Crisi: si riscopre il primato della politica

di | 16 Nov 2015

     In diversa misura i paesi economicamente avanzati e di riflesso tutti gli altri, sono ormai in recessione, che data la dimensione della crisi finanziaria potrebbe trasformarsi in depressione non certo prolungata nel tempo come accadde nel 1929-33, perché i provvedimenti presi dai vari governi e quelli in gestazione produrranno infine effetti positivi. Ovunque intanto si è impedito che le banche, salvo il caso della Lehman Brothers, fallissero con la conseguenza di produrre la paralisi del credito. Le imprese si sarebbero trovate nell’impossibilità di pagare stipendi e commesse, la circolazione della moneta si sarebbe fermata e sarebbero apparse le cosiddette «monete di necessità». Si può essere certi che non si ripeterà la crisi del 1929-33, perché allora la cieca fiducia nella capacità del mercato di autoregolarsi impedì di prendere alcuni provvedimenti, tra cui la moratoria dei debiti, e pertanto ci fu l’avvitamento dell’economia in una depressione tanto profonda da produrre la caduta dei valori di borsa fino a ritornare ai livelli del 1924, quando cioè la speculazione ebbe inizio. Ai cinque anni di euforia seguirono altri cinque anni di depressione.
La svolta e l’inizio del superamento della crisi furono dovuti agli interventi che i vari governi presero a far data dal 1933. Roosevelt, Hitler, Mussolini e Stalin, tanto per citare gli statisti più noti, intervennero direttamente nell’economia e ognuno a suo modo, tramite la moneta, il credito e i lavori pubblici, produssero la ripresa, che purtroppo a causa delle dittature europee e asiatiche sfociò in armamenti e poi nella guerra. Mancò la saggezza, virtù invero rara. Dal 1935 al 1939 il mondo assisté all’aggressione all’Etiopia, alla guerra civile spagnola, al conflitto cino-giapponese e allo scoppio della II guerra mondiale.
     
     La storia, disse Cicerone, è maestra di vita, ma qualcuno gli fece osservare che purtroppo aveva pochi scolari. Pertanto occorrerà vigilare e coordinare gli interventi onde evitare spinte protezionistiche. La globalizzazione non deve essere distrutta, ma solo regolata di comune accordo. La crisi è planetaria e a tale livello va superata, facendo prima pulizia dei valori speculativi, ovvero dei cosiddetti “titoli tossici”. A tutt’oggi non sappiamo quanta carta speculativa è stata emessa nell’illusione di poter creare nuova ricchezza e benessere tramite la finanza innovativa, i promotori finanziari, la banca universale, la dabbenaggine di tanti risparmiatori, la cecità dei banchieri centrali e degli organi di vigilanza. Tutto ha avuto inizio con la new economy di clintoniana memoria, seguita dalla bolla speculativa immobiliare e poi da quella sul petrolio e altre materie prime, insieme con la speculazione sui beni alimentari di base. Inevitabilmente gli apprendisti stregoni sono stati travolti.

     Secondo stime meramente indicative, l’ammontare dei valori speculativi, tra cui i titoli tossici e i derivati vari, si aggira su cifre da capogiro, perché si va da un minimo di 10 a un massimo di 24 volte il prodotto lordo mondiale. Dato che questo è stimato in parità di potere d’acquisto in 66.000 miliardi di dollari per il 2007, la carta finanziaria non coperta da nuova ricchezza prodotta ammonterebbe tra 660.000 miliardi e 3 milioni di miliardi di dollari. Se facciamo la media tra questi due valori, risulta sempre un numero di difficile lettura, trattandosi in cifra arrotondata e scritte per intero di 1.100.000.000.000.000, vale a dire 1.100 bilioni di dollari, essendo il bilione il quadrato del milione secondo la convenzione matematica internazionale (il bilione statunitense è il nostro miliardo) e in maniera più semplice il numero 1 seguito da 12 zero.

     Ogni caduta degli indici di borsa riduce questa massa di carta, che infine va azzerata, altrimenti avremo una ripresa drogata e quindi precaria. Sarebbe un’illusione cercare di salvare i titoli speculativi ricorrendo ai bilanci pubblici, ossia, in definitiva, addossando gli oneri sui contribuenti, che, invece, vanno sgravati di una parte del carico di imposte dirette e indirette. Oggi è il tempo del coraggio di abbassare di alcuni punti percentuali la pressione fiscale, che specie in Europa è a livelli troppo elevati e in molti casi è regressiva. Paesi con reddito pro capite minore non debbono avere una pressione fiscale, che è un dato percentuale, pari a quella dei paesi con reddito pro capite maggiore. Inoltre, a parità di pressione fiscale il paese più ricco ha servizi pubblici più efficienti, mentre il paese meno ricco li ha di norma a livello scadente. A parte queste considerazioni, oggi l’abbassamento della pressione fiscale mette subito a disposizione del contribuente potere d’acquisto immediatamente spendibile, che è quello che serve per rimettere in moto i consumi, ossia la domanda di beni e servizi e di riflesso l’offerta degli stessi, ossia il lavoro delle imprese. La detassazione delle tredicesime sarebbe stato un provvedimento salutare. Ma è mancato il coraggio e si preferisce la pioggia di aiuti pubblici, che chiama sempre in causa la burocrazia, che notoriamente non è una macchina veloce nemmeno nel paese meglio amministrato.

     L’altra via sicura da percorrere per superare la crisi è quella dei lavori pubblici, che hanno un effetto moltiplicatore del reddito nazionale il più elevato. In ogni paese esistono progetti di lavori pubblici momentaneamente accantonati o in corso di definizione e che comunque possono essere rapidamente avviati. Però occorre fare presto se vogliamo che la depressione sia breve, non debordi cioè oltre il prossimo anno. Il 2010 dovrebbe essere l’anno della ripresa e l’avvio di una politica economica, che all’insegna della cooperazione internazionale sappia produrre posti di lavoro, stipendi e pensioni adeguati al costo della vita e, in breve, il benessere economico per tutti e specie per le classi e i ceti più deboli e soprattutto per i giovani senza lavoro o con lavoro precario, che non consente loro di programmare il futuro.

     La crisi economico-finanziaria ha riproposto il primato della politica sull’economia e sulla finanza e quindi la disciplina del mercato, che deve essere libero di muoversi entro le linee-guida della politica economica e non esondare o debordare. Il mercato lasciato a se stesso, senza regole e senza guida, fa lavorare i fattori della produzione alla minima combinazione possibile. Di norma il libero mercato cerca di risparmiare il lavoro e quindi crea disoccupazione. Il benessere si raggiunge aumentando la produttività del lavoro e non quella del capitale, che anzi deve diminuire. Se vogliamo progredire è necessario impiegare dosi crescenti capitale, la cui produttività pertanto diminuisce, e risparmiare lavoro, che vede aumentare la sua produttività. Risparmiare lavoro significa guadagnare tempo libero. Le macchine e gli strumenti debbono alleviare la fatica del lavoratore e oggi è arrivato il momento di avere più tempo libero a disposizione, che è anche un modo per aumentare l’occupazione e il reddito nazionale. Oggi occorre avere il coraggio di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni soltanto, per dedicarne tre al riposo. Una volta la gente lavorava dall’alba al tramonto, poi attraverso lotte la giornata lavorativa fu ridotta a 14 ore e grazie all’aumento della produttività del lavoro fu possibile ridurla a 12 ore e via via agli orari odierni e con due giorni di riposo settimanali. Il mondo è progredito e il progresso e lo sviluppo tecnologico hanno smentito i laudatores tempore acti, ossia tutti i profeti di sventure. Gli uomini debbono produrre le macchine che producono altre macchine e tutte le macchine debbono far risparmiare lavoro e produrre maggiori dosi di tempo libero per la famiglia, per l’istruzione, per il riposo e per l’avanzamento sociale.

     La crisi che ha fatto riscoprire il primato della politica ha portato alla fine della «banca universale» anche nel paese più liberista del mondo , ossia gli Stati Uniti. E’ stata la banca universale, la banca tutto fare, a finanziare la speculazione e ora si torna alle vecchie e sane regole della separazione dei crediti: banche di credito commerciale o breve termine; istituti di credito mobiliare (industria) o a medio termine, istituti di credito immobiliare (fondiario, agrario, ecc.) o a lungo termine. Per l’amministrazione e gestione del credito mobiliare e immobiliare si ritorna agli istituti di credito pubblici. Inoltre, si è iniziato a separare il credito dalla finanza e dall’assicurazione. A ognuno il suo campo di specifica attività, secondo il sano principio della specializzazione. E’ anche sano principio cambiare i vertici responsabili del disastro.

     E’ da osservare inoltre che la crisi ha posto fine al primato dei banchieri centrali, che negli ultimi decenni si erano arrogati il diritto di pilotare la politica economica tramite l’amministrazione della moneta, che non compete loro essendo deputati alla sola gestione. Potere e moneta si identificano, vale cioè l’equazione P-M=0, da cui P (potere) = M (moneta). Senza moneta non c’è potere. Il «principe» che si priva della moneta è come l’uomo di Platone e non quello di Aristotele. Il Trattato di Maastricht è un classico esempio di usurpazione dei poteri monetari, che appartengono al popolo sovrano e per esso ai parlamenti e ai governi. La Banca centrale europea indipendente dai governi è la copia della banca centrale tedesca con pieni poteri della Repubblica di Weimar. Il risultato fu l’avventura tragica di Hitler. E’ contro la storia sia l’Unione monetaria europea senza unione politica, sia l’euro, unica moneta al mondo senza stato. Si può affermare che, in generale, l’usurpazione effettuata dai banchieri centrali ha prodotto la crisi odierna. E’ evidente che sono mancati i controlli sulle banche, compito precipuo dei banchieri centrali. Il ritrovato primato della politica impone che anche i banchieri centrali rientrino nei loro ranghi e che le banche si occupino solo di esercitare il credito commerciale, senza fare politica, senza fare speculazioni finanziarie, senza esercitare i tipi di credito che competono al settore pubblico e quindi senza ricorrere alla cartolarizzazione dei mutui con la connessa moltiplicazione dei titoli.
     Oggi è anche il tempo di ritornare a un nuovo ordine monetario internazionale, abbandonando i cambi valutari flessibili e stabilendo cambi valutari fissi ancorati all’equilibrio tendenziale delle bilance dei pagamenti. Mutatis mutandi, è il tempo di ritornare a Bretton Woods, consapevoli che ormai la moneta è tutta fiduciaria, che l’oro è una merce sia pure la più pregiata, ma pur sempre merce e che la questione è squisitamente politica e non roba da soli banchieri centrali.