Coronavirus, la parola alla scienza
Infettivologi ed esperti spiegano l’epidemia: la situazione nel mondo, le modalità di contagio, i consigli di comportamento. Come si previene e come si cura, cosa fare e cosa non fare nella lotta al virus
Coronavirus: «Con un test è possibile capire se la bassa carica è infettiva»
La proposta di Francesco Milazzo, già primario di Malattie Infettive al Sacco: «Mettere in coltura cellulare il virus permette di distinguere i tamponi e si può evitare la quarantena a chi non è contagioso»
In Lombardia ormai da giorni la metà dei tamponi positivi ha bassa carica virale. Sono persone che stanno bene, conducono una vita normale, di fatto asintomatiche, ma che devono comunque sottostare alle regole dell’isolamento fino a quando il doppio tampone negativo non accerterà che sono davvero guarite, anche dal punto di vista virologico.Ai nuovi contagi si uniscono i «vecchi», molti dei quali asintomatici, ma con tampone che non si negativizza : persone che da settimane sono barricate in casa, in isolamento . Ma non c’è un modo per gestire questi «pazienti», e verificare se sono davvero contagiosi? Il dibattito sul tema , rilanciato dallo studio del Mario Negri è molto discusso. Giuseppe Remuzzi è convinto che «i nuovi positivi non sono contagiosi perché la carica virale è diventata molto bassa». Non tutti gli esperti la pensano così, dal punto di vista scientifico non c’è una certezza assoluta che non possa esserci contagio da cariche virali basse anche se è abbastanza probabile. Un nuovo studio del San Matteo di Pavia va in questa direzione: su 280 pazienti clinicamente guariti con cariche virali basse, meno del 3% aveva la possibilità di infettare. In pratica 8 persone. Insomma quasi tutti i soggetti con bassa carica virale non sembrano pericolosi, ma la certezza al 100% non c’è. Sappiamo però che basta una sola persona contagiosa in giro per fare ripartire i focolai.
La cultura cellulare
Ma è possibile distinguere tra tamponi positivi, quelli che provengono da veri casi clinici acuti o convalescenti che ancora non hanno depurato il virus (e che corrispondono a soggetti contagianti) dai tamponi che per lo più derivano dai test sierologici (dopo il test sierologico positivo è infatti obbligatorio effettuare il tampone) e che molto spesso corrispondono invece a persone non contagiose? Non tutti i tamponi, abbiamo visto, sono positivi allo stesso modo ma le conseguenze sì: tutti i soggetti vanno quarantenati, spesso per periodi lunghi e imprecisati. La soluzione sembra esistere e non pare troppo costosa. E non si tratta di adeguarsi alle nuove linee guida Oms che suggeriscono di «liberare» i pazienti Covid su criteri clinici, dopo tre giorni senza sintomi (soluzione che agli esperti italiani non piace molto).Piuttosto, come suggerisce Francesco Milazzo, già primario di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, si tratta di eseguire un esame di laboratorio supplementare: mettere in coltura di cellule epiteliali (provenienti da bronchi umani) il materiale proveniente dal tampone di un sospetto positivo. In sintesi quello che hanno fatto a Pavia per dimostrare che quasi la totalità de i «debolmente positivi non infettano». «Se le tracce di RNA da Covid-19 sono espressione di un virus ancora vivo e vitale nell’arco di 2-3 giorni assisteremo alla morte delle cellule al cui interno il virus si è replicato. Se invece a quella debole positività al tampone non corrisponde un virus vivo e vitale, la nostra cultura cellulare si manterrà sana e vitale».
Le altre esperienze
Anche In Canada i ricercatori canadesi hanno potuto documentare su 90 tamponi positivi la presenza di virus replicante in vitro solo in 26 casi: si trattava di pazienti oltre l’8° giorno dall’inizio dei sintomi con bassa carica virale. Altri Paesi hanno confermato questi dati. Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa nella task force in Puglia ha spiegato di aver inviato in laboratorio per la cultura cellulare alcuni tamponi «dubbi» a fine malattia: dopo la negativizzazione erano di nuovo diventati positivi. «Si è visto che erano residui di RNA non vitale. Tutti ad eccezione di uno: in quel paziente il virus si stava ancora replicando quindi poteva essere contagioso».
La validità del test
Possono verificarsi errori di diagnosi con l’esame in cultura cellulare? «La specificità della coltura su cellule è al 100%, nel senso che non possono esserci “falsi positivi” cioè casi con crescita in vitro di un virus che non fosse vivo» spiega Milazzo che aggiunge: «Potrebbe invece esservi in teoria qualche defaillance sulla sensibilità, nel senso che anche un tampone da soggetto con virus vivo (e quindi potenzialmente contagiante) potrebbe non svilupparsi in vitro per difetti tecnici nella processazione del materiale. Ma si tratta di errori umani e non del metodo». In Lombardia si contano un centinaio di positività dubbie al giorno e almeno una decina di laboratori di virologi: i campioni potrebbero essere distribuiti senza eccessivo aggravio di lavoro. Procedendo con la cultura virale di tutti i campioni a debole positività si potrebbe evitare l’inutile quarantena a chi non è infettivo, selezionando per l’isolamento solo chi è realmente pericoloso.
Accettare il rischio
L’altra soluzione, per non «imprigionare» centinaia di persone non pericolose è considerare non contagiosi coloro che hanno una carica virale bassa, proprio c ome sostiene Remuzzi. «Si può decidere di accettare il rischio basso, ma non inesistente, di quei pochi soggetti che pur avendo un tampone debolmente positivo sono ancora contagiosi – conclude Milazzo-. Ma questo dipende dalle autorità sanitarie (centrali e locali) in base alla capacità della struttura sanitaria, specie quella sul territorio, di monitorare (e quindi testare, isolare, tracciare ecc.) eventuali prevedibili contagi singoli, al loro primo apparire; solo in questo caso, a mio avviso, si può correre il rischio del 3%, come emerge dalla ricerca del San Matteo».
dal sito www.corriere.it
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