Z.
di Pancrazio Anfuso

di | 10 Lug 2018

Marcello Dudovich, Autoritratto

                       Marcello Dudovich, Autoritratto

Nonostante la vita continuasse a inviargli i suoi segnali, Z. si ostinava a comportarsi come aveva sempre fatto. Era certo che la leggerezza fosse la via per suscitare la benevolenza altrui, conquistarne la simpatia e l’apprezzamento. Leggerezza che non significava superficialità.

Z. era abituato a esercitarsi nell’empatia, talmente proiettato verso gli altri da dimenticare di rimanere centrato con i piedi sul terreno dove stava. Continuava a inzepparsi la testa di letture profonde e di informazioni inutili, che sciorinava, talvolta, in una conversazione, ma senza vantarsene, anzi, minimizzandone l’importanza.

Era compiaciuto dal fatto di conoscere la risposta giusta, e si divertiva a indovinare la soluzione di qualche problema pratico, di scarsa importanza, che i più consideravano fastidioso.

Sul lavoro s’era costruito così la reputazione: quando non sai chi ti può risolvere il problema, rivolgiti a Z. (il che comportava lo sgradevole effetto collaterale di diventare quello a cui si mollano le rotture di scatole più assurde, ma nella sua mitezza Z. fingeva che questo non fosse un problema).

Era convinto, Z., che la strada per il successo passasse per la sostanza: se sai e sai fare il mondo sarà sempre ai tuoi piedi, o, comunque, finirà per accorgersi di te.

In realtà l’incapacità di far pesare quello che sapeva e sapeva fare lo condannava all’irrilevanza, alla consapevolezza che la brillantezza senza talento non porta da nessuna parte e che se si ha la fortuna di saper fare discretamente alcune cose ci si deve lavorare forte sopra, per eccellere almeno in una.

Svolazzare come una farfalla in attesa della retina di un collezionista illuminato serviva a poco: meglio un paio di canini affilati che i modi affettati del milord, che al primo vento di tempesta mostrano tutta la loro inutilità.

Insisteva, comunque, coerente e coraggioso. Procedeva a testa alta verso la nebbia del futuro, convinto di aver fatto qualcosa di importante nella vita, anche se non ricordava bene cosa.

di Pancrazio Anfuso