L’appuntamento elettorale di fine maggio, per il rinnovo di sette consigli regionali e di altrettanti governatori, imprimerà necessariamente un’accelerazione alle tendenze in essere nello scenario politico. Fino a poche settimane fa, il premier Matteo Renzi sembrava navigare con il vento in poppa, forte dell’ottimo risultato europeo di un anno fa e privo, ormai, di avversari temibili. Il Centrodestra, naturale alternativa di governo, appare piuttosto “sbriciolato”, lacerato dai contrasti tra le diverse componenti e all’interno delle stesse, fino all’autolesionismo. Lega e 5 Stelle evidenziano un approccio troppo esasperato e demagogico, sono forti, ma continuano ad essere percepiti come espressioni della protesta antisistemica. Anche la fortuna, essenziale per i destini di un leader politico, sembrava assistere il giovane “rottamatore” fiorentino.
Si registrava un’incipiente, lievissima ripresa economica, favorita, più che dalle riforme del governo, dall’iniezione di liquidità da parte di Bce, dalla riduzione del prezzo del petrolio, dalla svalutazione dell’euro rispetto al dollaro. Il PD evidenzia al suo interno delle divisioni, è vero, ma le dissidenze non sembrano temibili. Ben poco in confronto alle fratture all’interno di Forza Italia, con Fitto in uscita e forse anche altri e la nascente Area Popolare, già segnata, non appena costituita, da opzioni contrastanti nelle singole realtà regionali dove si vota ! E che dire della dissociazione di Tosi, in Veneto, dalla nuova stagione leghista di Matteo Salvini?!
Con avversari in queste condizioni, la congiuntura tendenzialmente favorevole sembrava accreditare, rispetto alle elezioni regionali, l’ipotesi di un “cappotto”, 7 a 0, a favore del partito di Renzi.
In queste ultime giornate di campagna elettorale, le prospettive appaiono, tuttavia, più incerte. La fortuna è capricciosa e discontinua, c’è stata la sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni che rappresenta un macigno per i progetti di risanamento delle finanze pubbliche e di rilancio dell’economia, si sono registrati, a torto o a ragione, notevoli malumori rispetto alla riforma della scuola e al potenziamento dei poteri del Preside, anche sotto il profilo delle valutazioni meritocratiche. Le più avanzate misure di intervento europeo prospettate dalla Commissione, a fronte dell’ultima delle innumerevoli tragedie del mare, legate ai flussi migratori, non sembrano suscitare nei partners quella solidarietà che le dimensioni del fenomeno richiederebbero, nei confronti di un Paese tanto gravato ed esposto come il nostro. La disponibilità alla condivisione dell’ospitalità ai rifugiati è apparsa assai deludente, rispetto alle attese della vigilia.
La possibilità che la Grecia non rimborsi il prestito concessole dal FMI rinnova i timori di turbolenze sui mercati finanziari, mentre le dissidenze registratesi in Liguria e le polemiche attorno alla candidatura di De Luca in Campania e alle sue liste rischiano di aprire una falla dei consensi a sinistra. La prospettiva del 7 a 0 sembra allontanarsi, come ha lasciato intendere lo stesso segretario-premier, quando, mettendo un po’, come si dice, “le mani avanti”, ha ipotizzato un 4 a 3, come dato soddisfacente per il suo partito, affrettandosi, poi, ad assicurare che il dato stesso non avrebbe avuto comunque riflessi sulla tenuta del governo.
Certo, un risultato tendenzialmente in equilibrio, considerando la frammentazione e lo scollamento degli avversari di centrodestra, che sembrano tante zattere senza più nocchiero e senza più rotta, non rappresenterebbe un successo per il nuovo corso renziano. Se non un inizio di inversione di rotta, apparirebbe quanto meno una sorta di leggera frenata in quella che da oltre un anno si era percepita come un’irresistibile ascesa. Si verificherebbe, in definitiva, una sorta di rimonta da parte di un centrodestra che non c’è, almeno come coalizione coesa in ambito nazionale, ma che ha realizzato nelle singole regioni che votano aggregazioni a geometrie variabili. Una rimonta che potrebbe essere valorizzata, ritrovando, dopo le elezioni, un assetto organico e coerente, se i vari segmenti emersi da vecchie e nuove scissioni realizzassero uno schema per tornare a giocare dalla stessa parte. Sono ancora scenari ipotetici, supposizioni che potrebbero risultare lontanissime dal dato effettivo che emergerà dal voto ormai imminente.
Credo, tuttavia, che, al di là di questo contingente passaggio elettorale, sia necessario, per la funzionalità del sistema, il ritorno ad uno schema che opponga due formazioni o coalizioni coese e tra loro competitive, in grado di esprimere una proposta di governo, di costituire, ciascuna, una credibile alternativa ! La nuova legge elettorale, l’Italicum, ormai in vigore, richiede infatti un bipolarismo maturo dell’alternanza, per garantire, all’indomani del voto in questo caso, quello politico, per il Parlamento un vincitore realmente rappresentativo e non sostanzialmente minoritario e un’opposizione vigile e incisiva, non polverizzata in una miriade di frammenti tendenzialmente irrilevanti.
L’articolo è stato scritto il 30 maggio scorso