MEDITERRANEO, MARE DI CONFLITTI

Vignetta di Giulio Laurenzi
“ SFIDE E PROSPETTIVE NELL’AREA DEL MEDITERRANEO” è stato il tema della tavola rotonda di venerdi 20 maggio, a Roma presso l’università NICCOLO’ CUSANO, in ricordo di Pier Giorgio Frassati,operatore di pace e per la sua meritoria attività internazionale beatificato dalla Chiesa di Roma.
I partecipanti di tutto rilievo non hanno svolto relazioni su specifiche tematiche, ma la discussione nell’intera mattinata è iniziata con la provocazione di Giuseppe Stano, professore ( già al segretariato della NATO) che ha fatto risalire le più recenti cause di crisi nell’area alla azione sbagliata degli Stati Europei e degli Stati Uniti, che con i vari interventi politico – militari in Iran, Afganistan e Iraq hanno determinato una rinascita di anticolonialismo occidentale, e quindi il sorgere successivo della “ primavera araba”, che non consisteva nella domanda da parte delle popolazioni locali di una acquisizione di diritti individuali, ma solo di rivendicazione di una identità nazionale indipendente e la domanda di riconoscimento e di sviluppo interno secondo le proprie usanze ed i propri costumi in piena contrapposizione alle ingerenze occidentali motivate dal controllo delle fonti energetiche.
L’Ambasciatore del Marocco in Italia Nassan Abouyoub è intervenuto sul tema rilevando che solo Marocco e Giordania sono state estranee a tale deriva antioccidentale in quanto solo i due paesi godono di una leadership stabile nel tempo, mentre nelle altre nazioni vi è una perdurante instabilità di comando per la mancanza di leaders, che sono in continuo mutamento e tutti con regimi militari con posizione ondivaghe e confuse tra Stato e religione Islamica, mentre in Marocco e Giordania gli Statuti reali e l’Islam sono stati tenuti separati anche se il sovrano è il rappresentate religioso del Profeta, e con caute e progressive aperture al riconoscimento delle istanze populistiche locali.
Giuseppe Esposito, senatore ( vice presidente del Comitato parlamentare di sicurezza) ha ricordato l’influenza della politica degli Stati Uniti nelle gestione delle varie crisi dei governi medio orientali sempre ispirata ad un controllo delle fonti energetiche ( petrolio), gestioni che poco conto hanno tenuto degli sviluppi etnico – storici dei diversi siti medio orientali, e il fatto di essere riusciti a coinvolgere in tale politica di controllo ( necessaria nella corsa alla leadership mondiale con Russia e Cina) gli Stati Europei privi di una unità politico militare ha di fatto riversata su di essi la quasi totalità dei problemi e delle conseguenze economiche e migratorie:
Nicola Colacino, professore ( Scienze politiche della Università Niccolò Cusano) ha rilevato che
nella attuale crisi si è manifestata la debolezza strutturale del Diritto Internazionale, ed è venuto meno il principio della uguaglianza tra gli Stati; gli Stati Uniti invece intendono utilizzare tale principio nei confronti delle Nazioni Europee solo per porre a carico di tutti gli stati coinvolti nella crisi mediorientale, nazioni europee comprese, in quanto presenti nell’area e prime colpite dalle conseguenze della crisi, la maggior parte degli oneri. Questo defilarsi dalla gestione della crisi, come gli Stati Uniti avevano già fatto in passato, dovrebbe costringere gli Stati europei – o meglio l’ Unione Europea – ad una politica unitaria di peace-building sia con i singoli stati mediorientali sia con le stesse popolazioni locali prive di leaders stabili.
Quello che appare più praticabile allo stato attuale della Unione Europea è la gestione delle crisi, in quanto molto diverse secondo le località attraverso accordi frazionati se non con i gruppi che asseriscono essere la rappresentanza del paese, con le singole etnie che li compongono normalmente in lotta tra loro; quindi in sostanza una politica regionale con i potentati locali e non statuale.
Concorda sostanzialmente con questa impostazione Mario Risso, professore (Economia della università Niccolò Cusano) in quanto le singole etnie e potentati locali sono più inclini a condurre direttamente gli accordi con i paesi occidentali singolarmente, sia per controllare e negoziare le fonti energetiche ( estrazione e trasporto ) sotto l’aspetto economico e politico.
Sia Mario Sechi, moderatore, sia Chiappini della Associazione G. Frassati, nel concludere il dibattito hanno messo in luce i punti che hanno visto un orientamento comune dei partecipanti.
Il non intervento militare nell’area per impedire le recrudescenze anti occidentali, che sarebbero comunque cavalcate da qualsiasi leader locale che riuscisse ad imporsi e, quindi negoziate a caro prezzo.
Il problema dei migranti, che deve essere diviso tra provenienze mediorientali di numero relativamente basso in confronto al totale della popolazione europea e quindi sostenibile nel tempo, e quello invece assai grave ed incombente della migrazione africana in enorme sviluppo demografico e migratorio in un dimensione non sostenibile; situazione che necessita interventi mirati nell’area per sviluppare le economie locali.
La inesistenza di una politica europea unitaria determinata da una mancanza di leadership della Unione e di una gestione degli interessi comuni sotto l’aspetto unitario, prevalendo tuttora da parte degli Stati e delle loro forze politiche interne il rifiuto ad abbandonare logiche nazionalistiche e di particolari interessi di partito.
L’aggravamento della situazione generale nell’area del Mediterraneo per la nuova politica della Turchia nella gestione dei flussi migratori e diretta sostanzialmente al una islamizzazione radicale dell’area, senza contrasto politico degli Stati Europei determinando anche una sotterranea debolezza della Nato di cui la Turchia fa parte, problematica che dovranno affrontare anche gli Stati Uniti, che della Nato sono sostanzialmente i leader.
Immagine dal sito www.ilpost.it