grazie a questo strumento le banche in difficoltà a causa del peso dei titoli tossici, possono cedere parte del proprio portafoglio ai nuovi veicoli societari che permettono così agli istituti di credito di depurarsi da crediti anomali, tossici e difficilmente esigibili. Le banche quindi ne escono alleggerite, mentre la bad bank si accolla la gestione dei crediti anomali. Ma la disciplina europea, sempre più severa in termini di aiuti di Stato alle banche, sembra restìa ad accettare la bad bank di sistema italiano di cui lo Stato si farebbe garante.
E mentre il Governatore di Bankitalia Visco continua a sostenere l’ipotesi di una bad bank di sistema c’è chi va controcorrente. In occasione della presentazione dei conti di Intesa Sanpaolo, l’AD Carlo Messina ha frenato sul tema della dismissione dei crediti deteriorati: “Con l’economia che riparte crediamo che sia conveniente aspettare anche perchè, con il boom dei mutui immobiliari, è prevedibile una rivalutazione del collaterale. E quindi condizioni migliori nei prossimi mesi”.
Il fatto che Bankitalia spinga affinchè si faccia una bad bank pubblica, nel momento in cui si inizia ad intravedere una ripresa, potrebbe portare a pensare che i bilanci delle banche nascondano qualcosa che si deve far sparire in fretta, come spiega, ad esempio, l’economista Mario Seminerio. Il timore è che le banche più in difficoltà, per restare a galla ed evitare aumenti di capitale che non erano in grado di racimolare, nel momento della redazione del bilancio non abbiano svalutato in maniera realistica i crediti in sofferenza presenti nei loro conti.
In questi casi il credito va mantenuto in bilancio, ma la disciplina bancaria impone di tener conto dell’eventuale perdita sui crediti deteriorati e prescrive di rettificare il valore dei crediti tramite un fondo di svalutazione, che verrà poi utilizzato per assorbire la perdita nel momento in cui questa si realizzerà. Ma se i crediti non fossero stati svalutati a sufficienza, facendo previsioni poco realistiche sui crediti deteriorati, le banche si potrebbero rivelare sottocapitalizzate e quindi a rischio sopravvivenza. In questo caso liberarsi dei crediti deteriorati facendoli confluire in una bad bank pubblica risolverebbe il problema.
Ma visto che difficilmente la Commissione europea darebbe il via libera alla creazione di una bad bank di sistema (a meno che questa non fosse a partecipazione privata come aveva proposto la Consob) si dovranno trovare altre strade. Lo stesso Ad di Intesa Sanpaolo Messina sostiene l’ipotesi del governo di intervenire in altro modo facendo leva su interventi di natura fiscale e giudiziaria.
In primis è neceaasio ridurre drasticamente i tempi dei contenziosi sui crediti deteriorati che Unicredit ha stimato in 7 anni. Il Fondo monetario internazionale colloca inaftti, l’Italia al 35esimo posto sui 36 Paesi Ocse per l’efficacia regolamentare nel recupero crediti. Secondo una fonte del MEF: “Ridurre di 2 anni i tempi medi di escussione può aumentare del 10% il valore dei non performing loans”. L’altro intervento allo studio del governo è di natura fiscale e consiste nel ridurre a 1 da 5 anni l’arco temporale entro il quale è possibile dedurre fiscalmente le perdite da svalutazione.
In ogni caso però le banche dovranno avere pazienza: il governo ha promesso la presentazione del decreto entro giugno, ma poi sarà valutato ad ottobre in sede di legge di stabilità per il 2016.