Big Pharma, i vaccini sono un affare, i farmaci salvavita ancora di più
Big Pharma, i vaccini sono un affare, i farmaci salvavita ancora di più
Gli utili di Pfizer, Moderna & Co. quest’anno a 55 miliardi di dollari. Ma il cuore del business è quello tradizionale
Quanto è grande e conveniente l’affare dei vaccini anti Covid per le Big Pharma? Prima ancora: è davvero un affare se si considera l’intero mercato farmaceutico che tiene dentro produzioni molto remunerative come quella dei farmaci antitumorali? L’incrocio dei dati macroeconomici delle case farmaceutiche che oggi hanno in mano il grosso della produzione e della commercializzazione dei vaccini contro il coronavirus (Pfizer-BioNTech, AstraZeneca, Moderna e Johnson&Johnson) tira fuori un numero. Quello dei ricavi. Quest’anno saranno pari a circa 55 miliardi di dollari. Una cifra importante. Per J&J, ad esempio, significherà passare in un anno da 14,5 a 22,2 miliardi di dollari di utili, cioè 7,7 miliardi in più. Ma è scendendo dentro l’analisi di questo dati che emergono altri elementi. Dicono anche un’altra cosa e che l’affare è sì consistente, ma non tale da fare cambiare idea a quelle Big Pharma, come Novartis, che si sono sfilate dai vaccini qualche anno fa.
Gli utili delle Big Pharma
I profitti si ricavano incrociando più elementi macroeconomici dei piani delle Big Pharma, a iniziare dal prezzo delle fiale e dal numero delle dosi che hanno deciso di mettere in commercio. Secondo una stima elaborata dal Sole 24 ore su dati di S&P Market Intelligence, oltre a +7,7 miliardi di dollari Johnson&Johnson, dentro la torta degli utili ci sono anche i 5,3 miliardi di dollari in più che andranno a Pfizer, che passerà da 9,6 miliardi di profitti del 2020 a 14,9 miliardi di dollari quest’anno. E poi ancora quelli di AstraZeneca (+1,5 miliardi di dollari, da 3,1 miliardi di dollari a 4,7 miliardi di dollari). BioNTech, che collabora con Pfizer, passerà addirittura dal segno meno al segno più: da -465 milioni a un utile di 4,5 miliardi. Così come Moderna, che da -747 milioni vedrà un utile 2021 a 8,9 miliardi. Il totale fa circa 55 miliardi di dollari. Con le piccole e quasi sconosciute BioNTech e Moderna che faranno un evidente balzo in avanti rispetto alla stagione pre Covid.
È davvero un business?
Nell’analisi di quello che si muove dietro questi numeri, Huffpost ha scelto di farsi accompagnare dal professore universitario in Economia sanitaria Fabrizio Gianfrate, tra i massimi esperti in Italia di farmacoeconomia. Partiamo dalla domanda base: produrre vaccini anti Covid è un business irrinunciabile per le Big Pharma? “Si e no. Da una parte è conveniente perché ci vaccineremo tutti, in ogni angolo del mondo, e ripetutamente dato che non è ancora chiara la copertura del vaccino. Probabilmente dovremo vaccinarci una volta all’anno come si fa contro l’influenza. I consumi saranno ripetuti e quindi il business ha una sua redditività forte”. Ma i vaccini hanno anche un costo. E qui subentrano i fattori che controbilanciano il senso dell’affare. “Sui vaccini – spiega ancora Gianfrate – non si fanno profitti elevatissimi perché i vaccini costano, non è come produrre un farmaco normale. Ci sono i costi legati alla produzione e i costi legati ai rischi del vaccino in sé, cioè all’estrema labilità delle materie prime”. La bilancia pende più dalla parte della convenienza? “Sì, perché se anche la redditività è limitata, le quantità di dosi necessarie sul mercato fanno comunque la differenza”. Insomma, se vendere vaccini in sé non è un business così irrinunciabile (il vaccino Pfizer costa in media 16 euro, quello di AstraZeneca 2,80 euro), il fatto che ci sia bisogno di miliardi di dosi nel mondo spinge le Big Pharma a insistere su questo mercato. Ad alimentare questa spinta c’è cioè la necessità sociale di coprire l’urgenza sanitaria. Lo spiega sempre Gianfrate: “Le quantità suppliscono alla profittabilità della singola unità di vaccino, che per altri farmaci è invece maggiore”.
Il posizionamento delle Big Pharma
Tre approcci differenti. C’è chi, come Pfizer e AstraZeneca, ha precorso i tempi: ha deciso cioè di esserci da subito. Poi c’è chi è rimasto alla finestra, ma non fuori. Un esempio è GlaxoSmithKline, che produrrà sì il vaccino anti Covid insieme a CureVac, ma non subito. In questo caso la logica di business punta sul fatto che il vaccino è ripetibile, sarà cioè prodotto ancora e quindi l’ingresso del mercato potrà comunque avvenire in un secondo momento. Infine c’è chi ha deciso di tenersi fuori dalla produzione autonoma. Come Novartis, che nel 2015 ha detto stop ai vaccini, vendendo la sua divisione a Glaxo e comprando, da Glaxo stessa, la divisione oncologica. Il suo business è rimasto ancorato ai farmaci antitumorali.
Covid rischia di lasciare indietro business redditizi?
Proprio la scelta di Novartis introduce un altro elemento. Qui il fenomeno ha più sfaccettature. Novartis non è tornata a produrre vaccini in modo autonomo perché – dice ancora Gianfrate – “le grandi aziende fanno fatica a cambiare strategia in tempi brevi” e perché altri business restano più redditizi. Dall’altra parte chi come Pfizer si è subito immessa nel nuovo mercato dei vaccini anti Covid l’ha fatto “con equilibrio, non riducendo in modo così rilevante gli investimenti nelle altre aree, quantomeno non in misura da rendere l’operazione Covid poco profittevole”.
Quale delle due strategie sarà la più premiata a livello di utili? Per rispondere a questo quesito il professore di Economia sanitaria illustra le prospettive del mercato dei vaccini anti Covid. “Ovviamente si andrà a plafonare. Tra due anni ci sarà una distribuzione precisa delle quote di mercato perché sapremo chi si è vaccinato, chi no, chi si vaccinerà nuovamente”. Due anni, insomma, per capire come sarà il mercato a regime. Pfizer dalla sua potrà contare su una strategia che punta allo sviluppo della piattaforma, quindi non il singolo vaccino, ma anche vaccini per le eventuali nuove varianti del coronavirus e in generale vaccini che rientrano nella stessa categoria a cui appartiene lo stesso coronavirus. La competizione sul medio-lungo periodo sarà quindi sulla piattaforma.
La quota dei vaccini anti Covid nel mercato farmaceutico (molto più grande)
Gli utili in crescita delle Big Pharma, insieme a quelli delle aziende biotech che produrranno gli anticorpi monoclonali, spingono il giro d’affari a circa 257,9 miliardi di dollari, in crescita rispetto ai 185 miliardi di dollari di fine 2020. Ma il mercato farmaceutico è decisamente più ampio: tiene dentro circa 1.300 miliardi di dollari. “Quella dei vaccini contro il Covid – prosegue l’analisi di Gianfrate – è una quota crescente sì, ma ancora minimale rispetto all’intero business farmaceutico”. Le grandi aree degli affari legati alla farmaceutica restano quelle legate alle malattie che hanno il tasso di mortalità più alto: tumori, le malattie cardio-vascolari, quelle respiratorie e quelle croniche come il diabete. “Queste categorie hanno mantenuto un primato schiacciante: la loro quota di mercato sì è ridotta, anche perché molte prestazioni sono state rimandate per via del Covid, ma è una contrazione temporanea. Covid è invasivo perché ha riempito le nostre vite, ma la componente economica diretta sui farmaci, inclusi i vaccini, è minimale rispetto all’intera torta del business della farmaceutica”.
Oltre alle Big Pharma concentrate sulla produzione dei vaccini ci sono le aziende farmaceutiche che sono orientate a sviluppare le terapie. A produrre cioè farmaci di cura, non di prevenzione. Come Glaxo, che sta sviluppando gli anticorpi monoclonali. Ci sono cento farmaci in sviluppo per le terapie legate al Covid. Un business che corre parallelo a quello dei vaccini e che è in crescita. Un nuovo elemento in un mercato della farmaceutica che sta subendo un riequilibrio. Quanto sarà forte e duraturo lo diranno i prossimi anni. Ma il processo è già iniziato.
dal sito www.huffingtonpost.it