Telefoni cellulari e tumori al cervello: cosa dicono 20 anni di ricerche
Ogni giorno in Italia a circa mille persone viene diagnosticato un tumore. I nuovi casi nel 2019 sono stati 371 mila, di cui 196 mila negli uomini e 175mila nelle donne. In crescita l’incidenza fra gli adolescenti. Le cause conosciute che provocano le alterazioni del Dna sono di tipo ambientale, legate a stili di vita, genetiche, infettive e, per ultimo, i fattori casuali. Per questa ragione, fin dal 1965, l’Oms ha fondato l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro con il compito di identificare le sostanze che possono provocare tumori, affinché vengano bandite dal mercato o sia consentito ai governi di adottare provvedimenti di salute pubblica, ma anche ai singoli cittadini di decidere consapevolmente quali rischi correre. La lista di cosa può contribuire a provocare il cancro, oltre a quello che tutti ormai ben sappiamo come fumo, alcol e obesità, è piuttosto lunga.
Informazioni sui composti chimici sul mercato: 7%
Il nesso causale tra l’esposizione alla sostanza e l’insorgere della malattia è stato dimostrato per le fibre di amianto, la formaldeide e il benzene (leucemie e il cancro al polmone), per metalli come l’alluminio, il cromo, il nichel e radiazioni da Radon 222 (soprattutto per i tumori al polmone) e tanti altri.
Sul mercato però ci sono oltre 140 mila composti chimici sintetizzati, e ben 5.000 sono prodotti in quantità superiori a 300 mila tonnellate l’anno comportando un’esposizione a livello planetario. Sono sicuri? Quello che sappiamo è che solo sul 7% ci sono informazioni sufficienti, sul 50% esistono informazioni parziali e inadeguate, mentre per il 43% non esistono informazioni di base sulla tossicità. Il problema è che anche là dove è nota la pericolosità di un composto, il processo regolatorio per limitarne la presenza nel cibo, nell’acqua o nell’aria è lunghissimo.
Le malattie associate a pesticidi
Un esempio emblematico è quello dei pesticidi e fertilizzanti. Solo in Italia, nel 2017 ne sono stati sparsi 1,3 miliardi di tonnellate, e per un ettaro di agricoltura convenzionale ne sono usati 396 kg l’anno. Gli studi epidemiologici hanno riscontrato tra gli agricoltori tassi elevati di linfomi, leucemie, tumori allo stomaco, al pancreas, al cervello; fra i coltivatori di patate e di ulivi neoplasie al rene; fra i frutticoltori cancro al colon e alla vescica. Il Glifosato è uno dei diserbanti più potenti e diffusi nelle coltivazioni intensive, tant’è che entro il 2020 la sua richiesta, nel mondo, raggiungerà 1 milione di tonnellate. È stato studiato a lungo, ma ad oggi ancora non esiste una letteratura scientifica univoca sui danni che può provocare.
Il glifosato è cancerogeno o no?
Lo Iarc nel 2015 l’ha classificato come probabile cancerogeno, la European Food Safety Authority (Efsa) come improbabile cancerogeno, per l’Environmental Protection Agency (Epa), incaricata della protezione ambientale dal governo Usa, invece non è cancerogeno. In Europa il limite giornaliero della quantità di glifosato che può essere ingerita con il cibo o l’acqua da bere, espressa in base alla massa corporea, è di 0,5 milligrammi al giorno per ogni chilo di peso, per gli Usa 1,75. Dunque qual è la reale soglia di sicurezza per l’uomo? Dai risultati delle indagini dell’Istituto di ricerca sul cancro Ramazzini di Bologna, considerato fra i più autorevoli a livello internazionale per la ricerca sulle malattie ambientali, emerge che il livello di glifosato ammesso dagli Usa, somministrato a ratti a partire dalla vita embrionale fino ad una età corrispondente a 18 anni nell’uomo, può interferire con il normale sviluppo sessuale, è genotossico (cioè capace di provocare rotture del Dna), e altera la flora batterica intestinale. Sono ancora in corso le indagini che riguardano gli effetti su ghiandola mammaria, reni, fegato e sperma. Intanto che le autorità sanitarie stabiliscano definitivamente chi ha ragione, noi continuiamo ad essere esposti.
Cosa dicono gli studi sui telefonini
Un altro tema di portata planetaria è l’esposizione alle onde elettromagnetiche di antenne e cellulari. Il resoconto del National Toxicology Program) pubblicato a marzo 2018, così come quello dell’Istituto Ramazzini, mettono in evidenza un aumento dei tumori del cervello (glioblastoma) e delle cellule di Schwann. Entrambi hanno esposto migliaia di cavie. L’Agenzia americana alle radiofrequenze a 900 MHz per tutto il giorno ad intermittenza, simulando in pratica l’uso quotidiano del cellulare. L’Istituto italiano invece ha esposto le cavie alle antenne 3G (1,8 GHz) in maniera continua per 19 ore al giorno. Altri tre lavori sperimentali, dove l’esposizione è stata fatta su un numero più ridotto di ratti, un periodo di tempo più corto e 2 ore al giorno, hanno invece prodotto un risultato negativo. In una recentissima pubblicazione del Ministero della Salute francese viene evidenziato che il glioblastoma (tumore del cervello) è aumentato di 4 volte fra il 1990 e il 2018. La scienza quindi non è concorde, mentre il mondo, privo di conoscenza su eventuali rischi, corre verso il 5G, di cui non si conosce ancora nulla.
Dalle autorità sanitarie ci si attende almeno che non vengano aumentati i livelli espositivi e l’introduzione di qualche prescrizione obbligatoria sull’uso dei telefonini: non tenerlo mai appoggiato all’orecchio, ma almeno a 5 cm, utilizzare sempre l’auricolare, evitarne il più possibile l’uso o telefonate molto brevi quando si è in auto o in treno. Durante la notte spegnere il wifi e non tenere il telefono acceso sul cuscino o comodino. Per i maschi evitare di tenerlo nella tasca dei pantaloni.
Investiamo 21 milioni in ricerca sulle sostanze nocive
Il grosso della ricerca è finanziato dall’industria che ha tutto l’interesse a nascondere o a prolungare nel tempo le decisioni in merito alla nocività di un prodotto. Solo gli studi realizzati con il finanziamento pubblico possono garantire l’indipendenza del risultato. Dai dati elaborati per Dataroom da Alleanza contro il cancro, la più importante organizzazione di ricerca oncologica italiana, risulta che degli irrisori 210 milioni di fondi stanziati soltanto 21 milioni vanno a finanziare gli studi che cercano «cosa» provoca i tumori. Mentre il programma europeo con il più alto budget mai stanziato – circa 80 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 (Horizon) – sostiene innovazioni e scoperte per registrare nuovi prodotti da mettere sul mercato e zero euro per individuare quali prodotti, tra quelli già in circolazione, sono cancerogeni.
Spendiamo 5,6 miliardi in chemioterapici
In compenso solo in Italia spendiamo oltre 5,65 miliardi l’anno di farmaci per curare poi chi si ammala di cancro. Una cifra cresciuta di 650 milioni nell’ultimo anno, e su cui pesa anche il costo dei farmaci innovativi (614 milioni di euro). In un ospedale tipo italiano le terapie con i farmaci tradizionali s’aggirano sui 2.000 euro a ciclo, quelle innovative possono costare fino a 5.300 euro a ciclo che significa un totale di 90 mila euro l’anno. Ben vengano questi farmaci se danno più speranza di vita o di guarigione ai malati, ma purtroppo non è sempre così.
Lo scorso ottobre, a Barcellona durante il Congresso della Società europea di oncologia medica, è stato presentato lo studio relativo a trentasei farmaci innovativi registrati dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema) dal 2004 al 2017 e approvati per 68 indicazioni per il trattamento di tumori solidi. Risultato: quasi la metà ha raggiunto bassi punteggi di valore aggiunto rispetto ai farmaci tradizionali per i benefici clinici, di sopravvivenza, qualità di vita o trattamento delle complicazioni. Il loro costo però è mediamente doppio rispetto ai farmaci tradizionali per la cura dello stesso tipo di tumore.
dal sito www.corriere.it