Hiroshima settanta anni dopo
E’ lunedì sei agosto 1945 sono le ore otto e quindici e la giornata lavorativa è appena iniziata, le scuole aprono e le strade si riempiono di studenti e lavoratori nella città di Hiroshima in Giappone.
Proprio in quegli istanti di quotidianità e gesti ripetuti quasi meccanicamente, un evento irreversibile e inimmaginabile sta accadendo nei cieli nipponici; una bomba atomica viene sganciata da un bombardiere B-29 Superfortress appartenente all’Aeronautica militare degli Stati Uniti d’America.
Il giorno nove agosto la stessa sorte toccò alla città di Nagasaki, sempre in Giappone.
I due bombardamenti atomici causarono approssimativamente tra le cento e le duecento mila vittime, la cifra è stimata poiché alcuni corpi svanirono in un battere di ciglia con tutte le molecole che li componevano in una melma indefinita di edifici e paesaggi.
Tale atto di belligeranza fu così devastante che ancora oggi, settanta anni dopo, la popolazione e l’ambiente ancora ne portano i segni, quel giorno il fungo atomico spazzò via interi abitati con tutto ciò che vi era all’interno e le radiazioni produssero conseguenze ancora più atroci su persone, animali e piante. La bomba di Hiroshima era armata con sessanta chili di uranio denominato U235, il sensore altimetrico dell’ordigno venne tarato per esplodere alla quota di seicento metri dal suolo in seguito ad una caduta libera di quarantatre secondi, il tutto studiato a tavolino nei minimi dettagli. L’esplosione atomica si sprigionò con una potenza di tredici chilo toni che abbatterono immediatamente circa ottantamila esseri umani di ogni età e la quasi totalità delle case, delle scuole, dei templi e delle fabbriche. Nulla fu più come prima. I sopravvissuti vagarono per giorni tra le macerie in stato di panico e smarrimento, l’odore di corpi bruciati e di edifici devastati impregnava l’aria rendendola irrespirabile; non morire nell’esplosione significò l’inizio di tormenti e traumi irrecuperabili.
Non occorre essere presenti a tanto orrore per comprendere quale pagina orrenda l’umanità ha redatto in quei giorni lontani, eppure tanto temibili.
Un giovane professore che assistette a tanta devastazione e che perse moltissimi allievi e vide la scuola disintegrarsi come fosse di farina, intervistato anni dopo affermò con vigore che ciò non accadesse più e in nessun luogo, perché si augurava che nessun essere vivente sopportasse ciò che i giapponesi furono costretti a vivere in quei giorni.
In conseguenza di tali tragici episodi il quindici agosto 1945 il Giappone siglò la propria resa incondizionata e segnò la fine del secondo conflitto mondiale. Da allora il dibattito sull’utilizzo di armi letali si è acceso in tutto il Globo e continua vivo in questi anni di conflitto aperto in alcuni Paesi e di minaccia per le popolazioni in seguito all’impiego di armi di distruzione di massa in aree a elevato rischio di guerra.
Nella città di Hiroshima è stato creato il Parco della Pace con un’iscrizione sul monumento che commemora i fatti del 1945 e che recita così: "Riposate in pace, perché questo sbaglio non verrà ripetuto." L’affermazione tradotta dal giapponese vuole evitare ogni strumentalizzazione della catastrofe e proiettare le Nazioni verso un periodo di armonia, cancellando vendette o ritorsioni.
Il prossimo 6 agosto saranno trascorsi esattamente settanta anni dall’esplosione atomica che sconvolse il Giappone e l’area del Pacifico circostante e che scosse tutte le coscienze, lasciando cicatrici ben visibili e ferite invisibili, ma altrettanto profonde.
E’ un appuntamento cui non ci si può sottrarre e al quale partecipare anche a distanza, per aderire al sentimento di pace e riflessione che oggi quei luoghi ispirano; commemorare per mantenere viva nella mente umana quanto i propri atti possano essere sublimi o al contrario, come avvenne quella mattina del secolo scorso, irreversibili e crudeli.
Attualmente la discussione sugli esperimenti nucleari è quanto mai animata e le posizioni sono spesso distanti e anche le bombe cadute sul Giappone nel 1945 sono da taluni ritenute necessarie alla conclusione del secondo conflitto mondiale, in pratica la Guerra nel Pacifico andava fermata a qualunque costo, anche distruggendo un Paese già pesantemente colpito dai bombardamenti nemici.
Alcuni degli scienziati che parteciparono al progetto Manhattan e che permisero la realizzazione del primo ordigno nucleare esploso in New Mexico il sedici luglio 1945, si resero presto conto delle potenzialità della propria invenzione e, particolarmente colpiti dagli eventi nipponici, fecero sentire chiaramente il proprio monito affinché nulla di simile accadesse più.
Negli anni si è anche giunti a un Trattato di non proliferazione (TNP) degli ordigni nucleari e a una messa al bando delle armi definite di distruzione di massa quali quelle chimiche e batteriologiche, ma ad oggi nessun provvedimento di diritto internazionale è stato emanato contro le armi nucleari che pertanto possono essere sperimentate in aree di forte instabilità e tensione.
A tale scopo le Nazioni Unite hanno creato un sistema per il monitoraggio globale delle esplosioni nucleari (International Monitoring System) che comprende una rete di trasmissione in tempo reale di dati, elaborati e archiviati in un complesso software che copre l’intero globo terrestre; le stazioni di controllo sono 321 e di quatto differenti tipologie: sismiche, infrasoniche, idroacustiche e radionuclidiche. La sede internazionale di tale attività di verifica a distanza si trova in Europa nella città di Vienna, mentre ogni stato che ha sottoscritto il TNP può ricevere i dati elaborati dalle stazioni dislocate sulla Terra.
Il centro italiano dei elaborazione dati (National Data Center) si trova presso il Ministero degli Esteri ed è gestito dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia INGV, inoltre in Sicilia è presente una stazione di monitoraggio sin dal 1996; anno in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato il Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty (CTBT), trattato per la proibizione totale delle esplosioni nucleari. Il CTBT è stato firmato da 181 Stati e ratificato da 149, eppure perché possa entrare effettivamente in vigore è necessaria la ratifica da parte di nove Stati, tre dei quali Corea del Nord, Pakistan ed India non hanno ancora firmato.