FUMO DI LONDRA CON SFONDO DI VESUVIO: LE CONTRADDIZIONI DELLA BREXIT
di Pietro Bergamaschini

Illustration di Nate Kitch
Nell’affollato “villaggio globale” ipotizzato da Marshall McLuhan il mito della flemma britannica è ormai sfatato!
Dalle giravolte principesche, ai cappellini colorati della Queen, al ricordo rimpianto di Diana, all’incerto desiderio di uscire dalla Unione Europea, l’Inghilterra si è umanizzata secondo i nostri schemi partenopei, fatalistici e comici.
Dalla nascita della UE le crisi sono state una variabile fissa sempre presente. Molti i motivi: mancati processi di integrazione, disomogeneità economica, una moneta unica con differente potere d’acquisto nei vari Paesi. Tutto ciò ha incrementato euroscetticismi e pericolose neoformazioni di populismi e nazionalismi, minando ancor di più la solidità ed il futuro della UE, che in un periodo di crisi dell’Economica Mondiale, e con riforme strutturali necessarie ed un adeguamento delle infrastrutture economico-geografiche, rendono il futuro della UE ancora più incerto. E la Brexit appare più una minaccia che una decisione politica sovrana di un Paese, e genera paure di effetti e conseguenze che provocheranno instabilità, squilibrio economico-finanziario. Nel 2010 con una lettera (http://www.letteradeglieconomisti.it/) trecento economisti suggerivano alcune riflessioni da valutare alle Istituzioni italiane per attuare riforme concrete per arginare la crisi, visto che la “politica dei sacrifici” era stata infruttuosa, e non essendo ancora usciti dalla crisi del 2007, in quanto erano mancati interventi sulle cause strutturali, e fare ipotesi di una ripresa sulla scia della ripresa USA o della Cina sarebbero stato un errore, affermavano che vista la fragilità dell’Eurozona per gli squilibri interni e per la politica economica liberista, e che i Governi italiani non avevano attuato una politica tesa a contrastare questo pericoloso avvitamento deflazionistico, sarebbe stato opportuno porre in essere valutazioni di distacco dalla UE o dall’Euro. Anche altri economisti come Stiglitz, Mirrlees, Pissarides, Amartya Sen, concordi con i suggerimenti espressi consideravano una formula di superamento controllato dell’Euro e un riassetto strutturale dell’economia della UE, magari attraverso l’uscita della Germania, troppo ossessionata dalla quadratura dei bilanci, o almeno una reflazione in Germania. In pratica la ragione della crisi è nel disastro dell’economia d’Eurozona è stata data da un sistema bancario poco solido rispetto a quelle USA, fiaccato ancor di più recentemente dal protezionismo di Donald Trump. Stiglitz affermava che se il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership – Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti) fosse entrato in vigore, la scelta della Gran Bretagna sarebbe stata, visto che già con la moneta ne era rimasta fuori, sicuramente verso l’abbandono della UE. Ed anche se il TTIP non è entrato in vigore il CETA è oramai attivo e che prevede un accordo di libero scambio tra Canada e UE, con l’abolizione del 99% dei dazi doganali. Con benefici a favore delle PMI del settore tessile e calzaturiero, poi di quello bovino. “Una risposta al protezionismo di Trump”. Contestato dai #StopCeta e #StopTTIP per i quali porterebbero gravi conseguenze sulla vita dei cittadini, ed un “cavallo di Troia” per le Multinazionali che così svincolano i trattati di nuova generazione, quelli che prevedono l’abbattimento delle barriere non tariffarie, (standard dei diritti dei cittadini), in quanto aprendo solo una casella postale o una sede legale in Canada, consente di operare. Ma il CETA agevola anche le piccole imprese soprattutto molti prodotti a denominazione di origine controllata. Un accordo che svincola da ostacoli in fondo.
Tornando alla Brexit consideriamo che già Winston Churchill indicava una UE senza il Regno Unito, ed i primi passi dell’Inghilterra furono più propensi ad accordi commerciali senza istituzionalizzarli, solo negli anni ’70 iniziò ad entrare, ma sempre euroscettica, e con moneta propria. Ed oggi a seguito anche di elezioni favorevoli, si sono fissati i termini per una Hard Brexit al 31 gennaio 2020, per molti è la fine di una sottomissione ad un sistema poco stabile, di un assoggettamento durato quaranta anni. Un problema primario di Boris Jhonson è recuperare alcuni miliardi di sterline per gli investimenti promessi agli elettori, e secondo il Financial Times una possibilità è quella di creare una banca di infrastrutture, e traendo beneficio dal basso costo del prestito di Governo riuscirebbe ad attenersi a Bruxelles dimostrando che la Gran Bretagna non ha bisogno della BCE avendo un proprio Istituto Finanziario di Fondi Pubblici per i progetti a lungo termine. Si riconferma quindi che la Brexit è un tema solo politico, una decisione sovrana del Regno Unito, da sempre socio eccentrico. Al momento dopo la decisione della Brexit, sembra che la Politica Britannica sia entrata in un ambito contorto e complesso da cui fatica a uscirne: la questione Irlandese e l’Aritmetica Parlamentare. Considerando le conseguenze le stime della Banca d’Inghilterra, danno una caduta del Pil del Regno Unito dell’8%, circa 57 miliardi di Euro all’anno e della UE di circa 40 miliardi di Euro all’anno. Allo stato attuale anche per l’Italia è una situazione complessa e se dovesse rimanere tutto come ora una “ultima spiaggia” potrebbe essere l’Italexit. Stiglitz ritiene che le riforme effettuate dal Governo italiano non hanno portato grandi benefici per la ripresa. E sulla riforma strutturale dell’Eurozona, afferma che “Servirebbe un’assicurazione unica contro la disoccupazione” con un meccanismo europeo che agisca in caso di un Paese in crisi, ed inoltre “un bilancio comune e risorse vere” per aiutare i Paesi privati della svalutazione monetaria che serviva a risolvere le crisi., inoltre si deve aumentare “il budget comunitario per gli investimenti in infrastrutture” e citando la Cina, occorre cambiare la geografia economica, la sua mancanza è una grave carenza per i processi economici. Le riforme eviterebbero il rischio di default a catena, ma se si prospettasse una Italexit i capitali fuggirebbero per la paura di una moneta debole, e l’unica alternativa, “Potrebbe essere la Germania ad uscire dall’euro”. L’Hard Brexit si attua il 31 gennaio, con periodo di transizione morbida limitato a fine 2020, e piani di politica incentrati su investimenti pubblici, ed un aumento di risorse per la sanità. Questi i cardini del programma di legislatura del governo Tory di Boris Johnson, dopo il trionfo elettorale del 12, al momento. La Comunità Europea è in una crisi di incertezze e fatti concreti, da una parte la Brexit e dall’altra la crisi Tedesca del settore automobilistico, della Deutsche Bank, i problemi della mancata integrazione della Germania dell’Est, che ancora pesano sull’economia tedesca. La crisi Francese, i Gilet Gialli che protestano per l’aumento dei prezzi del carburante e l’elevato costo della vita. I populismi e nazionalismi dalle Sardine alla Lega in Italia. Tutti segni di una Europa in crisi, con dei rischi che potrebbero essere fatali se non si attuano riforme sia per la moneta unica sia per la struttura della UE. L’Euro ha devastato il nostro Paese, e così il resto della UE. La BCE ha salvato la moneta unica, ma ha danneggiato ancor di più i Paesi Membri, e secondo molti economisti questo salvataggio nasconde i vizi di un sistema in crisi e invece di unire una Europa di complessa integrazione, non ha fatto altro che disgregarla e disunirla .
Immagine dal sito www.ft.com
di Pietro Bergamaschini