COSE NUOVE E COSE ANTICHE

Foto di Marco Ventura
Se vi affacciate nel cortile del Convento di Santi Apostoli sarete subito risucchiati dal cannocchiale prospettico dei filari alterni delle colonne e della teoria di monumenti e frammenti lapidei murati alla parete. E’ inevitabile, è fatto apposta per stupire ed è un piacere perdersi. Il braccio accanto rimane più nascosto, bisogna guardarlo apposta e, se lo si percorre, solo per pochi metri, ci si imbatte in un bassorilievo murato all’altezza giusta per essere ben ammirato.
E’ una reliquia del medioevo romano, un presepe del XIV secolo, opera attribuibile ad uno scultore ancora ignoto ma molto vicino ad Arnolfo di Cambio. O forse addirittura lui, il grande maestro toscano! La faccenda è ancora tutta da chiarire.
Nel nostro Ordine francescano conventuale c’è una particolare sensibilità a custodire le cose antiche, siano esse anche frammenti. Poi verrà il tempo in cui saranno catalogate e magari studiate. Talvolta nelle nostre basiliche o nei cortili e chiostri dei nostri conventi si conservano chicche che vanno tirate via dalla polvere della dimenticanza. Si riscoprono veri tesori di arte e di fede come è stato il caso del presepe che, recentemente restaurato, è stato presentato presso la sala conferenze dei Musei vaticani lo scorso 13 dicembre.
Un sarcofago cristiano del IV secolo – utilizzato prima come fontanella e poi come fioriera per concludere in gloria il suo percorso poiché custodisce attualmente le reliquie degli apostoli Filippo e Giacomo nella cripta della Basilica – insieme al nostro presepe era stato trasportato a Santi Apostoli negli anni ’70 del Novecento dal vicino convento di san Teodoro, in via di San Teodoro. I due pezzi provenivano dall’orto dei frati, più precisamente dalla parte del terreno adiacente al catino absidale di san Giorgio al Velabro. Queste notizie le ho attinte dalla viva voce di P. Isidoro Gatti, storico ed aiuto archivista per molti anni presso l’Archivio generale del nostro Ordine, che ne aveva pubblicato anche alcune foto su una guida della basilica e fatto stampare delle cartoline. Erano stati ben custoditi per diversi anni nel convento di San Teodoro finché parte di esso non fu destinato ad albergo – oggi Hotel Kolbe Roma – per cui si pensò bene di trasferirli qui.
Il tema del Natale è illustrato nel bassorilievo seguendo il racconto della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. Nei tre registri che compongono le diverse scene, verticalmente congiunte dalla traiettoria che la cometa dal volto di angelo indica ai pastori, si dischiudono per noi i misteri della Notte santa: così come li avrebbe narrati un predicatore del Trecento tali e quali si possono leggere scolpiti nel marmo. Uno dei Tre (della Santa Trinità) si è fatto carne, giace in una mangiatoia, è divenuto uomo nel seno di una Vergine, è fonte di salvezza e di guarigione per mezzo del lavacro del battesimo dove si riceve la fede che risana.
Jacopo attinge a piene mani al racconto dei Vangeli apocrifi: Giuseppe era riuscito finalmente a trovare una levatrice a cui disse che la sua sposa era rimasta incinta per opera dello Spirito Santo. La donna gli credette, vide il bambino che Maria aveva partorito da sola e – capendo che era nata la salvezza d’Israele – corse a chiamare un’altra levatrice, Salomè. Costei non si fidava e volle toccare con mano lo stato della verginità, ricevendone in cambio una punizione esemplare: la paralisi della mano colpevole, a cui seguì una crisi di pentimento e la conseguente guarigione da parte del Bambino col tocco della sua mano.
La lettura può essere discendente o anche ascendente: a partire dalla propria infermità, frutto del peccato (mancanza di fede), il lavacro della rigenerazione battesimale ci riammette alla piena salute per mezzo dei sacramenti della Chiesa. Maria è figura della Chiesa, partorisce il Figlio unigenito del Padre per opera dello Spirito Santo, lo avvolge in fasce e lo depone sulla mangiatoia… cosa avvolge in fasce il Figlio? La dimensione misterica e sacramentale della Parola e del Pane eucaristico per il nutrimento del Popolo di Dio. E così per mezzo del Figlio conoscere l’amore del Padre nello Spirito Santo che opera per mezzo dei sacramenti. La comunione dunque con la Trinità a partire dalla miserevole condizione di partenza. E’ una lettura molto pregnante che lascio alla vostra meditazione per questo Santo Natale ormai prossimo.
Per salutarvi voglio augurare a tutti la “gheulà”, parola ebraica che indica l’abbondanza dei doni messianici, significata dalle grandi ghiande che si vedono sulle querce. Anche la natura partecipa della grazia, il lupo si è arrestato impietrito davanti alle pecore, tutto fiorisce rigogliosamente e in straordinaria abbondanza. Per me, francescano e partenopeo, questi temi natalizi risuonano come una campana che basta solo sfiorare, nei gesti di Francesco d’Assisi a Greccio come nei versi di sant’Alfonso de’ Liguori: “quando nascette o Ninno a Betlemme era notte e pareva mmiezjuono”. La fede trasforma la realtà, cose nuove e cose antiche.
Buon Natale a tutti!
di Fra Agnello Stoia