SULL’INTEGRAZIONE EUROPEA

di | 1 Apr 2016

Elaborazione Immagine di Carla Morselli

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Le potenzialità di ripresa economica e occupazionale, nel nostro paese, si intrecciano inevitabilmente con il processo di integrazione europea. Termini e modalità di tale percorso condizioneranno sensibilmente, nei mesi e negli anni a venire, la capacità del sistema politico-istituzionale italiano di gettarsi alle spalle le secche della stagnazione e di ricostituire un equilibrio fondato su più solide certezze economiche e sociali. Questo intreccio investe, in realtà, diversi aspetti della convivenza civile e del ruolo della politica. Non soltanto la crescita economica, con le sue implicazioni in materia finanziaria, creditizia e monetaristica, ma anche la sicurezza, le migrazioni, la giustizia, la sostenibilità del welfare. L’intensificazione del processo di integrazione, a ritmi piuttosto accelerati in certe fasi, con rallentamenti sensibili, se non proprio battute d’arresto, in altri momenti, ha comunque determinato un percorso, a mio giudizio, irreversibile che lega strettamente i destini dei singoli paesi. A causa delle trasformazioni indotte dalla globalizzazione, gli stati europei non potranno fronteggiare le nuove sfide, chiudendosi nell’autosufficienza delle antiche assolute sovranità nazionali. Il cammino è ormai a uno stadio assai avanzato, deve essere governato, riassestato, perfezionato sul piano istituzionale e decisionale, reso ancor più aderente a modelli di democrazia rappresentativa, superando la preponderante componente intergovernativa. Un processo, quest’ultimo, che può ritenersi avviato ormai da molti anni, faticosamente perseguito nelle diverse fasi di svolta più significative e nei diversi trattati.
Già a partire dall’Atto Unico del 1986-1987, pur ritenuto carente da coloro che perseguivano aspirazioni di integrazione in senso federalista, troviamo in fieri le linee di tendenza verso un assetto di entità politica, per avvicinare il “pachiderma” comunitario ad un modello di tipo statuale sovranazionale, fondato sulla democrazia rappresentativa. Una sorta di stato sovranazionale, o di federazione, con istituzioni proprie sovraordinate, rispetto ai governi nazionali. Con resistenze, contraddizioni, rallentamenti, “stop and go”, il cammino sviluppatosi successivamente ha seguito questa direttrice di marcia, adottando gradualmente riforme coerenti con questo obiettivo. In questo senso si possono leggere lo sviluppo di una tendenziale politica estera e di sicurezza comune (la PESC fu introdotta a Maastricht nel 1992 e anche la cittadinanza europea), le cooperazioni “rafforzate” del Trattato di Nizza, del 2001, contenente anche la Carta dei Diritti fondamentali, la graduale previsione delle maggioranze qualificate, negli organi decisionali, in luogo dei voti all’unanimità, i sistemi di codecisione Consiglio-Parlamento nei procedimenti legislativi, l’introduzione del Presidente del Consiglio europeo, a prescindere dalle rotazioni semestrali e dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza (Trattato di Lisbona 2007). Già a Maastricht era stato introdotto il voto di fiducia del Parlamento nei confronti della Commissione, a seguito di ogni rinnovo della stessa. Ma questo difficile e accidentato cammino avverte la necessità di un maggiore impulso e, soprattutto, di un supplemento di convinzione che imprimano un’accelerazione. L’immagine di pachiderma burocratico, eccessivamente vincolistico, ma carente nella spinta verso lo sviluppo e la solidarietà, ha suscitato riserve e diffidenze in vasti strati della popolazione europea, alimentando il consenso di forze politiche euroscettiche. Una sfiducia che può essere superata solo con la ripresa più decisa e convincente del cammino verso la federazione o, comunque, verso l’integrazione politica. Le sfide che i popoli europei si trovano a dover fronteggiare richiedono la coesione, altrimenti ogni sforzo dei singoli potrebbe rivelarsi vano. Dall’offensiva dell’Isis alle migrazioni di massa verso l’Europa, dalle crisi finanziarie dei singoli paesi (come nel caso Grecia) all’esplosione dello stato libico, proprio sull’altra sponda del “nostro” Mediterraneo, dalla minaccia terroristica alle emergenze ambientali, dall’esigenza di stimolare la crescita e la competitività alla conservazione di un welfare all’avanguardia nel mondo, solo con un’Unione che sia veramente tale si potranno trovare le adeguate soluzioni, i difficili e laboriosi rimedi!
Solo un nuovo gigante ci consentirà di competere con gli altri giganti mondiali. E solo insieme potremo salvare le conquiste conseguite, sotto il profilo dei diritti civili, della sicurezza sociale, della democrazia partecipata e della pace entro i confini del continente. Nulla può invece ritenersi definitivamente acquisito se si alimentano e si accreditano le spinte disgregative, o le prevenzioni tra i diversi paesi membri. Occorre una federazione che in politica estera parli con una sola voce e possa disporre di un sistema difensivo unificato. Che senso avrebbero, ormai, in questa prospettiva, missioni militari di peace keeping o peace enforcing, guidate da singoli stati europei, o cui partecipino solo alcuni stati europei, come è stato prospettato, ad esempio, per la Libia ? Dovrebbe diventare un tema che investa l’Europa, lo stato europeo nel suo complesso. Così come la sicurezza interna, così carente di coordinamento e di governance centralizzata, come gli eventi drammatici di Bruxelles hanno dimostrato in questi ultimi giorni. Analoghe considerazioni valgono per il controllo delle frontiere europee, che non può gravare soltanto sui singoli paesi situati ai confini dell’Unione, ma deve essere funzione posta in capo alle istituzioni comunitarie, soprattutto in ordine ai pattugliamenti, ai soccorsi in mare e all’accoglienza dei profughi. Altrettanto si può dire per lo sviluppo, per le politiche industriali e l’innovazione, per la domanda di nuove infrastrutture e investimenti, non sono più sfide che si possano affrontare da soli, almeno in una certa misura, il livello della concorrenza mondiale non lo consente ! I piccoli passi verso l’integrazione sono forse inevitabili in un’Europa a 28, con paesi di tradizioni e storie diverse, con delle “anzianità europee” molto diverse. Ma, indugiando nelle mezze misure e nei compromessi al ribasso, rischiamo di arrivare in ritardo e di trovarci poi in coda. Ci sono dei momenti che richiedono un’accelerazione e una maggiore decisione. Questa fase di rallentamento economico, di migrazioni di massa con erezioni di muri e di accentuazione dei riflessi dei conflitti sulla nostra sicurezza interna costituisce forse il momento più propizio per una più coraggiosa assunzione di responsabilità da parte dei gruppi dirigenti europei.