QUARANT’ANNI DALLA PRIMAVERA DI PAURA DEL ‘78
Sei Commissioni d’inchiesta parlamentare, una sfilza di processi, numerose inchieste, innumerevoli teorie e ricostruzioni aleatorie, sulla vicenda più tragica della storia della nostra Repubblica connotata dal sequestro ed assassinio di Aldo Moro non si riesce ancora a porre la parola: “FINE”, per chiuderla definitivamente.
Dalla primavera della paura del 1978, di fantapolitiche, di ipotesi e tesi varie se ne sono sentite per poi ripetere, quasi ossessivamente, che l’affare Moro è il grande mistero italiano. Tra i vari tentativi si è cercato anche di scoprire dietro ogni dettaglio la traccia di una trama oscura, perdendo di vista i caratteri, gli aspetti reali di una vicenda condizionata non dalle manovre di fantomatici burattinai defilati dietro le solite quinte – come si vorrebbe maliziosamente ritenere e scientemente far credere -, ma dai calcoli, dalle strategie, dalle esigenze della politica, di certa politica. Per cui la verità storica, anziché chiarirla, si è preferito allontanarla da seppellirla sotto uno spesso strato di supposizioni finalizzate a spaziare nel vasto campo della fantasia, dell’immaginazione. Invero si sono chiariti anche dei dubbi, ma Anna Laura Braghetti, la vivandiera della ‘prigione del popolo’ non a caso diceva: “Indagate, indagate…..” come per dire che la verità vera non la conoscerete mai (che solo i brigatisti sapevano e sanno ma non svelano). E ne aveva ben donde di fronte ad uno Stato restio a scoprire gli altarini, quelli più significativi, per poi lasciare che il tempo facesse la sua inesorabile parte: i testimoni, che hanno preferito portare nella tomba i segreti che contano; gli elementi di prova, ormai avvolti da foschie sempre più dense, di difficile se non impossibile individuazione. Per non parlare delle Commissioni parlamentari che, sebbene in grado di rilevare novità, per prassi ripetitive, perché avvezze a sfornare interrogativi ormai indefiniti, destinati a rimanere privi di risposta, si vedono costrette a muoversi alla stregua di Diogene che, servendosi di una lanterna andava alla ricerca dell’uomo. Sintomatica ed eloquente l’affermazione del Presidente dell’ultima Commissione Parlamentare: “ Si tratta di storia da riscrivere in molti suoi capitoli”. Ed allora? Quali le tessere mancanti a ricostruire il mosaico, le incongruenze, i presupposti storici e politici ed i relativi risvolti?
I brigatisti si sono limitati a raccontare le ultime ore del prigioniero, la meccanica delle loro decisioni, il plaid sul volto prima di colpirlo a morte, ma non hanno detto la verità, perché non sono stati capaci di farlo. Forse per mantenere fede al patto inerente al silenzio barattato nel corso della burocratica gestione dei ‘55 giorni’? Ecco perché non restano che testimoni falliti di un’avventura criminale connotata da interessi contrastanti: politici, servizi segreti, infiltrati, politicamente cresciuta nell’alveo della sinistra, frutto di un cortocircuito tra rivoluzione e modernità, tra democrazia ed insurrezione armata. Un progetto il loro rifiutato, quando era troppo tardi, dalla classe operaia, dal Pci e dalla sinistra in genere, quindi, dai politci, dalle istituzioni. Non anche dal grosso della cultura italiana, la cosiddetta ‘intelligentia di sinistra’ che, se si escludono Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia che hanno osato proporre letture coraggiose e anticonformiste, in quanto abbacinata da un mito, ha condiviso il sogno rivoluzionario.
Alla domanda sul perché Moro sia stato ucciso, su chi aveva interesse a levarlo di mezzo, semplici risposte ridondanti, quindi, inutili per chiudere i conti senza spiegarli: “Moro è stato assassinato perché lo volevano morto, perché c’era una guerra, perché è toccato a lui”. Perché sì.
Aldo Moro poteva essere salvato. La relazione conclusiva dell’ultima Commissione parlamentare, che ne agevola la interpretazione in tal senso, indica a chiare tinte come a decidere la sorte dello statista pugliese sia stato l’intreccio di interessi e calcoli politici della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano, dettati da una ragione di partito camuffata da una ragione di Stato e, ovviamente, delle Brigate Rosse sollecitate, a loro volta, da una ragione rivoluzionaria. Si è assistito ad una lotta senza esclusione di colpi dalla quale i ‘protagonisti’, lo Stato e coloro che lo avevano colpito al cuore, non potevano che uscire irrimediabilmente sconfitti. Si volle, dunque, far prevalere una maggioritaria ragione di Stato che si dimostrò inutile, e a distanza di anni, anche ipocrita.
“Non c’è l’Uomo e il Diritto”, diceva Antonio Rossini, “L’Uomo è il Diritto”, per sottolineare il valore universale dei diritti di ogni essere umano, tra i quali il primo è certamente la vita. La buona educazione e anche e soprattutto la buona politica avrebbe dovuto indurre ad anteporre alle diverse opinioni, sempre e indissolubilmente, il rispetto della vita e del patrimonio valoriale e culturale di ogni persona.
Nella sua ultima lettera indirizzata alla moglie Noretta tra le poche pur struggenti e decise parole, Aldo Moro scriveva: “Tutto è inutile quando non si vuole aprire la porta”. Perché non interpretarle come un forte richiamo ad aprire sempre, anche in tale circostanza, la mente e il cuore innanzi all’ingiustizia e alle violenze fisiche ed intellettuali? Cibarsi Andreotti di primo mattino di una ‘santa’ particola non avrebbe dovuto facilitare il compito e aprire la mente e il cuore proprio perché sollecitato da un’ostia consacrata?
A distanza di anni, si rinviene una ennesima delle 86 spedite dalla prigione del popolo, inviata anch’essa alla moglie, non fattale recapitare, nella quale Moro diceva:” Ti abbraccio forte, Noretta mia, morirei felice se avessi il segno della vostra presenza, sono certo che esiste, ma come sarebbe bello vederla”. Sarebbe servita, se ne fosse venuto a conoscenza, ad indurlo ad una doverosa, umana riflessione da farlo deflettere dal proverbiale immobilismo dal quale il Presidente del Consiglio pure era uso gestire le leve del potere? Ma come si sarebbe potuto mostrare conciliante a fronte di un giudizio, a dir poco devastante, che Moro riporterà nei suoi confronti sul Memoriale scritto durante la prigionia: “Non è mia intenzione rievocare la sua grigia carriera. Non è questa una colpa. Si può essere grigi ma onesti, grigi ma buoni, grigi ma pieni di fervore. Ebbene onorevole Andreotti è proprio questo che le manca. Le manca il fervore umano. Quell’insieme di bontà, saggezza, flessibilità, limpidità che fanno senza riserva i pochi democratici cristiani che ci sono al mondo. Lei non è tra questi” .
La sensazione che rimane, leggendo in sequenza il carteggio, con le esternazioni ai politici, soprattutto a quelli del suo partito, e ancor più ai suoi ‘amici’ politici, è di una profonda e terribile consapevolezza del fatto che a volerlo morto siano in molti, sia per l’apertura a sinistra, caparbiamente voluta, per la faccenda del compromesso storico, sia per una sottile e fremente paura, da parte di quei molti, per i segreti serbati in quel grembo prigioniero che una scomodissima eventuale liberazione potrebbe far scappare. Non considerando che Moro, a differenza dei timorosi con le code di paglia, sarebbe, di nuovo libero, ancora un cristiano, di nuovo un uomo, e mai un usignolo vendicativo. Le polemiche, inevitabili, continuano ad imperversare: fu giusta la linea della fermezza dello Stato? Per le sue conoscenze, che avevano determinato apprensione, fu ritenuto pericoloso. Eppure lo si considerava un politico indispensabile per gli equilibri politici di quella stagione, ma non certo da chi era pronto a sacrificarlo. Per il regime democratico, dunque, Moro vivo sarebbe stato un rischio ben più grande della sconfitta dello Stato di fronte al terrorismo. Una morte la sua che ha certamente nei brigatisti gli esecutori materiali, ma che in una intera classe politica vede i corresponsabili morali.
Biografia
Il Generale B. Antonio Federico Cornacchia, nome in codice Airone 1, è l’uomo che per primo ha ritrovato il corpo di Aldo Moro il 9 maggio 1978.
Oggi Cornacchia ha 86 anni è Ispettore Regionale dell’Associazione Nazionale Carabinieri.
Nella sua carriera nell’Arma, ha arrestato il criminale Renato Vallanzasca e, dopo aver comandato il Nucleo investigativo dei Carabinieri di Roma, ha lavorato nei servizi segreti. Di lui la stampa dice che aveva la tessera 871 della P2, circostanza che lui smentisce, dicendo di aver svolto anche delle perquisizioni nei confronti di Licio Gelli.
Immagini da TG5 e TGR
di Antonio Federico Cornacchia