LETTERE AL DIRETTORE
Risponde il nostro esperto Gianfranco Ius

Marinus van Reymerswaele, “The Tax Collector”
1) Gentile Direttore gradirei avere alcune precisazioni sull’acquisto di case antisismiche anche con eventuale demolizione e alla cui ricostruzione hanno partecipato più imprese. Grazie
L’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 82 del 3 febbraio 2021 ha chiarito che per quanto riguarda l’acquisto di case antisismiche da imprese edili, non è rilevante che tutte le fasi della demolizione e ricostruzione, nel caso della partecipazione di più imprese costruttrici, siano svolte congiuntamente dalle varie ditte imprenditrici, potendo essere effettuate disgiuntamente. Inoltre ha chiarito, allo scopo di ridurne il rischio sismico, che è ammessa anche una variazione volumetrica rispetto all’edificio preesistente purchè gli interventi siano realizzati nei comuni ricadenti nelle zone classificate a rischio sismico 1, 2 e 3 e la realizzazione avvenga mediante demolizione e ricostruzione di interi edifici, ove tale aumento di volume sia consentito dalle norme urbanistiche, e siano eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare che provvedano, entro 18 mesi dalla data di conclusione dei lavori, alla successiva alienazione dell’immobile.
Le detrazioni dell’imposta spetta agli acquirenti delle unità immobiliari, rispettivamente nella misura del 75 e dell’85 per cento del prezzo della singola unità immobiliare, risultante nell’atto pubblico di compravendita e comunque, entro un ammontare massimo di spesa pari a 96.000 euro per ciascuna unità immobiliare (art.16, comma1-septies D.L. del 3 febbraio 2021).
La predetta agevolazione compete a quegli interventi le cui richieste di autorizzazione sona state avviate dalle ditte di costruzione o ristrutturazione di beni immobili effettuate a partire dal 1 gennaio 2017 al 31 dicembre del corrente anno.
2) Direttore, sono un professionista, con studio in Milano, gradirei conoscere cosa succede se per l’emergenza Covid si è costretti a chiudere lo studio e conseguentemente interrompere l’attività?
Secondo l’Agenzia delle Entrate il contribuente, nonostante la chiusura obbligatoria dello studio del professionista che lo assiste e la quarantena anche dei suoi collaborati, resta in ogni caso il responsabile degli adempimenti tributari e fiscali. Una risposta irragionevole e, a dire il vero, anche vergognosa.
Così, secondo l’Agenzia gli stessi contribuenti che essendo incapaci di adempiere a tutte le procedure e formalità tecniche fiscali per le quali quali si erano rivolti ad un professionista del ramo a sostituirsi a lui e porre in essere la dichiarazione dei dichiarare redditi imponibili o eseguire le liquidazioni e i versamenti dovuti, trasmettere le dichiarazioni, redigere, notificare e depositare in via telematica gli atti processuali e come se, al contempo, fosse semplice acquisire la competenza tecnico-giuridica che è richiesta alle varie categorie professionali qualificate di riferimento.
Ciò che offende di più è lo sminuire il ruolo e la professione dei commercialisti ed avvocati impegnati “in prima linea”, sin dall’inizio della propria attività ed ora ancor più nel mezzo della pandemia, a garantire l’assolvimento degli obblighi tributari dei contribuenti e, quindi, in definitiva, ad assicurare le entrate allo Stato.
Le possibili soluzioni delle questioni che insorgeranno nonostante il disorientamento per chi sarà chiamato a valutare e giudicare le violazioni, queste dovranno essere considerate ed analizzate caso per caso. Al riguardo è auspicabile un intervento urgente del legislatore per togliere ogni responsabilità ai contribuenti e, in generale, a tutti gli operatori del diritto dalle possibili deviazioni dai principi generali sui criteri di determinazione o localizzazione dei redditi o beni patrimoniali e/o sul rispetto delle scadenze, quando potrà essere verificato (e comprovato) che l’inadempimento “incolpevole” di norme tributarie sia dipeso esclusivamente da obblighi sanitari, o da norme o provvedimenti imposti dal Covid, e da incongruenze o criticità legate alla straordinarietà ed eccezionalità delle misure, indipendentemente da scelte volontarie dei soggetti passivi.
I problemi che potrebbero insorgere nell’applicazione delle disposizioni inerenti la localizzazione dei redditi e conseguenti adempimenti nell’anno 2020. Nel caso in cui la pandemia possa determinare l’impossibilità dei singoli di trasferirsi liberamente nell’ambito UE anche se è sempre stato consentito lo spostamento o rientro per motivi di lavoro, incide sui criteri di territorialità per la durata maggiore o minore dei 183 giorni della residenza dei lavoratori trattenuti per lockdown in Stati diversi da quelli di residenza e, quindi, sulle imposte e sanzioni dovute allo stato legittimato ad esercitare lo “ius imperii”.
A seguito dell’interrogazione parlamentare n.5-04654 del 3 dicembre 2020, il MEF ha affrontato la questione precisando che le stesse criticità sono state valutate dall’OCSE che dall’aprile 2020 ha raccomandato agli stati l’adozione di un più elastico criterio di individuazione del “luogo del soggiorno abituale” per evitare di modificare lo status di residenza precedente del soggetto passivo di imposta. A tale riguardo le regole che risolvono i conflitti di residenza (positivi) tra Stati secondo i parametri di frequenza, durata e regolarità ordinati in via gerarchica su base convenzionale sono disciplinate dell’art. 4 del Modello (tie breaker rules).
Gli uffici saranno, quindi tenuti ad operare una valutazione “caso per caso” prima di accertare eventuali violazioni tassabili e, conseguentemente sanzionabili, sui concetti di territorialità in modo da rendere inefficaci gli effetti delle misure restrittive legate all’emergenza Covid ai fini di non aggravare la situazione fiscale dei contribuenti ed inoltre rischiare di ostacolare l’attività di vigilanza delle amministrazioni finanziarie.
Inoltre nel caso in cui si dovesse restare “bloccati” in Stati o in regioni diversi da quella di residenza o, se a causa degli obblighi sanitari si è costretti a subire un blocco dell’attività e chiudere, ad esempio, il proprio studio professionale, è evidente che qui non si discute del maturare o meno del reddito di lavoro autonomo poiché questo verrà valutato secondo il regime ordinario di cassa.
Si dovrà considerare, invece, le conseguenze prodotte dall’interruzione o dalla eventuale chiusura degli studi professionali non per scelta, ma perchè obbligati dalla situazione pandemica che ha determinato un calo “straordinario” nel volume delle attività a cui dovrebbe seguire la disapplicazione degli indici sintetici di affidabilità (ISA) o un adattamento degli strumenti accertativi sintetici che tengano conto della situazione straordinaria che potrebbe aver fatto insorgere possibili violazioni se si considera la lunga serie di obblighi funzionali propri e dei propri assistiti.
Al riguardo l’Agenzia delle Entrate centrale ha affermato che nonostante la chiusura obbligatoria dello studio di un professionista “in quarantena” – il responsabile degli adempimenti tributari e fiscali resta in ogni caso il contribuente anche se ha delegato il professionista.
E’ veramente scoraggiante l’atteggiamento della parte pubblica estraneo al momento tragico in cui si vive e oltre allo svilimento del ruolo e della professione dei tributaristi (commercialisti, avvocati) impegnati “in prima linea”, sin dall’inizio della pandemia, a garantire l’assolvimento degli obblighi tributari dei contribuenti e, quindi, in definitiva, ad assicurare le entrate allo Stato.
Infatti, non sa altro che dire: che siano gli stessi contribuenti in difficoltà a porre in essere gli adempimenti che non può effettuare il professionista”. Così, come se per ogni contribuente fosse possibile superare “la difficoltà” di determinare e dichiarare redditi imponibili e/o eseguire le liquidazioni e i versamenti dovuti, trasmettere le dichiarazioni, redigere, notificare e depositare (in via telematica) gli atti processuali e come se, al contempo, fosse semplice acquisire – semmai in pochi giorni – la competenza tecnico-giuridica che è richiesta alle varie categorie professionali (ordinistiche) di riferimento.
Queste diverse letture e posizioni degli uffici centrali e, quindi, allo scenario delle possibili differenti soluzioni delle questioni che insorgeranno per chi sarà chiamato a valutare o giudicare “caso per caso” le violazioni, non ci resta che auspicare un intervento chiarificatore preciso del legislatore che metta al riparo i contribuenti e, in generale, tutti gli operatori del diritto (professionisti, uffici e giudici) dalle possibili deviazioni dai principi generali sui criteri di determinazione o localizzazione dei redditi o beni patrimoniali e/o sul rispetto delle scadenze, quando potrà essere verificato e comprovato che l’inadempimento “incolpevole” di norme tributarie sia dipeso esclusivamente da obblighi sanitari, o da norme o provvedimenti imposti dal Covid, e/o da incongruenze o criticità legate alla straordinarietà ed eccezionalità delle misure (anche di favore), indipendentemente da scelte (volontarie) dei soggetti passivi.
In questo modo verrebbe assicurata, da un lato, la riscossione delle imposte, ma sarebbe garantita, dall’altro, l’esclusione dalle sanzioni sia sul piano amministrativo che penale per dare, subito, una risposta rassicurante e razionale ai tanti interrogativi e perplessità che riguardano, e riguarderanno per la più lunga durata dell’emergenza e dei controlli, i contribuenti unitamente ai professionisti del paese.
3) Direttore sono titolare di un’azienda che produce strumenti di lavoro, pertanto, gradirei sapere cosa debbo fare in qualità di datore di lavoro se un dipendente rifiuta di vaccinarsi
L’art.20, del Testo Unico sulla Salute e Sicurezza (Decreto Legislativo 81/2008), stabilisce che “ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
Qualora il lavoratore risponda negativamente alla richiesta del proprio datore di lavoro, quest’ultimo dovrebbe inviarlo a visita presso il medico competente, al fine di verificare il motivo del diniego. Motivo che potrebbe essere legittimo, in quanto non dipendente dalla volontà del lavoratore stesso (esempio cd. no vax), ma potrebbe essere dovuto ad una patologia incompatibile con la somministrazione del vaccino, quale, ad esempio, la presenza di una allergia ai farmaci o uno stato di gravidanza.
In questo caso, allorquando il rifiuto alla vaccinazione sia supportato da una motivazione medico-scientifica e l’ostacolo all’assolvimento della prestazione lavorativa non sia imputabile al prestatore di lavoro, il datore di lavoro si dovrà attivare per trovare strade alternative che non siano di intralcio alla limitazione dei contagi e lo potrà fare ricorrendo a questa gradualità di interventi:
a) verificare la possibilità che la prestazione lavorativa possa avvenire da remoto (smart working);
b) spostare il lavoratore ad altre attività, compatibili con i fattori sopra evidenziati (rispetto del distanziamento con altri soggetti) e con la professionalità posseduta,
c) spostare il lavoratore ad altre mansioni, anche inferiori, rispetto a quelle possedute; sempre verificando la professionalità in capo al lavoratore.
Bisogna tener presente, però, che l’azienda non può imporre il vaccino adducendo quanto previsto dall’articolo 32 della Costituzione, in quanto manca l’obbligatorietà, per legge, alla sua somministrazione. Infatti, il secondo comma dell’articolo 32, dispone che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Quindi, in attesa di una sorta di green pass vaccinale, il datore di lavoro dovrà adoperarsi per rendere Covid-free la propria azienda e con essa i propri lavoratori, ciò anche per una più facile ripresa della completa attività lavorativa e per evitare blocchi alla produzione dovuti ai contagi che si potranno ancora verificare al proprio interno.
Gianfranco Ius
Laureato in scienze Economiche e Commerciali (LUISS); abilitato all’esercizio professionale di dottore commercialista; ed iscritto all’albo degli esercenti dal 1982;
revisore contabile iscritto all’albo, già revisore ufficiale dei conti; diploma di Master Universitario di II livello in GIUSTIZIA TRIBUTARIA ITALIANA ed EUROPEA; laurea magistrale in giurisprudenza.