Coronavirus. Continua il sacrificio dei sacerdoti. «Hanno condiviso tutto con la gente»
Con i 7 morti dalla Settimana Santa ai giorni scorsi, salgono a 111 i preti italiani che hanno perso la vita per il contagio
Tra Settimana Santa e in Albis, ne sono morti altri sette, per un totale che arriva a 111 sacerdoti diocesani deceduti per effetto del virus, fatte salve situazioni eventualmente non ancora segnalate (e senza contare i molti religiosi e suore sinora morti). Una contabilità globale che andrà ricostruita pazientemente, oltre alla memoria dei preti che hanno perso la vita condividendo sino all’ultimo la sofferenza del loro popolo e dei quali sul nostro sito (Avvenire.it) cerchiamo di tenere aggiornati numeri e storie per un dovere di riconoscenza e affetto. Un legame – tra i preti italiani e la loro gente – tanto profondo da colpire il New York Times che ha dedicato nei giorni scorsi un lungo articolo, attingendo anche ad Avvenire.
Il giorno di Pasqua la diocesi di Milano ha perso don Giovanni Ferré, 90 anni, per 17 parroco di Besozzo, cittadina del Varesotto, poi cappellano della Casa di riposo Menotti Bassani di Laveno Mombello dove si sono verificati numerosi casi di Covid-19. Alla vigilia era spirato in diocesi di Cerignola monsignor Saverio Del Vecchio, formatore di tanti sacerdoti. Grande impressione ha suscitato il Lunedì dell’Angelo la scomparsa di uno dei preti più giovani uccisi del Covid-19: don Enrico Bernuzzi, 46 anni, della diocesi di Tortona, prete dal 2006, referente diocesano per la Pastorale vocazionale e il seminario. Aveva più del doppio dei suoi anni don Luigi Angeloni, 96enne, il più anziano sacerdote dell’arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche, morto nelle stesse ore. Pasquetta di dolore anche per la diocesi di Cesena-Sarsina, dov’è scomaprso don Franco Guardigni, 79 anni, per 15 parroco di Longiano. Pochi giorni prima in diocesi di Senigallia il virus s’era portato via a 91 anni don Dario Giorgi, legato alla spiritualità dei Cistercensi, tanto da voler essere rivestito nella bara del loro abito bianco con lo scapolare nero. Il Giovedì Santo era toccato alla diocesi di Pesaro piangere un prete morto, il quarto: don Marcello Balducci, 61enne, malato da tempo ma ancora impegnato nell’ascolto di tante persone.
«La morte di tutti questi preti è un segno forte: molti erano anziani, ma ancora attivi nel servizio pastorale, e dunque in mezzo alle fatiche della gente per questa prova». Monsignor Luigi Ernesto Palletti porta le ferite di questa pandemia. La diocesi di La Spezia-Sarzana-Brugnato di cui è vescovo si è vista strappare ben 4 preti in un mese e mezzo: don Franco Sciaccaluga, 93enne, decano del clero spezzino, don Piergiovanni Devoto, 76 anni, latinista, don Nilo Gando, 89 anni, cultore di canto gregoriano. E don Giovanni Tassano, 83 anni, direttore del Centro missionario diocesano, primo “fidei donum” della diocesi, «che guidava ancora tre piccole parrocchie, amato da tutti per la sua affabilità.
È stato bene finché non è arrivato il contagio. Un missionario fino all’ultimo». Perché tanti morti tra i sacerdoti, quasi quanti i medici (131)? «Hanno preso parte alla tragedia di tutti, ammalandosi, e morendo soli, come gli altri. Ho celebrato la Messa per ciascuno dei miei preti morti in attesa di una celebrazione con le comunità che li hanno amati, e che sono addolorate per questa perdita. Non erano isolati, non vengono dimenticati. Ora che si avverte la mancanza dell’Eucaristia appare più chiaro quanto sia importante la presenza di un sacerdote che celebra la Messa per tutti». La situazione sperimentata dalle parrocchie, aggiunge Palletti, «rende chiaro che vanno valorizzati i carismi laicali e, insieme, è indispensabile il prete che tiene unita una comunità consacrando il pane e il vino».
Perché, «distanziati ma non separati come siamo, stiamo vivendo come mai prima la comunione dei santi: a unirci non sono tanto i mezzi di comunicazione, pure indispensabili, ma questa comunione profonda, al centro della quale c’è l’Eucaristia». Ora si tratta di «ascoltare cosa ci viene detto da tutto questo». Di certo, l’invito a «una maggiore semplicità di vita, a ritrovare l’umano, letto in Cristo, ripensando la nostra vita di fede».
dal sito www.avvenire.it
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