UN NUOVO CENTROSINISTRA LETTA-CONTE?

Adam Nicklewicz, Soppesare
Il delicato equilibrio sul quale si regge l’ampia ed eterogenea maggioranza parlamentare che sostiene il nuovo governo, guidato da Mario Draghi, può giovarsi di una tendenziale uniformità e coesione, rispetto alla sfida prioritaria del momento, ossia l’impegno per contenere e superare la pandemia, mentre su altri fronti, da sempre divisivi, come fisco e migranti, in particolare, incombono necessariamente rischi costanti di lacerazioni. Emblematico di queste insidie è stato il braccio di ferro con la Lega, in ordine alla cancellazione delle cartelle esattoriali, così come la reazione preoccupata di Salvini, a fronte della decisa riproposizione dello ius soli, da parte di Enrico Letta, all’atto dell’investitura, come nuovo segretario del PD.
Sono solo due episodi indicativi delle potenziali conflittualità e incompatibilità che potrebbero emergere tra le forze di maggioranza e rendere accidentato il cammino del nuovo esecutivo. Del resto, la luna di miele dello stesso è già stata contrassegnata da un primo evento traumatico imprevisto: le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del PD, accompagnate da una durissima requisitoria nei confronti del correntismo del suo partito. Lo shock seguito all’abbandono della segreteria da parte di un personaggio che riscuote una larga popolarità nell’elettorato PD e un notevole apprezzamento anche come amministratore – è considerato uno dei migliori governatori regionali in carica – ha accentuato, per pochi giorni, nel suo partito, quella condizione depressiva e, al tempo stesso, di allarme, che già si era in qualche misura determinata nel momento in cui lo stesso PD, in modo altrettanto inaspettato, si era trovato nella condizione di dover digerire la scelta di coabitazione con la Lega nella maggioranza di governo. La pronta e immediata reazione del gruppo dirigente che, con un colpo di scena di indubbia efficacia, ha richiamato in servizio permanente effettivo l’ex premier Enrico Letta – “esule” a Parigi, dai tempi di un altro blitz, quello di Matteo Renzi del febbraio 2014, quando, appunto, questi ne prese il posto a Palazzo Chigi – ha sapientemente consentito al PD di uscire dall’angolo e riconquistare la scena, recuperando anche qualche punto nei sondaggi. Ma Letta, al di là di qualche ritocco in termini di riequilibrio di una parità di genere un po’ trascurata dal partito in sede di formazione del governo, sembra orientato sostanzialmente sulla linea già impostata dal predecessore: la creazione di un’alleanza stabile e organica (ma, soprattutto, fondata su comune convinzione) con i 5 Stelle e le altre formazioni riconducibili al centrosinistra, per mettere in piedi uno schieramento competitivo nei confronti di un centrodestra ancora potenzialmente compatto, nonostante la temporanea dissociazione nella scelta di governo (FDI all’opposizione, Lega e Forza Italia in maggioranza). Per quanto riguarda il movimento pentastellato, la leadership in pectore di Giuseppe Conte, culturalmente abbastanza affine a taluni settori del PD (cattolicesimo democratico) e la progressiva attenuazione dell’influenza delle componenti più intransigenti potrebbero agevolare il rafforzamento dell’intesa con il PD. Ma l’intesa stessa necessita di un “rodaggio” e richiede tempo. Una ragione in più, per il centrosinistra, per evitare occasioni di crisi che possano evocare lo spettro delle elezioni anticipate e per lasciare, quindi, che Draghi prosegua nel suo lavoro senza eccessivi ostacoli. Nella parte restante della legislatura – qualora non venga interrotta in anticipo – la costituenda alleanza PD-5 Stelle si troverà ad affrontare, in particolare, due “battesimi del fuoco”: le elezioni comunali di Roma, tra qualche mese, con Virginia Raggi, pentastellata, decisa a ricandidarsi e il PD, allo stato, indisponibile a sostenerla e la scelta del nuovo Presidente della Repubblica, agli inizi del prossimo anno. Se la nascente alleanza riuscirà a superare queste due scadenze senza irrimediabili lacerazioni, forse potrà arrivare coesa all’appuntamento elettorale nazionale, su posizioni ormai omogenee. E sfidare un centrodestra che quell’omogeneità ha già raggiunto da tempo, anzi, sarebbe meglio dire che ha imparato ormai a gestire e conciliare le proprie differenze interne.
Una sfida sulla quale peseranno i risultati raggiunti dal governo di unità nazionale e quelli rivendicati dai singoli partiti, rispetto alle scelte dell’esecutivo, nell’auspicio di una navigazione in cui le fasi di tregua si rivelino prevalenti, rispetto alle pressioni contrapposte.
di Alessandro Forlani
Alessandro Forlani
Laureato in Giurisprudenza, ha svolto la professione di avvocato e, dal 2017, è Consigliere della Corte dei
Conti.
Nel 1985 è stato eletto Consigliere comunale di Roma, restando in carica fino al 1989. Consigliere regionale del Lazio nella quinta legislatura, ha rivestito la carica di Presidente del Collegio Revisori dei Conti e poi quella di Presidente della Commissione Cultura e Personale, nel periodo in cui venne approvata la legge regionale sul diritto allo studio. Primo firmatario di diverse proposte di legge regionale, tra cui quella sul registro delle associazioni di volontariato, poi approvata. Nel 2001 è eletto senatore nella circoscrizione Marche e, nel corso della XIV° legislatura, è membro della Commissione Esteri e della Commissione Diritti Umani del Senato, della cui istituzione è stato tra i promotori. In quegli anni è anche componente della Delegazione Italiana presso l’Assemblea Parlamentare NATO. Dal 2006 al 2008 è deputato, eletto nella circoscrizione Marche, componente della Commissione Esteri e della Delegazione Parlamentare INCE. Negli stessi anni è anche Presidente, per l’Italia, dell’Ong “Parliamentarians for Global Action”.
Dal 2009 al 2016 è componente della Commissione di Garanzia dell’applicazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Commissario delegato per Sanità e Farmaceutica fino al 2012, poi, dal febbraio 2012, per il Trasporto Pubblico Locale.
Collabora, nel corso del tempo, a diverse testate e pubblicazioni.