RENZI , PRIMA O POI SI IMPORRA’ UNA SCELTA D’IDENTITA’POLITICA…
di Alessandro Forlani

di | 1 Feb 2016

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Il nuovo anno si apre con la percezione di una tendenziale stabilità del quadro politico, legato all’immagine di efficientismo e di produttività dell’azione governativa. Indicative della diversità e discontinuità della squadra renziana, rispetto alle esperienze del recente passato, vengono ritenute le riforme sistemiche varate in questi due anni di governo, in particolare quella del bicameralismo, la legge elettorale, il jobs act, la riforma della Pubblica Amministrazione, la stabilizzazione del precariato scolastico. Traguardi rispetto ai quali maggioranze e governi susseguitisi nell’ultimo decennio, frenati da avversità congiunturali, si erano rivelati in evidente affanno. A prescindere dai limiti e dalle approssimazioni che alcuni di questi provvedimenti adottati nell’era renziana evidenziano, a giudizio di chi scrive – in particolare le due riforme in materia istituzionale, bicameralismo e “Italicum”- occorre prendere atto di una tenace capacità di gestazione e di rapida decisione, rispetto a materie assai controverse e complesse sulle quali incombeva sempre, in passato, il rischio concreto di tempi lunghi che si chiudessero con un deprimente nulla di fatto. Alla possibilità di esibire all’opinione pubblica una certa produttività riformatrice si accompagnano dati leggermente migliorati, sotto il profilo economico e occupazionale, che vengono attribuiti non soltanto alla congiuntura internazionale, ma anche alla ripresa di fiducia suscitata dalla nuova legislazione sul lavoro (jobs act) e dalle politiche fiscali dell’esecutivo. Appare ancora prematura una valutazione dell’autentica consistenza di questa ripresa e, soprattutto, della sua prospettiva a medio-lungo termine, ancorata a troppe variabili, in un quadro internazionale così denso di rapide evoluzioni. Ma, al momento, siamo fermi all’immagine di un governo che governa, che rispetta obiettivi prefissati e scadenze, che cerca di imporsi e svolgere un ruolo per arginare un’eccessiva rigidità – e forse anche un sensibile pregiudizio anti italiano – delle politiche comunitarie e dei relativi vincoli, che rappresenta un baluardo di moderazione e di lucido pragmatismo, senza avventure, rispetto a derive demagogiche e allarmistiche che sempre si ripropongono nel dibattito nazionale. Correndo con la memoria alle diverse fasi della nostra storia repubblicana – e certamente Renzi ne è consapevole – si coglie la tendenza dell’elettorato a premiare chi si sia rivelato in grado di esprimere una posizione di garante di stabilità e “governabilità”, anche nei momenti in cui le offensive delle “estreme” apparivano a un passo dalla conquista del potere. La moderazione, il pragmatismo, il “Centro”, la barra dritta, con i necessari riscontri nell’azione legislativa e di governo, hanno generalmente attratto il consenso delle maggioranze silenziose, nella storia italiana. In questo preciso momento il premier riveste una posizione di forza, evidenziata in questi giorni dall’ampia maggioranza che proprio in Senato, dove i numeri sono più precari, ha respinto la mozione di sfiducia sulla questione di Banca Etruria. La sinistra interna del PD, pur languendo in una condizione di diffusa frustrazione e carenza di identificazione nella leadership, non si sente ancora abbastanza forte per una resa dei conti o per una scissione che non si riveli a rischio di irrilevanza, mentre le opposizioni di centrodestra appaiono sempre più frammentate, contraddittorie e strategicamente incerte, come il premier stesso non manca di rilevare, quando se ne presenti l’occasione. 5 Stelle, che ancora può ritenersi il più temibile concorrente elettorale, attraversa una fase critica legata al caso Quarto e alla travagliata ricerca di un modello diverso di leadership, più aderente alla nuova configurazione “istituzionale” del movimento e alle sfide che verranno. Le elezioni amministrative di primavera nei grandi centri costituiscono, a tal riguardo, un appuntamento estremamente significativo per misurare i rapporti di forza, verificare la perdurante luna di miele tra il Paese e il “rottamatore” fiorentino, cogliere la capacità dei 5 Stelle di rendersi competitivi per l’acquisizione di ruoli di governo locale. Renzi dovrà scegliere con intelligenza le candidature nelle grandi città e poi decidere sul suo futuro, in termini di identità politica, cosa farà e, soprattutto, cosa sarà “da grande” ! Perché la luna di miele con il Paese, fondata su certi effetti mediatici del suo stile, sulla pazienza della sinistra bersaniana, sui supporti derivanti dalle scelte tattiche di Alfano e Verdini, è forse legata al quadro contingente. Ben altro occorrerà per una strategia di leadership di lungo respiro, consacrata dal verdetto delle urne ! Si rende necessaria una chiara opzione identitaria, non si potrà traccheggiare per sempre tra Vendola e Alfano, magari trincerandosi dietro il voto di coscienza su temi dirimenti, come la “stepchild adoption” che non è soltanto una questione di coscienza individuale, implica una scelta politica, che investe l’evoluzione culturale, l’organizzazione sociale, i diritti della persona, la tutela dell’infanzia. E una scelta politica richiede la chiara acquisizione di una più netta identità. L’emergenza che ha giustificato il compromesso destra-sinistra, realizzatosi agli inizi della corrente legislatura, non può, per definizione, costituire la regola. E la stessa dinamica dell’Italicum, la nuova legge elettorale, incentivando la competizione tra singoli partiti, esalta, in definitiva, l’opzione identitaria chiara e riconoscibile. E credo, quindi, che, entro la fine della legislatura, Renzi dovrà scegliere tra una cultura di governo, ispirata al graduale riformismo di scuola centrista – leggi Partito della Nazione – e le istanze, tuttora forti ed incisive nell’opinione pubblica nazionale, della sinistra tradizionale.