Boyan, l’inventore 23enne che vuole pulire l’oceano dalla plastica

di | 1 Lug 2018

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Boyan, l’inventore 23enne che vuole pulire l’oceano dalla plastica

Olandese, premiato e criticato, ha fondato The Ocean Cleanup: in 5 anni ha creato un sistema per recuperare i rifiuti in superficie. «Entro il 2040 via il 90%». Ma non mancano gli scettici

Nel febbraio di cinque anni fa, il 18enne olandese Boyan Slat abbandonava per sempre gli studi di ingegneria aerospaziale dopo un solo semestre. Sognava altro. Qualcosa di più piccolo dello Spazio, ma ancor più difficile da raggiungere. Sognava di aiutare il pianeta Terra, ripulendo gli oceani dall’enorme massa di plastica che dagli anni Settanta li infesta in modo sempre più minaccioso. E per farlo aveva un’idea rivoluzionaria.

L’idea di Boyan Slat
Quel ragazzino dall’aria scapestrata immaginava un sistema di tubi galleggianti che accumulasse la plastica in superficie in modo autonomo, al ritmo del flusso delle correnti, senza motori e senza esseri umani a pilotarlo. Impossibile, secondo molti; un colpo di genio, secondo qualcuno. Oggi per Slat è arrivato il momento della verità: la sua invenzione — inserita tra le migliori del 2015 da Time, e che gli è valsa un posto nella lista di Forbes degli Under 30 più brillanti al mondo — è pronta per entrare in azione. «Possiamo farlo. Dobbiamo farlo. E lo faremo», è la sua frase preferita.

Il percorso e le donazioni
Dal 2013 a oggi il ragazzo di Delft ha convinto molta gente a sostenerlo, compreso il governo olandese. Prima ha messo in piedi la fondazione The Ocean Cleanup, «la pulizia dell’oceano»; poi ha raccolto oltre 30 milioni di dollari di donazioni da privati, tra cui il filantropo miliardario Marc Benioff; si è circondato di 80 studiosi, tra biologi e ingegneri, per creare una tecnologia del tutto nuova, sostenibile e capace di resistere alla forza del mare aperto; e ora, dopo decine di test in laboratorio e prove concrete nel Mare del Nord, è a un passo dal «lancio» nell’Oceano Pacifico. Meglio dello Spazio.

Come funziona: i tubi e lo schermo
«Siamo all’apice di un lavoro durato cinque anni — spiega al Corriere uno dei due italiani che lavorano per The Ocean Cleanup, il biologo 32enneFrancesco Ferrari —, ora passeremo un mese su una barca a 50 miglia nautiche da San Francisco a osservare il funzionamento del tutto. Lo abbiamo inventato da zero, con materiali prima destinati ad altri usi. E nel 2016 siamo arrivati al design definitivo». Cioè un tubo curvo e galleggiante lungo 600 metri, a cui è agganciato uno «schermo» di poliestere profondo 3 metri, «e non una rete, molto più rischiosa per gli animali». Lasciato al largo da una nave e controllato poi via Gps, il sistema (se tutto andrà bene) creerà una zona calma dove si accumulerà la plastica che ogni mese verrà recuperata con delle barche per essere riciclata. Poi sarà replicato in centinaia di esemplari, sparsi tra i cinque grandi «vortici» di plastica degli oceani, con un obiettivo più che ambizioso: «Recuperare entro il 2040 il 90% della plastica che oggi sta in superficie». Al ritmo di 5 tonnellate al mese.

L’ora della verità
Cominciano le settimane più importanti: il meccanismo sarà provato, per la prima volta tutto intero, nel «Great Garbage Patch» del Pacifico, una concentrazione di rifiuti che si estende su un’area grande tre volte la Francia. Il team di Boyan ha scoperto (e pubblicato in uno studio su Nature) che il vortice cresce 16 volte più velocemente del previsto, ma che il 92% della plastica in superficie è grande abbastanza per essere raccolta. «Le aspettative sono molto elevate— racconta l’altro italiano, Roberto Brambini, giovane ingegnere — e se non sarà tutto perfetto riusciremo a migliorarlo».

Gli scettici
Tra gli ambientalisti non mancano gli scettici. Secondo Marcus Eriksen, scienziato e fondatore dell’istituto 5 Gyres, la missione «sarà solo una enorme distrazione dal vero problema: fermare il flusso di plastica prima che entri in mare». La pensa come lui il biologo Martin Thiel: «Non funzionerà: il Pacifico non è affatto pacifico. E il mondo s’illuderà di poter continuare a riversare lo tsunami di plastica in mare, tanto c’è qualcuno che poi pulisce per loro». Da qualche parte però bisogna pur cominciare. Con un’idea impossibile, o un colpo di genio.

dal sito www.corriere.it