CHIESA LIBERA

Veronica Route, Mosaico
Caro Direttore,
lo spunto mi è venuto dal Vangelo dell’altra domenica, quello della tempesta, con il resto del racconto di Marco (Mc 4, 35-41) e il capitolo che segue. Tutto comincia in un “medesimo giorno”, dopo che Gesù ha insegnato tante cose sul Regno di Dio a una numerosa folla da una barca. Pare che si passi dalla teoria alla pratica quando comanda ai discepoli di guadagnare l’altra riva. Su questa sponda i suoi discorsi stillavano grazia ma andare adesso dall’altra parte del lago… Spinti dall’entusiasmo del comando ricevuto tutti si parte ma ognuno tiene per sé in corpo la paura, il pregiudizio, un pensiero denso di oscurità mentre intanto l’altra riva del lago si avvicina: calava rapidamente la sera e la tempesta era nell’aria. Marco lascia proprio intendere che la tempesta sia metafora di una violentissima discussione tra i discepoli che nel mezzo del viaggio mettono in discussione il comando del Maestro di puntare cioè verso il territorio della Decapoli, verso Gerasa. Non è “Terra Santa” quella: nessuno di noi vuole avere niente a che fare con quegli impuri della sponda opposta! Fin dal tempo di Alessandro magno quelle terre erano insediate da popolazioni pagane intrise di ellenismo, allevatori di suini che non avevano certo Ebrei e timorati di Dio per clienti. Mandrie tanto grandi poi, è probabile che le allevassero per l’esercito romano, quindi pure collaborazionisti!
Nel bel mezzo del viaggio si scatena la tempesta. Le onde riempiono d’acqua la barca che quasi affonda… Gesù a poppa dorme con la testa sul cuscino. Suona strano questo fatto perché la poppa di una barca è più bassa della prua: Gesù non può dormire sotto l’acqua! a meno che non ci appaia chiaro che Marco voglia alludere alla morte del Maestro, al momento in cui è stato strappato ai discepoli o a una presenza che si nasconde: chiara nell’invio e nel comando “passiamo all’altra riva” e poi nascosta quando sorgono i problemi! “Non ti importa che moriamo?” Il grido dei discepoli è il momento più drammatico del racconto ma l’evangelista, col suo stile graffiante e senza sconti, ha la capacità di trasformarlo nel momento più patetico. Gesù interviene, eccome. Ordina alla tempesta “Taci, calmati!” e, rivolto ai discepoli, li apostrofa “paurosi”: nessuno di loro ha superato l’esame della fede. Questa fede irrequieta e la libertà che è dramma… letto così Marco pare che Foscolo non gli sia tanto distante.
La vita della Chiesa la vedo figurata in questa pagina di Vangelo. C’è la sua missione, la sua forza e la sua fragilità. La barca che Pietro ha messo a disposizione prende a bordo Gesù “così com’è”, i discepoli si entusiasmano e partono, con loro ci sono anche altre barche, si è in tanti. Ma lungo il viaggio ci si spaventa, il dubbio e la paura per ciò che si troverà dall’altra parte – che si trasforma in durezza di cuore e di giudizio – ha la meglio: nella tempesta tutto pare perduto. In questo senso ricordo le parole di Paolo quando dice ai cristiani di Corinto “siamo diventati uno spettacolo per il mondo” (1Cor 4, 9). Uno spettacolo pietoso, a tratti anche vergognoso. Un vestito logoro, démodé, un discorso che pare non interessi più nessuno, un giudizio tagliente, una parola che invece di guarire ferisce, una missione tradita, la breccia in un muro possente … Non ci vuole poi tanta intelligenza e maestria a deridere, a lanciare pietre e a tirare la sottana a una Chiesa che si presenta tanto divisa, negletta, una nave in disarmo, tutto un affanno, un incomunicabile mondo autoreferenziale che annaspa. Gesù è nascosto in questa barca e ogni generazione di credenti deve imparare cosa sia la fede.
Più della tempesta è la rotta stabilita dal Maestro: a poppa c’è il timone. Quando non ne può più delle grida dei discepoli spaventati, giunge il comando al mare e al vento di tacere e di calmarsi. Finalmente Gesù e i discepoli toccano la sponda della Decapoli, guarisce un indemoniato che è dilaniato dentro da una legione di spiriti impuri e poi, di ritorno in Terra di Israele, accetta l’invito disperato del capo della Sinagoga (non erano affatto suoi amici) è toccato alla sprovvista da una emorroissa (diventa impuro), prende per mano un cadavere (la fanciulla morta) e diventa impuro… Gesù si carica tutto di impurità e dove arriva in cambio porta liberazione, salvezza, salute, vita. E’ giunto il Regno, ma non rivive David né Salomone.
di Fra Agnello Stoia
Aniello Stoia
Aniello Stoia ( Fra Agnello) nasce a Pagani, provincia di Salerno, nel febbraio del 1967. Frequenta il Seminario Minore e i primi anni di studi filosofici a Benevento per concluderli a Roma (Seraphicum) licenziandosi in Sacra Teologia con una tesi su Ireneo di Lione.
Emette la professione solenne nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali nel 1990 ed è ordinato Presbitero a Napoli il 13 novembre del 1993.
Dal 1994 al 2013 è parte della comunità conventuale di Montella, in provincia di Avellino, e ricopre il ruolo di frate guardiano e rettore del Santuario francescano annesso al Convento di san Francesco a Folloni; dal 2013 ad oggi è parroco della Basilica dei Santi XII Apostoli in Roma. Dal 2017, su mandato del Ministro generale OFMConv e del suo Definitorio, è presidente di BYNODE development & cooperation, associazione ONLUS che opera a livello internazionale per la formazione, lo sviluppo e la cooperazione.
(vedi www.bynodeonlus.org)