MUSEI ITALIANI TRA LUCI ED OMBRE
Intervista ad Antonio Lampis
Direttore Generale dei Musei del Mibact

di | 1 Mag 2018

Musei Italiani - Gli Standard Minimi di Qualità - 1523358210398_banner-standard - 350X200

Direttore,
lei è in carica dal primo settembre 2017 come direttore Generale Musei, nonostante il nostro immenso patrimonio artistico, i musei italiani non rientrano tra i primi dieci del mondo (dati ufficiali 2016/7). Qual è la sua analisi?

Molti nostri Musei come Uffizi o Galleria Borghese hanno spazi limitati e non consentono milioni di visitatori. Essi sono stati allestiti nel corso della storia italiana in dimore preziose o in palazzi nati per altri scopi , gli ingressi sono contingentato. Sono pochissimi in Italia i musei allestiti in edifici progettati specificatamente per le attività museali. Questa è la principale differenza dei tanti musei delle hit parade internazionali.
Ripeto spesso che giudicare le attività culturali solo del numero di visitatori è come giudicare le persone del loro peso. Lei quanto pesa?

Fuori dalla battuta, occorre ricordare che il nostro immenso patrimonio artistico ha un primato assoluto, si tratta di un patrimonio diffuso sul territorio. I musei sono migliaia e l’intuizione più felice della riforma è quella che permetterà di mettere in rete. L’Italia potrà offrire alla competitività internazionale non uno o due musei nazionali ma migliaia di musei in un sistema nazionale che si sta creando in questi mesi.

Infine dobbiamo ricordare che l’arte italiana e uno dei principali fattori di successo anche dei musei che stanno all’estero, a cominciare dai musei vaticani che son pur sempre a Roma.

Perché ancora non è stata concessa l’autonomia ai principali musei italiani, liberandoli dalla dipendenza dalle soprintendenze?

Si sbaglia l’autonomia è già concessa. La riforma del dicembre 2014 ha accolto le istanze decennali di Icom Italia, Icom international e la visione propugnata da molti decenni dai più attenti studiosi italiani di museologia e delle più avanzate prese di posizioni delle Regioni italiane.

I musei non andavano solo liberati dalle soprintendenze, che possono così concentrarsi sui fondamentali compiti di vigilanza del territorio e di tutela del patrimonio, ma andavano e infatti sono stati liberati da quella parte della sistema di contabilità pubblico che centralizzava i soldi degli incassi senza restituirli e da tante altri faticosissimi adempimenti burocratici cui sono sottoposti gli uffici pubblici. Finalmente stato compreso che i musei non sono uffici come tutti gli altri, che hanno la pressione degli appassionati e dei visitatori del nostro paese e per tale ragione il Parlamento italiano, forse unico in Europa, ha riconosciuto in musei e luoghi della cultura come servizi pubblici essenziali, comprimendo addirittura il diritto costituzionale di sciopero.

Con la riforma l’autonomia contabile e organizzativa è stata estesa a molti istituti che ora possono stringere accordi di sponsorizzazione senza i veti incrociati di quella burocrazia che imprigionava grazie tante risorse.

 

Le persone chiamate a dirigere i Musei e Soprintendenze sono veramente all’altezza di tali responsabilità?

Direi di sì, le attività di ricerca hanno avuto un forte incremento così come quelle legate alla valorizzazione. Poi facciamoli lavorare e valutiamo meglio tra qualche anno. Nel frattempo mi sembra che il numero di accordi, di prestiti, di programmi di ricerca e didattica, di iniziative di divulgazione, sia cresciuto parecchio. Lo stesso vale per incassi visitatori che hanno raggiunto cifra da record . Oggi la parola museo e la parola direttore di museo sono presenti nella mente di tante persone che vivono in Italia e che vengano da noi come turisti. In passato erano parole messe nell’ombra Le migliaia di concittadini che hanno messo mano al portafoglio con le famiglie per visitare i musei in questi ultimi anni ne testimoniano la fiducia, una fiducia che supera quella di tantissime altre istituzioni culturali di tempo libero. Si tratta di una rivoluzione storica. Mi sembra un buon inizio.

La scelta dei manager come direttori, fatta dal Ministro Franceschini, era premiante e cosa ha portato in più?

Ha portato una ventata di novità, non si deve mai rimanere fermi, la crescita ha bisogno di cambiamento e di confronto con esperienze professionali diverse. Ha inoltre portato un metodo di selezione di altissimo livello, come mai era successo in Italia per un posto pubblico, basti pensare ai membri della giuria che provenivano dalla biennale di Venezia, dalla National Gallery o dal Louvre.

La missione del museo è educare e istruire, la sua proposta di introdurre un “sistema museale nazionale” pensa possa partire da questa missione per riorganizzare adeguatamente la rete museale? Lo sguardo verso l’interesse dei giovani?

Non è una mia proposta. Essa è contenuta nella riforma del ministero (decreto legislativo 171/2014 , nella riforma dei musei decreto ministeriale 23.12 2014 e nel recente decreto ministeriale 113/ 2018 in GU del 4.4.2018) . Quando ho assunto questo incarico a settembre 2017 ho visto nel Sistema Museale Nazionale l’intuizione più felice della Riforma ed ho pensato di confrontarla con la decisione 864 della Commissione Europea del maggio del 2017 che ha dato avvio all’Anno Europeo del Patrimonio. Tale decisione sottolinea che il Patrimonio Culturale artistico, che in gran parte è racchiuso nei nostri musei, è sottovalutato per le esternalità positive che potrebbe dare; per lo sviluppo sociale, spirituale e culturale; per l’occupazione, soprattutto giovanile e femminile; per lo sviluppo economico dei territori. Essere sottovalutato significa che ha bisogno di maggiore attenzione e per avere maggiore attenzione, recita la decisione, dovrà essere affidato ad una governance sostenibile.

Sostenibile è, dunque, la parola d’ordine di questa decisione e per avere una gestione sostenibile occorre una governance partecipativa, multilivello fra i diversi portatori di interesse ed una cooperazione intersettoriale rafforzata. Questa è la descrizione del Sistema Museale Nazionale dei ed è quello che vorrei. Un sistema pensato per far lavorare insieme lo Stato, le Regioni, i Comuni e gli altri Enti Locali, le Università e tutto il sistema di formazione. Credo che la messa a sistema dei quasi 6.000 musei italiani costituisca un forte consolidamento del Patrimonio culturale, anche dal punto di vista del range turistico che l’Italia può offrire nella competizione internazionale.

L’Italia non ha mai fatto la scelta del grande museo nazionale, non abbiamo né il Louvre, né il Prado ma sul piano della competizione internazionale e per la suggestione delle persone (turisti e non), abbiamo da offrire migliaia di musei messi a sistema. Questo porterà l’Italia ad avere un ruolo molto più interessante e maggiormente valutato nella competitività turistica internazionale, ma anche in quel processo verso la non sottovalutazione del Patrimonio voluto dalla UE e che è necessario proporre costantemente ai finanziatori pubblici e privati della cultura: della politica, ad esempio, che opera le scelte.

Mi auguro che il prossimo Parlamento comprenda sempre di più che l’investimento nei nostri musei comporta incassi e possibilità di lavoro per quella gioventù che è stata tradita dagli ultimi 15 anni di economia e che, comunque, ostinatamente (guardando i dati di iscrizione ad alcune facoltà di storia dell’arte, di archeologia) ha scelto di studiare il patrimonio artistico e si aspetta, giustamente, di avere delle occasioni di occupazione.

Innanzi tutto il Sistema Nazionale significherà un sistema non legato al concetto di proprietà, non legato a impostazioni gerarchiche, è un sistema che non è fondato sull’appartenenza ma sul collegamento e questo significa interpretare i livelli minimi di qualità non come una porta (tu sei dentro, tu sei fuori), ma come un percorso di crescita per cui chi si accredita.

Nel momento in cui si scorre il manualetto dei livelli minimi e di quelli di miglioramento ci si guarda dentro e questo percorso di crescita quasi scaturisce in forma maieutica. La base del sistema di accreditamento nasce dal guardarci al proprio interno, autovalutarsi.

Un altro punto fondamentale della riforma e quella parte che punta l’attenzione sui Poli museali che da qualche settimana hanno rivoluzionato la loro governance: ho emesso una direttiva che consente di valorizzare i direttori dei musei più piccoli, anche quando essi non hanno la qualifica di dirigente e di consentire che il dirigente del Polo si concentri con le relazioni con le Regioni e i Comuni, le Università , e gli altri stakeholder del territorio.

I giovani sono sempre destinatari di programmi mirati di didattica e di educazione al patrimonio. Negli ultimi tempi sono state lanciate le campagne di comunicazione digitale, lavoro con i grandi fumettisti, impegno sui social, la app per i diciotenni, tutte iniziative con risposte fortemente positive.

Non crede che lasciare così la produzione di mostre importanti nelle mani di società private che sfornano pacchetti solo commerciali, come oggi avviene, sia un grave errore? E sulle gestioni ai privati delle biglietterie cosa pensa?

Sfornano pacchetti solo commerciali è una esagerazione generalizzante che non corrisponde al vero, alcune mostre sono di grande interesse, costruiscono anche novità scientifiche. E poi un importante numero di accordi internazionali sta producendo una grande stagione di rassegne e mostre all’Italia e all’estero, non penso siano solo azioni commerciali. La gestione delle biglietterie è in mano private da tempo per effetto di bandi di gara, come chiedeva il codice dei beni culturali. Ora molte gare sono in fase di rinnovo e consentiranno allo Stato condizioni più vantaggiose.

Come ricercare l’equilibrio tra Stato e privati nella gestione dei Beni culturali?

Con molta pazienza. Allo Stato devono comunque devono rimanere tutte le attività connesse alla la tutela e alla gestione delle politiche di sistema, di coordinamento e dei musei che sono l’emblema della Nazione. Con il privato si può ragionare di promozione e valorizzazione sempre intesa con gli enti territoriali.

I musei potrebbero rappresentare tramite appositi specialistici laboratori una applicazione della ricerca scientifico – artistica, creando così anche occupazione, cosa ne pensa?

Già lo fanno, ma sull’occupazione si può e si deve crescere. Molto importante sarà il rapporto con le nuove tecnologie che offrono l’opportunità di rivedere gli allestimenti e soprattutto i racconti museali riferiti alle nuove generazioni, ma anche quelle con i capelli grigi che hanno grande curiosità e familiarità col digitale.

La riforma dei Beni Culturali è fallita? Le gestioni museali pre-riforma funzionavano meglio?

Tutti i dati dicono di no!

La riforma ha costituito una vera e propria rivoluzione positiva per l ministero e per il sistema museale italiano. I musei hanno conosciuto un forte innovazione gestionale e tariffaria, da semplici uffici delle Soprintendenze sono diventati istituti dotati di autonomia amministrativa e scientifica, nel caso dei più importanti, con direttori selezionati attraverso un bando internazionale.

I risultati sono straordinariamente positivi: il periodo successivo alla riforma ha infatti visto incrementare il numero di visitatori, sia quelli a pagamento che quelli gratuiti, e gli incassi dei principali musei e parchi archeologici statali. Dal 2013 al 2016 è di oltre 7 milioni la crescita del numero dei visitatori – che sono passati da 38,5 milioni a 45,5 milioni (+18%) – mentre gli incassi sono aumentati di quasi 50 milioni di euro – dai 126 milioni di € del 2013 ai 174 milioni di € del 2016 (+38%). Le forme innovative di promozione hanno riavvicinato come non mai gli italiani al proprio patrimonio culturale: la prima domenica gratuita del mese è ormai un appuntamento fisso per famiglie e turisti.

Il new deal dei Beni culturali partirà anche con “i vantaggi sociali” del sistema nazionale museale?

Le attività culturali favoriscono il benessere sociale e individuale, lo dicono ricerche scientifiche, mettere a sistema e moltiplicare queste potenzialità può solo esser un vantaggio.

Il progressivo invecchiamento della popolazione ha ben presto reso evidente quanto fosse opportuno ricordare l’efficacia della partecipazione culturale per la salute ed il benessere delle persone in questa partita i musei hanno un ruolo fondamentale

Ricordo ad esempio una ricerca pubblicata sulla prestigiosissima rivista internazionale CITIES ed effettuata casa farmaceutica Bracco e le università ha dato ben altra conferma al motto “la cultura allunga la vita”. Per misurare il benessere degli individui, in questa specifica ricerca, si sono prese in considerazione diverse variabili – malattie, reddito, educazione, età, sesso, occupazione, stato civile, partecipazione culturale – che caratterizzano il PGWBI, Psychological General Well-Being Index, strumento validato da decenni di pratica clinica, che stima le auto-rappresentazioni degli stati emozionali ed affettivi intra-personali che rispecchiano un senso di benessere soggettivo o di disagio, catturando la percezione soggettiva del benessere. I dati della ricerca hanno dimostrato come l’offerta di servizi e attività e le politiche per la partecipazione e il consumo di cultura influenzino maggiormente il benessere della città.

Immagine dal sito www.beniculturali.it

di Luciano Tommaso Gerace

Per maggiori informazioni sul generale panorama di attività del Ministero negli ultimi anni consultare :
http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/visualizza_asset.html_1925974641.html

Antonio Lampis
Antonio Lampis

Curriculum Vitae Antonio Lampis – (Link)