#RESTARE APERTI
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo importante contributo

di | 23 Mar 2020

E’ in arrivo la primavera, cantano già gli uccellini e anche i gabbiani si fanno sentire. Si riescono ad ascoltare per bene, non c’è più traffico, nessun motorino, nessuna macchina. Non ci sono più studenti, lavoratori, turisti, tutto è fermo, serrato, le porte sono chiuse, le serrande sono abbassate, le luci sono spente. Il deserto è qui, in città, nella capitale. Sembra quasi assurdo pensare e constatare che intorno a noi ci sia il vuoto, che Roma sia una città improvvisamente silente, scostante. E anche noi siamo scostanti, lontani dagli altri o vicini con le giuste cautele, rispettando le distanze di sicurezza, quelle che ci permettono di stare al sicuro, appunto, di vivere in tranquillità. La vita scorre lentamente per noi che non sappiamo come impiegare le ore, la vita è diventata un’ urgenza per qualcun altro che c’è sempre stato e che adesso riempie uno spazio più visibile. Per loro, gli ultimi, gli invisibili, la vita è davvero più dura adesso: sono chiusi alcuni centri di accoglienza, diversi servizi destinati alla persona; diminuiscono i posti negli ostelli, le mense fanno fatica ad andare avanti, inoltre chiudono Bed and breakfast, alberghi, etc. È diventato difficile tutto: mangiare, dormire, lavarsi, ricaricare il cellulare, andare in bagno e guadagnarsi qualche spiccio. Anche fare l’elemosina o suonare nelle piazze e in metrò non frutta più.
La vita è più faticosa per chi vive in strada, la vita è difficile se si è soli a viverla e se si ha paura di morire di questo virus.
In questi giorni mi sono domandata se valesse la pena restare aperti , in fondo poche sono le persone che si spostano per prendere un pacco alimentare o per un colloquio, che senso ha esserci?
Il Signore, come al solito, risponde alle mie tante domande inviandomi persone come Sergio, un senza fissa dimora della zona. Era molto agitato quando l’ho conosciuto. Voleva solo andare in bagno, quasi mortificato della sua richiesta. Aveva dentro di se la rabbia e il dispiacere di essere stato rifiutato, nonostante sia una brava persona e sia conosciuto nel quartiere. Lo accogliamo e, grazie al suo impellente bisogno, lo facciamo calmare, gli doniamo del latte e parliamo un po’; era stato allontanato da diversi luoghi in quella giornata. “Dicono di restare a casa, ma a noi, che una casa non ce l’abbiamo, nessuno ci pensa?”.
Aveva ragione Sergio. Chi pensa a loro? Certo, non ci stava chiedendo una casa o un affitto ci stava solo chiedendo presenza, incontro, ascolto: il nostro portone era aperto, noi c’eravamo. Sembra niente, ma in questa Roma deserta sapere che qualcuno c’è, che un portone è aperto, può rappresentare una piccola oasi nel deserto.
“Finchè io sono nel mondo io sono la luce del mondo” dice il Signore. Ecco, queste parole mi hanno fatto pensare alle persone incontrate in questi giorni o ascoltate per telefono. Finchè io sono nel mondo sono chiamato ad essere luce, non perché io debba brillare di luce propria, ma perché possa essere una piccola o grande fiammella nella vita degli altri, perché possa farli tornare alla luce. Come? Incontrandoli!
Gesù vede. Vede lo scarto della città, l’ultimo della fila, un mendicante cieco. L’invisibile. E se gli altri tirano dritto, Gesù no, si ferma. Senza essere chiamato, senza essere pregato. Gesù non passa oltre, per lui ogni incontro è una meta. Vale anche per noi, ci incontra così come siamo, rotti come siamo.
Sergio è stata la risposta alla mia domanda.
Il Signore ci raggiunge sempre, prende l’iniziativa, ci insegue, ci raggiunge. Se solo lo desideriamo.
Spero, vi auguro e mi auguro di continuare a vivere questa Quaresima in quarantena come un tempo di grazia e non di disgrazia.

Immagine dal sito www.sanfrancescopatronoditalia.it

di Elisa
Coordinatrice Centro di Ascolto
Parrocchia Santi XII Apostoli – Roma