Rapporto Censis 2016 sulla situazione sociale del paese
Rapporto Censis 2016 sulla situazione sociale del paese
Notiamo come nei rapporti Del Censis negli ultimi anni , forse per il graduale distacco del prof. De Rita dalla sua creatura, le analisi puntuali nella documentazione e nel riferimento alle rilevazioni Istat , sono sempre improntate ad una lettura negativa dei fenomeni sociali con una particolare preponderanza alle dinamiche finanziarie piuttosto che a quelle economiche in senso lato.
Questa impostazione critica è recepita dai titoli delle maggiori testate italiane : “ Censis, l’Italia bloccata non investe più e torna a tuffarsi nel sommerso “, “ Dati Censis, l’Italia non investe più e torna il sommerso”, “ Censis , gli italiani senza ottimismo. Benestanti ma non vedono il futuro “ senza che qualcuno si domandi il perché di questa deriva negativa e come possa essere corretta e combattuta.
Gli elementi del rapporto evidenziano in primo luogo che la ricchezza è detenuta dal ceto più anziano della popolazione quella sopra i 45-50 anni , e che quello più giovane sotto i 35 anni non ha valori patrimoniali, e che la maggior parte di questa ricchezza è costituita da cespiti immobiliari nella gran parte abitazioni delle famiglie e per ciò stesso garanzie immobili e non produttive se non nell’alleviare almeno in parte il bilancio familiare da un canone di locazione . Del resto la casa è il bene tassato per eccellenza in contrasto ad una buona politica fiscale di sviluppo : i singoli non comprano più case per assolutamente investimento, i canoni di locazioni abitative sono troppo alti e la certezza della gestione dell’immobile non ha certezze per le lungaggini della politica amministrativa e giudiziaria.
L’imperativo delle persone è di spendere il meno possibile , acquistare prodotti di minor qualità e in minor quantità e, dove possibile, omologare “ in basso” il proprio tenore di vita per tenere da parte i soldi in contanti.
Questo atteggiamento investe non solo i giovani, ma in generale tutto il ceto medio che è in continua contrazione, per non dire sparizione, e tale andamento non risparmia neppure gli artigiani e gli agricoltori , in quanto proprio queste categorie della popolazione erano il motore più vivo e più importante della creazione della ricchezza in quanto variabili indipendente dal ceto impiegatizio – pubblico in testa – ed operaio che è comunque , una volta acquisita una posizione, protetto da maggiori tutele di certezza di reddito.
La crisi infatti nasce ed investe la parte della popolazione produttiva che in Italia non è costituita dalla grande industria o dal grande commercio, ma da una miriade di medio piccoli operatori economici sottoposti a gravami insopportabili di vincoli burocratici e fiscali.
La parte più viva del paese da cui può ripartire una ripresa continua quindi per sopravvivere a muoversi individualmente in ordine sparso senza poter far conto di una qualche linea politica di coordinazione.
Del resto la mancanza di coordinamento politico-amministrativo si rileva in massima parte nella carente gestione della assistenza sanitaria con un andamento assolutamente diseguale secondo regioni e località e, comunque, con un costo eccessivo delle prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche, tanto che oltre 10 milioni circa di italiani risulta abbiano dovuto rinviare e/o rinunciare alle cure per mancanza di possibilità economiche.
Turismo ed esportazione sono le sole due voci attive : l’Italia è al decimo posto nel mondo tra i paesi esportatori con una quota del 2,8% superando il 5% dell’export mondiale in ben ventotto categorie di settore, e il saldo commerciale è stato di 98,6 miliardi di euro superiore addirittura al saldo del settore delle manifatture, e nel complesso la fama di “qualità e di bellezza” dei prodotti è vincente sui mercati.
Nel turismo, specie di alto livello economico per capacità di spesa, il richiamo della qualità e del gusto dei prodotti manifatturieri e l’offerta di qualità del territorio sotto l’aspetto artistico e quello gastronomico, ha determinato un aumento dei presenze dal 2008 del 50,3% negli hotel 5 stelle e del 38,2 in quelli a 4 stelle, mentre si è registrata una flessione per le categorie alberghiere inferiori compensato però nell’aumento notevole delle presenze negli agriturismo, nei bed and breakfast e negli affitti di alloggi.
L’accantonamento di liquidità aggiuntiva effettuato dagli italiani dal 2077 ammonta a ben 114,5 miliardi di euro 2007, ma tutti effettuati dalla parte meno giovane del paese ( sopra i 35/40 anni) generando una immobilità socio economica che, a sua volta, ha determinato un diffuso senso di insicurezza sulle scelte future che necessitano per la persona l’impiego di risorse per un investimento di almeno medio periodo.
E’ infatti diminuita dal 2015 la quota dei contratti a tempo indeterminato passati dal 32,4% al 21,3% nel 2016 con un aumento abnorme dell’utilizzo dei voucher ( 70 milioni di nuovi voucher solo nel primo semestre del 2016), e questo significa l’aumento delle professioni non qualificate e lo sviluppo di occupazione come capita, senza ricerca ed impiego continuativo di attività qualificata, quindi meno programmi di studio e di miglioramento professionale.
Le uniche spese che non subiscono diminuzione e controllo sono quelle relative alla comunicazione digitale : negli ultimi otto anni la contrazione dei consumi in generale è stata del 5,7% mentre l’acquisto dei computer è aumentato del 41,4% , e addirittura quello degli smartphone del 191,6; questa ultima voce è quella in cui la popolazione giovanile ha più incidenza specie per la gratuità dell’utilizzo delle comunicazioni via whatsapp nel quale la percentuale dei giovani rasenta il 90%,su di un totale utilizzo del 61,3%.
In questa situazione è inevitabile lo sviluppo del sommerso alimentato da una esasperata ricerca dei risparmio in quanto all’elevatissimo prelievo fiscale su ogni attività ufficiale non corrisponde una corresponsione da parte del “Pubblico” di servizi funzionanti sia per quantità che per qualità ed, in particolare, per il distacco tra la parte politica in senso lato comprendente le categorie pubbliche privilegiate e la popolazione : il 92% tra i 35 e i 64 anni ed il 89,4% in generale per tutte le età, sono le percentuali della sfiducia della gente nella classe dirigente.
La distruzione del ceto medio produttivo, che in passato aveva fatto da mediazione e da cinghia di trasmissione tra i diversi livelli socio economici e culturali ha contribuito in modo determinante a tale situazione.
Dove non vi è più possibilità più travaso di ricchezza tra le classi sociali viene definitivamente meno ogni possibilità di sviluppo : questo il rapporto del Censis non lo dice a chiare lettere, ma dall’intero contesto i messaggi in tal senso sono precisi e leggibili.
Immagine dal sito www.censis.it
di Gianfilippo Elti di Rodeano