La notizia che Papa Francesco si recherà a settembre in Sicilia per omaggiare don Puglisi sta facendo il giro sui media. Sono cinque anni che il prete del quartiere Brancaccio è stato beatificato – 25 maggio 2013: il primo ad essere ascritto tra i santi come martire per mano della mafia. Un martire è proclamato tale nella Chiesa per aver dato la vita pur di non rinnegare la propria fede e che sia stato ucciso “in odium fidei”. Anche di Falcone o Borsellino parliamo comunemente di martirio, cioè di una testimonianza estrema che questi magistrati e le loro scorte, sfidando quotidianamente il rischio di rimetterci la vita, hanno reso ai valori più alti del bene comune e a servizio dello Stato. Essi sono un luminoso esempio per tutti, meritano rispetto e ammirazione. Ma quel “in odium fidei” pone per la Chiesa qualcosa di diverso, tanto che al rispetto e all’ammirazione aggiunge la venerazione: i beati e i santi si pongono sugli altari. Solo perché don Pino era un prete? Evidentemente no. Si sa che ad intralciare gli interessi della mafia, comune cittadino, giornalista, magistrato o prete che tu sia vieni categoricamente eliminato. E don Pino non è stato certo il primo prete a subire questa sorte. Ma, mi chiedo, perché è stato ucciso “in odium fidei”? In una forma diretta, chiara ed inequivocabile, di fronte al Vangelo che viene annunciato e vissuto c’è l’odio a Cristo e ai suoi discepoli e la conseguente violenza, la stessa che tolse di mezzo ai vivi anche il Maestro. E allora il punto è proprio questo e riguarda il Vangelo – vera pietra di scandalo – e chi lo vive.
La scorsa settimana è venuto a Roma il Patriarca ecumenico Bartolomeo ed ha inaugurato la sua visita a Papa Francesco qui a Santi Apostoli, venerando le reliquie dei martiri gli apostoli Filippo e Giacomo il minore. L’onore riservato ai primi martiri cristiani è lo stesso riservato ai nuovi martiri, quelli del nostro tempo che, in numero, hanno di gran lunga superato quelli dei primi secoli dell’era cristiana.
Don Pino ha sorriso a chi stava per ucciderlo, così si è congedato da questa vita e così ha salutato il suo omicida… un prete non può non saperlo. Ogni giorno ha a che fare sull’altare con il sangue di salvezza sparso dal Maestro per la salvezza di tutti. Se un prete sa che il suo sangue si mischierà a quello di Cristo sull’altare sorride perché già conosce la fecondità di quel seme, anche per la salvezza di chi gli spara.
Biografia Don Pino Puglisi
Giuseppe Puglisi, detto Pino, nasce nella quartiere palermitano di Brancaccio il 15 settembre 1937 da una famiglia modesta (il padre è calzolaio, la madre sarta), ma ricca di valori e umanità. A sedici anni entra in seminario, nel 1960 si fa prete: “O Signore”, recita l’immaginetta fatta stampare per l’occasione, “che io sia strumento valido nelle tue mani per la salvezza del mondo”.
Nel 1967 è nominato cappellano presso l’orfanotrofio “Roosevelt” dell’Addaura e, per la prima volta, scopre e si apre al mondo dei più piccoli, e alle loro molteplici e vitali esigenze…
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Immagine dal sito archivio.blogsicilia.it
di Fra Agnello Stoia